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Quel nodo droga - galera che si stringe sempre di più A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 26 febbraio 2006
Quel nodo droga - galera che si stringe sempre di più
Le storie che arrivano dal carcere oggi sono sempre più spesso storie di persone tossicodipendenti. Il fatto è che la dipendenza rappresenta già una situazione difficile e delicata, se poi si aggiunge la necessità di viverla clandestinamente, è quasi inevitabile finire per commettere reati. E intanto si continua a inventare spot pubblicitari che illudono e semplificano, come quello con il giovane tentato dalla droga che viene salvato dal padre che non lo trascura più, e anzi gli lancia il pallone simbolo di condivisione di qualcosa di "pulito". E si propongono ancora mondi del bene e mondi del male: come se lo sport fosse immune sia dalle droghe classiche che da quelle specifiche per aumentare le prestazioni, e come se una famiglia attenta fosse la soluzione di tutti i mali di vivere. Le tre testimonianze che seguono sono storie di droga, e quindi storie di carcere, dato che con le nostre leggi si va in galera, a meno che non si abbiano soldi, tanti soldi. Le raccontiamo perché vorremmo che il futuro riservasse meno carcere a chi già sta male, ma il timore è che la nuova legge peggiorerà le cose, con la giustificazione che non è vero che si mandano i consumatori in galera, li si vuole solo spaventare e costringere a curarsi.
Io ho avuto problemi sempre con alcol e droga
In famiglia eravamo sette fratelli. A casa mia i nostri genitori li vedevamo di sera e la domenica, perché andavano a lavorare per poterci mantenere. Mia madre era una che urlava sempre, ed era anche violenta, nel senso che te le suonava di santa ragione. Io le ho prese più di tutti, potrei dire che le botte erano il mio pane quotidiano. Io ho avuto problemi sempre con la droga e ho anche bevuto tanto in certi momenti del mio passato, sono finita due volte in carcere per questo motivo, che ero ubriaca e avevo perso il controllo e non riuscivo a fermarmi, cioè a tenere a freno la mia bocca e il cervello, che aveva in quelle situazioni una specie di blackout. Comunque in famiglia c’erano dei problemi di alcolismo, ne aveva mia sorella più grande e questa cosa mi fece molto soffrire, beveva mio fratello, insomma un bel casino e tanti guai. Non so se questa cosa ha sempre origine in famiglia, ma nel mio caso sì, e credo nella maggior parte dei casi. La famiglia, l’infanzia è fondamentale. Io sono convinta che la famiglia funziona se hai abbastanza serenità, calore, comprensione, presenza e dialogo. Una educazione che non riguardi soltanto le buone maniere, la scuola, una professione, ma che includa anche una crescita "dell’anima". Invece, spesso dell’universo delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, non ci si cura, non fa parte dei progetti educativi, non è considerato parte integrante del nostro essere. Io tendo tuttora a non voler raccontare della mia famiglia, faccio fatica perché ci sono cose di cui mi vergogno, perché uno vorrebbe essere orgoglioso sempre almeno dei genitori e dei fratelli. Anche se ho sbagliato, e quello non mi costa fatica ammetterlo, sono spesso fin troppo severa con me stessa, però vorrei che mi si illuminassero gli occhi quando mi si chiede della mia famiglia, invece mi viene un groppo in gola e corro ai ripari, a proteggerli ancora. Mia madre è morta mentre io mi trovavo in carcere alla Giudecca, mi mancavano due mesi al fine pena. Piansi più di rabbia che di dolore, ho pianto perché mia madre se ne era andata via prima che potessimo chiarire un po’ di cose. Mi sentivo fregata. Poi mi consolavo: i morti vanno a riposare in pace, era così che ragionavo, si perdona e si dimentica. Ma oggi so che si può perdonare, ma per dimenticare non ti basta una vita intera che hai a disposizione. E allora bisogna imparare a convivere con i ricordi che ti fanno sorridere e ti scaldano il cuore, e poi bisogna convivere anche con quelli che ti fanno del male. E bisogna cercare di comprendere che la sofferenza e il dolore aiutano, se non altro ti possono rendere più sensibile, più attenta e forte.
Christine W.
