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Quanto una società può rischiare per rendere possibile un reale cambiamento delle persone che hanno commesso reati?
Stefano Bentivogli – Redazione di Ristretti Orizzonti
Sarebbe troppo comodo in questi giorni, quando è emersa con grande evidenza la possibilità che un percorso di riabilitazione di un detenuto fallisca in maniera drammatica, rimanere in silenzio e lasciare spazio solo alle grida di chi sembra non vedere l’ora di avere argomentazioni indiscutibili per mettere in discussione radicalmente il nostro sistema penale. Un sistema che permette di scontare parte della pena fuori dal carcere, con un percorso di avvicinamento alla libertà attraverso i permessi premio e poi le misure alternative alla detenzione. È veramente una situazione difficile, perché se da un lato usare politicamente i fatti di questi giorni, i reati commessi da detenuti in semilibertà, per sostenere la nocività della legge Gozzini viene considerato corretto, provare invece a contrastare queste spinte reazionarie viene facilmente preso per mancanza di rispetto per le vittime, per i loro parenti e tutti quelli che si sentono direttamente coinvolti da reati che si chiamano omicidio, che sono i più gravi e secondo me coinvolgono tutti, e le persone in esecuzione della pena per prime. La mia prima preoccupazione quindi è quella di essere frainteso, che a qualcuno passi anche lontanamente per il cervello che il mio intento è quello di giustificare, sminuire la gravità di questi episodi, dove un detenuto a cui è stato concesso un permesso premio o una misura alternativa, invece di impegnare le sue energie a concludere positivamente e velocemente la sua pena, ricomincia a delinquere ed arriva ad uccidere. È però necessario dire qualcosa, perché chi parte subito con la richiesta di modificare le leggi, restringendo brutalmente e sommariamente l’accessibilità ai benefici penitenziari, e parlo evidentemente di tanti politici, eviti di cavalcare con posizioni strumentali il giusto risentimento della gente. La matassa inestricabile di leggi alla quale siamo arrivati dovrebbe difatti consigliare che è controproducente modificare in un senso e poi nel suo contrario un impianto normativo, è utile invece fare uno sforzo di lucidità ed andare veramente a fondo sulla questione. Questo significa entrare nel merito di ogni singolo fatto criminale, che è un obbligo se non si vuole fare della giustizia sommaria distruggendo, come in questo caso, quelle opportunità di recupero di persone che hanno sbagliato, che, insieme a un sostegno reale delle vittime, a me sembra l’unico vero compimento della giustizia. Invece c’è chi vuole abolire tutti i benefici, chi li vuole abolire per certi reati, chi pensa a farlo per i recidivi, senza distinguere i casi diversi, senza capire che ogni situazione è unica ed individuale, come dovrebbe essere il percorso di reinserimento delle persone detenute. Quindi, partendo dall’omicidio del carabiniere Cristiano Scantamburlo da parte del già omicida Antonio Dorio, morto anche lui nel conflitto a fuoco, ho cercato di vedere qualche altro caso per cercare di capirne di più.
