L'opinione dei detenuti

 

Questo Papa resta negli affetti di tantissimi detenuti perché con i

suoi gesti ha alimentato speranza che aiuta molti a sopravvivere

 

Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti, 7 aprile 2005

 

Giovanni Paolo II è morto ed inizia ora il suo ricordo come capo della chiesa cattolica e come uomo. Questo Papa è stato molto diverso dai suoi predecessori proprio per il fatto che il suo pontificato, fatto di continui viaggi ed incontri, ma soprattutto di avvicinamenti ideali e dialogo, ha toccato tanti, perfino i detenuti. Tutto il mondo lo ricorda perché tutto il mondo ha avuto a che fare in qualche modo con lui, perfino la Cina che lo ha sempre tenuto a distanza non manca di farsi sentire. Viene però da chiedersi se tutta questa vicinanza corrisponda ad un consenso che egli ha ottenuto dal mondo col quale ha dialogato; se, a prescindere dal riconoscere la sua unicità nell’andare incontro a tutti, ci sia stata un’adesione reale al suo messaggio apostolico ed etico.

La mia impressione è proprio che più di un’adesione ai contenuti ci sia stato un affetto grandissimo per i suoi gesti, gli atti fisici visibili con il suo corpo protagonista, fino alla sua agonia esposta senza pudori e paure. In realtà sono invece tantissime le questioni dove il Pontefice è stato solo ascoltato e qualche volta contestato. La contraccezione, l’aborto, l’omosessualità, l’eutanasia ma anche la guerra, il materialismo capitalista e consumista, lo scontro tra civiltà e religioni rappresentano questioni dove più che consenso, condivisione e unione si è avuto nella realtà contrasto e divisione. Su questi temi c’è sempre stata molta determinazione nelle sue posizioni, non ha mai dato consigli benevoli o indicazioni sommarie e sono certo che, a lutto terminato, ognuno ribadirà le sue convinzioni ed andrà avanti per la lunga strada della storia che non comincia e non finisce in questi giorni. Sono quindi illusioni dettate da una speranza incrollabile le attese di un gesto di clemenza per i detenuti da parte del nostro parlamento, così come il Papa le aveva invocate. Sono le illusioni di persone ancora convinte che i nostri politici possano sottomettere i loro interessi elettorali ad un appello umanitario super partes. In carcere siamo abbastanza abituati ad essere presi in giro, conosciamo a menadito le leggi che dovrebbero sostenere e tutelare i nostri diritti, abbiamo toccato con mano l’intento riformatore di questo governo, con il tentativo continuo di eliminare i benefici e di riempire all’inverosimile le carceri, rendendo ancora più invivibile la detenzione

 

C’è anche qualcuno che sostiene l’esistenza di una legge che prevede amnistia ed indulto nel caso di morte del Papa o del Presidente

Invece, la morte del Pontefice ed il ricordo del suo impegno a promuovere un atto di clemenza ha riacceso le speranze e, la mattina dopo il decesso, ci si incrociava tra i cancelli cercando negli sguardi un po’ di ottimismo che sostenesse la voglia di crederci che ognuno covava dentro di sé.

Il carcere poi è il regno delle piccole favole la cui ingenuità fa tenerezza, soprattutto se confrontata all’immaginario che è stato costruito attorno a chi vive recluso perché ha commesso un reato. Si diceva, domenica mattina tra le inferriate, che bisognava aspettare l’apertura di una cassaforte che conteneva il testamento del Papa con le ultime volontà: tra quelle ci sarebbe sicuramente stato un provvedimento di amnistia e di indulto. Qualcuno poi, tra i tanti che diventano dotti giuristi dopo anni di confronto all’ultimo sangue con le famigerate domandine ed istanze - necessarie in prigione come l’acqua per i pesci - sosteneva dell’esistenza di una legge che prevede amnistia ed indulto nel caso di morte del Papa o del Presidente. È vero che molti erano pessimisti, ma di quel pessimismo che sa di scaramanzia e che ben si conciliava con la ricerca di maggiori notizie sulla preziosa cassaforte e sull’articolo di legge che ci avrebbe salvati tutti. Il carcere sotto tanti aspetti educa la persona ad un cinismo notevole, ma nello stesso tempo conserva ed alimenta aspetti della persona che assomigliano al candore dei fanciulli, oppure meglio, al sogno della gente a cui è rimasto poco o niente e che alimenta in ogni modo la sua voglia di sopravvivere.

