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Anche i detenuti stranieri hanno diritto di sperare A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 22 settembre 2008
La vita degli stranieri nelle carceri italiane è dura, anche più dura di quella degli italiani: le loro testimonianze dicono che spesso faticano a mantenere i legami famigliari, a volte stanno anni senza parlare con i loro cari. Quindi, quando sentono i politici dire "Via gli stranieri dalle carceri italiane", e parlare di un loro possibile trasferimento per scontare la pena nei loro Paesi, vicini alle loro famiglie, sono in parecchi a sperarci. Invece, di trasferimenti da carceri italiane a carceri estere se ne vedono ben pochi: allora, forse bisognerebbe cercare di capire prima che cosa finora non ha funzionato, e poi lavorare per stringere accordi con i Paesi d’origine dei detenuti stranieri, ma nel frattempo non dimenticarsi delle loro condizioni di vita nelle carceri italiane, e per lo meno fare qualcosa per rendere meno faticoso mantenere i legami famigliari attraverso le telefonate e i colloqui.
Gli affetti coltivati in una stanza affollata
I miei compagni di carcerazione mi dicono che i colloqui e le telefonate sono l’unica cosa che ti fa un po’ uscire da questo mondo, anche se si tratta solo di qualche ora: sarà poco, ma penso che a volte sia importante spezzare l’angoscia e la tristezza che ti assalgono in certi periodi. Anche se si cerca di impegnare il tempo con le attività offerte dal carcere, capita di ritrovarsi soli con le proprie paranoie, pensieri e preoccupazioni rivolti sempre ai famigliari che stanno vivendo questa esperienza con noi. Stare lunghi periodi senza vedere i propri cari fa aumentare enormemente le angosce e ci costringe a passare dei lunghi periodi di buio e aggressività. A volte basterebbe una telefonata per farci capire che c’è ancora qualcuno che veramente ci vuole bene, oppure un colloquio per farci sentire il calore di chi ci è vicino, e rasserenarci in attesa di quando usciremo e torneremo a casa. In pratica i colloqui famigliari sono l’unico modo che abbiamo per progettare un futuro, altrimenti si rischia di uscire fuori di qui senza punti di riferimento. Però non è facile coltivare gli affetti, anche perché in Italia non si possono fare colloqui intimi, come è invece possibile in tanti altri Paesi: Svizzera, Spagna, Stati Uniti, anche l’Albania. Così succede che anche per chi è sposato è difficile mantenere vivo l’amore, che a volte dopo anni di carcere finisce per spegnersi, rendendo le persone ancora più sole. Questo si potrebbe evitare dando lo spazio e il tempo giusto a molte famiglie, a mogli e figli, per poter stare assieme al loro caro e condividere almeno per qualche ora le sofferenze e qualche gioia, e rafforzare cosi i legami di queste famiglie. Io non faccio colloqui perché la mia famiglia si trova in Albania, ma se fossi sposato e dovessi incontrare mia moglie in una sala colloqui, come avviene qui in Italia, anche se è chiaro che sarei molto felice di vederla, sono sicuro che, senza un vero e proprio contatto fisico, non potrei avere da lei il calore di cui un rapporto ha bisogno per rimanere in vita. Questo succede perché spesso nelle sale colloqui si è in troppi e, a parte qualche bacio, qualche carezza e qualche abbraccio "rubati", non si può far altro che parlare e parlare, altrimenti ti possono fare un rapporto disciplinare. Ma anche per quel che riguarda le cose di cui puoi parlare con le persone care, succede che c’è sempre vicino qualche altra famiglia con figli piccoli che piangono e non ci si sente mai liberi di esprimere i propri sentimenti, o almeno non si può affrontare serenamente nessun argomento serio, se non si vuole restare intrappolati in qualche malinteso. Alla fine spesso si finisce per dirsi che la storia così non può andare avanti, anche per non condannare le nostre famiglie a vivere la galera con noi.