In semilibertà e assassini: Ecco alcuni casi
Angelo
Izzo: Il massacratore del Circeo, in semilibertà, ha ucciso in provincia di
Campobasso Maria Carmela Limucciano, di 48 anni, e Valentina Maiorano, di 14
anni, rispettivamente moglie e figlia di un esponente della Sacra corona unita
da lui conosciuto in carcere. Antonio Mantovani: Uccide due donne quando era in semilibertà per scontare l'ultima parte di una condanna per l'assassinio della moglie di un amico. Cataldo
Spada: Uccide durante un permesso un ventunenne e rientra in carcere per
rispettare il regime al quale era sottoposto già da un mese per scontare un
cumulo di pene per oltre 4 anni di reclusione. Tutte queste persone hanno una cosa in comune, ossia nonostante i loro reati precedenti, sono riuscite a convincere educatori, psicologi, psichiatri, Polizia penitenziaria e quanti altri redigono in carcere le cosiddette sintesi di osservazione scientifica della personalità che vi erano le condizioni per concedere permessi premio e misure alternative. Agli operatori si sono uniti un Magistrato di Sorveglianza, e un intero Tribunale di Sorveglianza nel caso di misure alternative, nel ritenere che si poteva rischiare di conceder loro un po’ di libertà. Sono in realtà casi tutti abbastanza particolari, dietro i quali ci sono delitti inquietanti. Tornando all’ultima vicenda, quella di Antonio Dorio, lui aveva ucciso un’anziana tabaccaia per 300.000 lire con una settantina di coltellate. A me, riflettendo su queste storie, viene subito da pensare a che cos’è il carcere e qual è la sua capacità di entrare, tramite i mezzi che ha, nel cervello di certe persone. Parlo di persone complesse e di una complessità pericolosa, e penso ad un carcere sovraffollato, sotto organico soprattutto nelle figure che più dovrebbero acquisire conoscenza della persona. Penso infine all’incapacità di interagire con questi casi pericolosi, che fa sì che alla fine ci si nasconda dietro la pericolosità dei benefici stessi, dimenticando che, come nella vicenda di Dorio, tra otto anni circa lui sarebbe stato comunque libero e probabilmente uguale a come era in questi ultimi mesi. Mi è capitato, anche con un certo imbarazzo, di discutere con alcuni compagni che scontavano condanne per omicidio, e di scoprire che non avevano mai incontrato uno psichiatra o uno psicologo. Anche se è facile constatare che i casi di recidiva di omicidio sono veramente pochissimi, oggi però mi rendo conto che bastano questi casi eccezionali, perché tali restano, per metterci in condizione di dover difendere da attacchi furibondi l’utilità dei permessi premio e delle misure alternative come opportunità per tutti. Ma se proprio nei confronti di questi casi veramente pericolosi, soprattutto perché in un modo o nell’altro la loro pericolosità riescono a nasconderla, non si comincerà ad avere maggior cura ed attenzione, prima o poi si arriverà a convincere la gente a fare grossi passi indietro riguardo all’esecuzione della pena, che negli ultimi anni ha già subito attacchi in alcuni casi riusciti. Sta anche a noi quindi chiedere serietà, attenzione e cura per il bene di chi è dentro quanto di chi sta fuori, chissà che così diminuisca l’occasione di sentire attacchi insensati alla Gozzini. Per il resto qualche responsabilità va accertata, e ad esempio per il caso Izzo io non ho ancora capito come sia andata a finire. E Antonio Palazzo, che aveva tentato in passato di uccidere la fidanzata, e ora in semilibertà continuava a minacciare la compagna da cui aveva avuto un figlio, era considerato comunque sano di mente, e come lui tanti altri, nonostante i gravi problemi psichici, continuano a passare inosservati da quando gli mettono le manette a quando li scarcerano, e chi è stato in carcere di questi casi sa che non è raro incontrarne. Ma a me sembra assurdo sentire riproporre modifiche della legge, nei termini di negare i benefici a chi ha commesso omicidi o sequestri, mettendo tutti insieme come se non si trattasse di persone, sì, uomini e donne per i quali non si ha l’attenzione necessaria a conoscere la storia personale e a provare a capire quando, dove e come la loro pericolosità viene ad essere davvero minima. Questo dovrebbe significare, per gli operatori che poi valuteranno questo grado di pericolosità, entrare in una relazione con la persona con una preparazione scientifica e una disponibilità a mettersi in gioco, che nelle funzioni istituzionali purtroppo non è certo obbligatoria. Per il resto, che siano state perse altre vite non può essere una giustificazione a buttare via le chiavi a priori per nessuno, sarebbe la pena di morte mascherata e ripulita. Forse occorre una nuova logica del rischio nei confronti del reale cambiamento della persona che ha sbagliato, che sia basata sulla voglia e la speranza di tentare sempre di recuperarla, che non vuol dire però fare degli azzardi, che in certi casi sono evidenti anche per noi, che stiamo pur sempre dall’altra parte. E sono azzardi spesso dettati da un sistema al collasso che non funziona: i Magistrati di Sorveglianza, che devono occuparsi di come le persone condannate sconteranno la loro pena, sono solo 150, ma a tutti quelli che con la galera non avranno mai a che fare, qualche volta solo perché se lo possono permettere, cosa volete che interessi dell’esecuzione della pena: tangentopoli è finita e bancopoli sembra già risolta.
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