Non dimenticherò mai il terrore dei miei genitori per un figlio che non capivano più
Fa una strana sensazione pensare ai tanti anni che sono passati da quando ho avuto il mio primo rapporto da dipendente con le sostanze stupefacenti. Arrivo a fare queste riflessioni un po’ perché hanno riformato la precedente legge, che già non mi piaceva per niente, un po’ perché sono stato scarcerato da poco, dopo qualche anno trascorso in cella per reati legati alla tossicodipendenza, come al solito tanti reati di non elevata pericolosità. Mi sembra incredibile che con questa nuova legge in realtà non cambi niente, anzi vengano aggravate solo le parti che più hanno creato isolamento, segregazione, clandestinità. Una legge che secondo me fa leva sull’angoscia delle tante persone colpite in pieno da un problema del genere. Non dimenticherò mai il terrore dei miei genitori per un figlio che non capivano più, assorbiti com’erano da un immaginario sulle droghe che inibiva qualsiasi possibilità di confronto lucido, e che era fomentato in alcuni casi proprio da chi gli doveva dare una mano. Ed io che stavo sempre peggio, e non riuscivo a venirne fuori qualsiasi cosa tentassi di fare, di testa mia o affidandomi quasi ciecamente agli altri. La manovra più triste di questa nuova legge è senza dubbio quella nei confronti delle famiglie, alle quali si dice che realmente si vuole bene a questi ragazzi che sbagliano e che tutto sarà fatto per non fargli vedere la galera. Questo mi riempie soprattutto di rabbia, perché mi brucia ancora il ricordo del trattamento ricevuto, e delle dosi massicce di carcere che mi sono trovato addosso. Mi viene in mente la prima notte a Regina Coeli, già sapevo che i miei mi avevano mollato, almeno per un po’, ricordo quando mi sbatterono in crisi d’astinenza al terzo piano del letto a castello, che non riuscivo neanche a salirci. Al mattino, crollato dallo stress, convinto di vivere in un incubo, avevo creduto di svegliarmi a casa mia dopo un brutto sogno che ora finiva, ed ero sceso dal letto per andare a farmi un caffè: sono volato per tre piani rischiando di ammazzarmi. E il pensiero era di farla finita subito, un bel laccio intrecciato, un cappio che scorresse bene, così la smettete di torturarmi: ma eravamo tanto pigiati che non c’era né lo spazio né la privacy per appendere la corda. Alcuni compagni ti facevano intanto capire che anche il suicidio era una rottura di scatole per gli altri, che poi c’era la solita farsa di indagine, che gli avrei creato problemi. La dipendenza da una sostanza è stata più forte di me, ed io non sono stato in grado di difendermi da un sistema che ti mette all’angolo e non ti lascia possibilità diverse dal delinquere, e la responsabilità resta comunque tua, anche se hai lottato e non ce l’hai fatta. Oggi la situazione peggiorerà, perché saranno tanti di più i ragazzi fuori dal giro criminale a trovarsi in carcere, ed avranno ancora meno strumenti per difendersi.
Stefano Bentivogli
Un calvario di litigi, di incomprensioni e di bugie
Dopo tanti problemi da adolescente, e di conflitti con i miei genitori, verso i 25 anni ho cominciato a far uso di sostanze stupefacenti. All’inizio non avrei mai creduto di andare incontro a tante sofferenze, pensavo che fosse una sfida legata alla voglia di sentirsi grandi e di assomigliare a quei modelli di persone che spesso i giovani cercano di imitare a tutti i costi, ma che poi si dimostrano sempre sbagliati. Da principio assumevo la sostanza di tanto in tanto. Ben presto mi accorsi che ero entrato in un mondo tutto mio, dove non c’era spazio per nessuno che non fosse un mio simile. Le cose andavano sempre peggio, iniziavo ad avere problemi nel relazionarmi con tutti, in particolare con la mia famiglia che mi vedeva sempre più assente, non partecipavo ad alcuna discussione che riguardasse l’ambiente familiare. Mia madre era una donna protettiva con tutti noi, ed in particolar modo con me, e questa protezione andò aumentando quando seppe che mi facevo. Spesso leggevo nei suoi occhi il terrore di perdermi, e, anche se oggi me ne vergogno, ne ho approfittato, di questa sua debolezza, per avere soldi per comprarmi la droga. A volte, senza aver commesso alcun reato, mi sentivo un "latitante", ma non fuggivo dalle Forze dell’Ordine, fuggivo dalle persone care, e da me stesso. Per i primi due anni ero ancora convinto di potere smettere quando avessi voluto. In un periodo di totale smarrimento, chiesi alla mia ragazza di sposarmi. Oggi posso dire che lo feci forse per un estremo tentativo di smettere di drogarmi. Pensavo che con gli impegni del matrimonio sarei riuscito ad allontanarmi un po’ alla volta dalla realtà che ormai mi stava distruggendo. La nascita di mia figlia rafforzò in me la volontà di smettere definitivamente, e decisi per il ricovero ospedaliero. Mi disintossicai e per alcuni mesi non mi feci. Poi ci fu la ricaduta, e un calvario di incomprensioni e di bugie, che avevano preso il posto dell’amore. Lei cercò di sopportarmi, ma io ero inavvicinabile. Avevo ricominciato a farmi, e certe volte neanche la sostanza riusciva a colmare quell’enorme senso di disagio che mi portavo dentro, per ottenere un risultato mi bucavo anche dieci volte nell’arco delle 24 ore. Ma per farlo avevo bisogno di spacciare, di delinquere, e subito ci fu il primo arresto. Mia moglie perse ogni speranza di salvare il nostro matrimonio. E da lì credo di aver toccato il fondo, per poi cercare di ripartire e altre volte ricadere, perché il percorso per venirne fuori è durissimo. E però è importante non essere isolati e abbandonati. Nel recupero di persone che hanno sempre vissuto tra violenza, reati, disagi, conflitti famigliari, vi possono essere delle ricadute, che devono sì essere segnalate e seguite, ma non punite a livello giuridico. Bisogna aiutare le persone a ragionare sui propri errori evitando di accrescere la propria frustrazione, e per farlo c’è necessità di un forte sostegno di tipo psicologico e non certo di galera.
Michele B.
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