Elvin Pupi
Fateci scontare la pena vicino alle nostre famiglie
Sono uno "spaventoso" immigrato di origine balcanica che da tredici anni disturba la tranquillità di questo paese occupando una cella in carcere, e l’unico lavoro che ho svolto in questi anni è stato pulire i corridoi per poco più di cento euro al mese. Quindi, un po’ per la mia posizione sociale e un po’ per quella economica, ambedue disastrate, di solito quando sento dei politici parlare di immigrati mi spavento e spero che le loro promesse di sicurezza non si realizzino, proprio per i costi che avrebbero sui milioni di disgraziati come me. Tuttavia recentemente, nei vari comizi dei partiti, ho sentito echeggiare una ricorrente minaccia di svuotare le carceri mandando i detenuti stranieri a scontare la pena nel proprio Paese. Devo dire che questo è l’unico impegno dei politici italiani per cui incrocio le dita nella speranza che siano di parola. Ho però forti sospetti che, come le altre volte, anche questo entusiasmo si riveli una trovata mediatica e alla fine, così come è successo in precedenza, io e molti miei conterranei continueremo ad abitare le celle sovraffollate delle carceri italiane. I media parlano tanto di carceri strapiene e di condizioni invivibili, ma in realtà per noi detenuti stranieri la cosa che rende la detenzione inaccettabile è la separazione dai nostri cari. Più che la perdita della libertà ci addolora sapere che i nostri genitori devono affrontare mille peripezie, se sperano di poter venire per qualche giorno in Italia: intere settimane di file di fronte all’Ambasciata italiana per chiedere un visto d’ingresso, controlli, sospetti, umiliazioni, e alla fine, molti ricevono tante porte in faccia e solo pochi riescono ad avere il tanto desiderato timbro sul passaporto. L’ultima volta che mia madre ha avuto un visto per venire a trovarmi è stato un anno e mezzo fa: dopo anni di rifiuti, all’Ambasciata hanno deciso di darle un visto di dieci giorni, giusto il tempo del viaggio e di fare un colloquio di poche ore con il figlio che non vedeva da anni. Non so quando la rivedrò di nuovo, e quanto a mio padre, ormai si è rassegnato e dopo otto anni di domande respinte non chiede più nulla alle autorità italiane. Sono migliaia i detenuti stranieri che incontrano i loro famigliari raramente o quasi mai, per non parlare del fatto che molti hanno famiglie talmente povere che non sognano nemmeno di intraprender un viaggio così costoso. Ecco perché, rispetto alle minacce di liberare le carceri dagli stranieri mandandoli a scontare la pena nel proprio paese, siamo tanti i detenuti a dire "fatelo". Fatelo e lasciateci ritornare vicino alle nostre famiglie, così, anche se magari andremo a vivere in carceri peggiori, per lo meno non saremo più obbligati a sentire le minacce di chi pensa che siamo la causa di tutti i mali del vostro Paese e non continueremo a essere preda di insulti quotidiani.
E. Makarov
Vorrei anch’io riuscire a parlare con i miei cari
Mi sento di scrivere questa testimonianza perché, come tutte le persone detenute, anch’io ho bisogno di avere la possibilità di parlare con i miei cari, ma siamo in tanti qui in galera i cui parenti non hanno un telefono fisso in casa, e di conseguenza non ci è consentito avere nessun contatto con loro, perché se le nostre famiglie hanno solo il telefono cellulare, con le regole attuali non è permesso chiamarle. A dire la verità, per noi è difficile capire perché ci rendono la vita difficile con questi divieti, mentre ci sono un sacco di Paesi, dalla Francia agli Stati Uniti, nei quali i detenuti possono telefonare serenamente ai propri famigliari, e anche ad amici, a persone care, senza tutte queste limitazioni. Le lettere destinate a un Paese lontano come il mio, la Moldavia, arrivano una volta su dieci, quindi le notizie da casa sono pochissime, io sono cinque anni che non ho un colloquio telefonico con i miei cari perché cosi sono le regole, e sono regole difficili da accettare. Ma per quale ragione telefonare a un cellulare deve essere vietato, considerato il fatto che i telefoni mobili si possono controllare quasi meglio di quelli fissi? E comunque oggi la tecnologia tende sempre più ad eliminare i telefoni fissi in favore di quelli mobili, quindi credo che a questo punto si dovrebbe prenderne atto e autorizzare le telefonate anche sui telefoni mobili, cosi possiamo anche noi riallacciare i rapporti con i nostri cari e ricostruire finalmente i nostri legami più importanti. Certo viviamo in un periodo in cui i detenuti stranieri il vostro Paese preferirebbe cacciarli in fretta, ma intanto cambiare le norme che riguardano le telefonate dei detenuti, che di fatto impediscono a molti di noi di avere un contatto con le proprie famiglie, non costa nulla e credo non presenti nessun rischio. La possibilità di telefonare è spesso l’unico modo che abbiamo per mantenere un legame con la vita esterna: scontare la pena non penso debba voler dire essere privati della speranza di sentire almeno le voci dei nostri cari.
Sergei Vitali
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