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C’è una pena efficace per i guidatori ubriachi? A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 23 luglio 2007
Non c’è reato per cui nel nostro Paese non si pensi che la migliore pena possibile è il carcere: carcere per le violenze allo stadio, carcere per gli studenti prepotenti accusati di bullismo, carcere per chi provoca incidenti perché guida sotto effetto di alcol o droga. Ma siamo poi così sicuri che è questa la ricetta giusta? Proprio dal carcere, e ripensando alle proprie esperienze, alcuni detenuti con le loro testimonianze provano a fare una riflessione sulle pene che potrebbero essere più efficaci per fermare i disastri che avvengono sulle strade per colpa di chi guida sotto effetto di alcol o droga.
Come fanno le persone "regolari" a perdere la testa nei fine settimana?
Ho più di cinquant’anni e di reati ne ho commesso diversi, ma non ho mai guidato ubriaco. Certo ho fatto di peggio, e per la vita degli altri spesso forse ho avuto poca attenzione, e infatti non posso negare che ogni volta che si andava in giro armati, si sapeva che all’occorrenza avremmo sparato. Allo stesso modo, quando entravamo in banca per fare una rapina, sapevamo che se la guardia reagiva avremmo sparato, anche se speravamo che questo non succedesse mai - comunque non eravamo così folli da pensare che usare un’arma fosse una cosa da niente – e per fortuna a me non è mai successo. Così come non è mai successo, durante qualche fuga, di mettere a rischio i passanti con la macchina che si fiondava a gran velocità tra le vie dei quartieri abitati. Ma se non è successo, non significa che non sapevamo che poteva succedere. Anzi, abbiamo sempre saputo che l’autovettura è un’arma, spesso molto più letale di una pistola o di un mitra, perché se si perde il controllo, si hanno quintali di massa ferrosa scagliata contro persone in carne e ossa. E allora, se uno di noi aveva bevuto o assunto droghe, non si metteva al volante, lasciava il posto a un altro, sobrio. In realtà, in questo modo si evitava di fare incidenti, perché non volevamo rischiare di dare nell’occhio, visto che giravamo armati, ma si evitava anche di mettere in pericolo i passanti. Eravamo dei delinquenti, con pochi scrupoli e voglia di far soldi in fretta, ma comunque capivamo che con la vita degli altri non si doveva scherzare, anche se questo non alleggerisce di un grammo la nostra responsabilità. E allora, da delinquente che è arrivato a un po’ di consapevolezza, mi domando come fanno le persone "regolari" a perdere la testa nei fine settimana, bevendo alcool e trasformando le strade in circuiti di Formula uno. Come fanno a non rendersi conto dei pericoli che causano a sé e agli altri? Ecco, io non sono un cittadino regolare e non potrei mai fare la morale agli altri, ma ho capito che le persone, regolari o meno che siano, dovrebbero imparare a essere più responsabili. Non si è potenziali assassini solo se si va in giro con un’arma, lo si è anche se si guida ubriachi, rischiando di fare una strage. E allora, che finisca in carcere o che se la cavi con una multa, chi uccide con la macchina una persona, ce l’avrà sulla propria coscienza come un macigno per il resto della propria vita, nello stesso modo in cui portano nella loro coscienza le loro vittime molte persone che si trovano qui in carcere per aver ucciso.
S.C.
E se assistessero i traumatizzati da incidente stradale?