Il Papa rappresenta per molti detenuti la speranza di una soluzione che potrà alleviare le loro sofferenze e la fiducia che si era riuscito a costruire viene dai suoi gesti pubblici. Ha celebrato messa a Regina Coeli durante il giubileo, e pochi ricordano ancora che il detenuto che lo seguiva portando la croce è morto pochi giorni dopo per overdose. Non c’è stata grande attenzione a questo fatto, nonostante sia un po’ l’emblema della realtà carceraria di oggi fatta sempre più di sofferenza e disperazione, segregate anche loro dietro le sbarre, rese invisibili e meno fastidiose. È stato un Papa sempre attento ai detenuti, per la processione dell’Immacolata a Roma si ricordava di portare con sé in Vaticano i fiori che i detenuti inviavano, e non era cosa da poco l’attenzione a queste persone, la cui sofferenza è sempre ritenuta giustificata e giusta, perché hanno sbagliato e devono risarcire il male che hanno fatto. C’è stato poi l’incontro con i nostri parlamentari con la richiesta di un gesto di clemenza per i detenuti, che in quel momento hanno creduto che una possibilità ci fosse veramente, anche perché tutti lo avevano applaudito, tutti erano entusiasti di questo Pontefice.

Non è arrivato niente, tranne l’invenzione di una sospensione della pena solo per pochi e condita da tante di quelle prescrizioni da renderla simile ad una misura di sicurezza veramente poco clemente. Lo chiamiamo ancora oggi "indultino" perché in esso si coglie una volontà di clemenza talmente piccola da sembrare controvoglia.

Questo Papa resta comunque negli affetti di tantissimi detenuti perché con i suoi gesti ha creato un legame, un interesse, e soprattutto ha alimentato una speranza che aiuta a sopravvivere molti. Non è solo veder ridotta una pena con il suo stato di sofferenza, è anche avere ogni tanto la sensazione che il circolo di violenza innescato dal reato e la risposta penale possa venire interrotto, lo stato ed il criminale perseguito provano a sotterrare le armi ed a darsi una possibilità di ripartire alleggerendo il peso del risarcimento e della vendetta.

In questi giorni molti hanno rilanciato un provvedimento di clemenza in ricordo del Pontefice, ma per alcuni il piano della discussione resta troppo distante dal significato della clemenza stessa. L’avallo ad esempio del presidente del Senato Pera ad un provvedimento di clemenza, motivato dall’opportunità di allentare la tensione tra politica e giustizia, rientra in quella distanza tra promozione di un gesto di valore e la triste logica dell’opportunità politica. Il Papa aveva chiesto di alleviare le sofferenze per chi vive nel nostro schifo di carceri perché andare incontro agli ultimi è parte fondamentale del messaggio cristiano, non credo che per lui fosse prioritario alleviare le sofferenze dei nostri politici indagati o sotto processo, la gran parte di loro la clemenza se la compra e pochi di quelli che non ci riescono entrano veramente in galera. C’è poi la tensione dovuta alla riforma dell’ ordinamento giudiziario che continua a vedere i giudici contro l’attuale maggioranza e le sue leggi. Forse che con un’amnistia si mettono d’accordo?

La speranza dei detenuti però è dura a morire, come saranno difficili da cancellare dai loro affetti i gesti di questo Papa, entrambi in modo diverso restano uniti dal credere nei miracoli, magari celati nel testamento nascosto in una inviolabile cassaforte o in una legge incredibile di cui tutti si erano dimenticati.

 

 

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