Nei giorni scorsi i Tg hanno trasmesso i servizi sull’incidente di Pinerolo, dove un uomo ubriaco, che i passanti volevano poi linciare, ha investito e ucciso una ragazza di 17 anni. Questa settimana abbiamo sentito anche, dall’aula di tribunale dove stava iniziando il processo, le urla di dolore dei familiari dei tre giovani "falciati" da un nomade pochi mesi fa. Queste tragedie hanno dato il là ad un giro di vite che si preannuncia inflessibile. Il ministro Bianchi ha parlato di emergenza nazionale, mentre Amato ha proposto contromisure che vanno dal sequestro alla confisca della vettura, alla galera. Il procuratore capo di Bologna ha dichiarato che qualora il guidatore abbia fatto uso di stupefacenti o abusato di alcool, le conseguenze dell’evento consentirebbero di arrestare il responsabile dell’incidente e di contestargli l’omicidio volontario anziché quello più "lieve", e cioè il colposo. Nella redazione di Ristretti Orizzonti la corrente di pensiero più diffusa, ma sappiamo bene quanto il nostro status di detenuti abbia influito su questo, è che la soluzione non consiste certamente nel mettere in galera chi, ubriaco, abbia investito ed ucciso qualcuno. Anch’io, in linea di massima, condivido questa teoria, anche se mi rendo conto che il caso di Pinerolo – al responsabile la patente era già stata ritirata, e poi restituita, per ben tre volte – è indifendibile, e come tale non può essere preso ad esempio. E la mia convinzione vacilla ancor di più se ripenso alla mamma di un mio amico, stritolata sotto le ruote di un camion condotto dall’autista ubriaco, ma nonostante ciò ritengo che la "linea dura" sia prevalentemente un provvedimento di facciata che non risolverà più di tanto il problema. Dal momento che l’abuso di alcol costituisce la causa di gran parte dei sinistri mortali, certamente qualche rimedio deve essere adottato, col rischio però che, una volta esaurito l’effetto iniziale (è successo anche con la patente a punti), si torni alla "normalità". D’altronde chi corre in auto, ubriaco o sotto l’effetto di droghe, difficilmente mette in conto l’incidente e riflette sulle conseguenze che questo potrebbe avere per sé e per gli altri. Credo piuttosto che il problema sia di tipo culturale. In Inghilterra, ad esempio, i cittadini non si sognano neppure di alzare il gomito e mettersi poi alla guida della propria auto. Se sono soli, all’uscita di ogni locale trovano una serie di numeri: basta una telefonata e qualcuno li riaccompagna a casa. Questo mi fa pensare che in Inghilterra siano efficaci le campagne di sensibilizzazione rispetto al consumo di alcool, mentre in Italia generalmente ci preoccupiamo di trovare una strada alternativa per non incappare nei blocchi della polizia. Io non ho ricette magiche, ma forse avrebbe davvero senso "infliggere" ai guidatori ubriachi che causano incidenti mortali una "sanzione" mite ma certa, che però rimanga ben impressa nella loro mente: qualche anno di serio volontariato in una struttura ospedaliera, ad assistere i traumatizzati da incidente stradale.
Marino Occhipinti
Per troppo tempo ho guardato solo avanti, incurante di ciò che lasciavo alle mie spalle
Ho letto che lo scrittore argentino Borges, nel corso di un’intervista, alla domanda su che tipo di rapporto avesse con i suoi lettori, rispose: è come fossero sempre dietro di me, solo che io non mi volto mai indietro. Faccio questo esempio perché sono un detenuto, e se Borges non si voltava per non rendere conto ai suo lettori di ciò che scriveva, io avrei dovuto farlo, e invece per troppo tempo ho guardato solo in avanti incurante di ciò che lasciavo alle spalle. È stato uno sbaglio, un modo per non pensare a quello che avevo commesso. In questi giorni su tv e giornali si susseguono servizi e articoli su gravi incidenti stradali, provocati da conducenti sotto l’effetto dell’alcool o di droghe. Di conseguenza i politici chiedono carcere, sempre carcere, ancora carcere. Io in carcere ci sono e non vorrei vedere entrarci altre persone, ma è pur vero che ogni persona deve assumersi le proprie responsabilità, le vittime di un incidente stradale provocato da chi guida in uno stato di alterazione sono per certi aspetti equiparabili alle vittime di chi commette un reato. È appunto guardandoci dietro le spalle che forse riusciamo a vedere quello che spesso vorremmo ignorare: i reati che mi hanno portato in carcere sono legati all’abuso di alcool e droghe, per troppo tempo ho finto con me stesso, avevo un problema ma mi rifiutavo di affrontarlo. Quando bevi e magari, come nel mio caso, fai uso di cocaina ti costruisci una specie di catena della quale difficilmente riesci a liberarti: bevi per darti una effimera sicurezza, una falsa euforia, ti sembra che la vita sia più godibile, ma è solo il conforto di chi cerca giustificazioni alla sua incapacità di fare scelte più responsabili. Oggi, in questa "pausa di riflessione" molto pesante (mi piace chiamare così la mia carcerazione) in qualche modo riesco a "revisionare" il mio passato, e devo ammettere che in un certo senso sono stato fortunato: ho vissuto un periodo della mia vita senza alcun senso civico, mettendo continuamente in pericolo la vita degli altri, guidare nello stato in cui ero e non aver causato incidenti mortali si avvicina molto al miracolo. Questo però non mi dà sollievo, non mi giustifica: avevo un’arma, l’auto, e la usavo mettendo in costante pericolo chiunque passasse sulla mia strada. Ho conosciuto rapinatori di banche, io ero un rapinatore di vite.
Franco Garaffoni
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