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Il diritto di voto agli immigrati crea sicurezza a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 15 settembre 2008
Di questi tempi parlare di voto agli immigrati può sembrare fuori dalla realtà, e farlo dal carcere ancora di più. Però c’è un aspetto di questo problema che è utile venga ricordato proprio da chi ha commesso un reato, e sta scontando una pena: è il fatto che una persona, che si senta accolta e riconosciuta come cittadino di questo Paese a tutti gli effetti, forse ha meno voglia di violarne le leggi. "Un voto che crea sicurezza" potrebbe essere il senso delle testimonianze dal carcere che seguono.
Voto ai lavoratori per conquistare anche il loro cuore, oltre che il profitto del loro lavoro Se i politici dicono che il tema del voto degli immigrati richiede attenzione e competenza, allora mi domando perché lo scartano rapidamente e passano a discutere d’altro. Se è una cosa importante si deve parlarne con la gente e non rinviare sempre, e bisogna anche avere la consapevolezza che l’Italia si trova di fronte a un problema che prima o poi devono affrontare tutti i Paesi europei. Qui dentro siamo costretti a vivere tutti insieme, però per noi stranieri la galera è ancora più dura, ed è sempre più difficile avere dei sentimenti di affetto per questo Paese. I nostri compagni di detenzione italiani fanno colloqui con i loro famigliari, mentre molti di noi stranieri hanno i famigliari che non riescono a ottenere il permesso per venire in Italia, e allora possono solo pensare con nostalgia ai luoghi della loro infanzia, Tirana, Bucarest, Tunisi. Ma, da quando c’è in vigore la legge che obbliga gli stranieri a ritornare nel proprio Paese quando finiscono la pena, è certo impossibile fare progetti di vita qui, e però è difficile anche immaginarsi una vita in Paesi che da anni abbiamo lasciato. Credo che per gli immigrati regolari sia un po’ lo stesso. Per delle persone in regola che lavorano e partecipano alla vita sociale di questo Paese nello stesso modo degli italiani migliori, è pesante vedersi negare dei diritti perché non sono cittadini italiani. Se questo produce rabbia in noi che siamo rimasti fuori dalle regole di questa società, immaginarsi il senso di frustrazione che provano quelli che si comportano in modo civile, ma che poi sentono dire che il diritto di voto spetta solo agli italiani. A noi qui dentro parlano di rieducazione e legalità, agli stranieri fuori parlano di integrazione e rispetto delle regole, poi però spesso le vostre Istituzioni si rifiutano di dare un po’ di fiducia almeno a quelli fuori, e li lasciano ai margini della società, facendoli sentire sempre diversi. Ma se si creano divisioni già in partenza, come si potrà promuovere la cultura e i valori del Paese ospitante nella persona da integrare? Mi sembra che questo Paese voglia assorbire soltanto le energie lavorative e intellettuali degli stranieri, facendo un grosso sbaglio, quello di non preoccuparsi di "impadronirsi" anche dei cuori degli immigrati. In questo modo obbligano tutti a sentirsi in una situazione di passaggio. Così succede che anche gli immigrati liberi, come noi detenuti, convivono con la precarietà della loro condizione, e con il rischio di essere tutti soggetti ad espulsione, in qualsiasi momento.
Milan Grgic
I nostri figli non daranno il voto a chi oggi lo ha negato ai loro genitori
Il sabato è un giorno speciale per me, detenuto da quattro anni: da un lato perché ho i miei dieci minuti di telefonata con mia madre e mio padre, dall’altro perché viene a trovarmi mia sorella con il marito e i miei due bellissimi nipoti. Arrivano sorridenti, dopo un lungo abbraccio ci sediamo e cominciamo a parlare, e qualche volta io gli spiego quanto vorrei stare fuori con loro. Mi sento in dovere di fare di tutto per fargli capire che qui dentro non ci devono mai finire, e questo mi dà la forza di andare avanti. Oggi ci siamo ritrovati a parlare della questione di far votare gli immigrati, ultimamente riapparsa nel dibattito politico. Mentre discutiamo, guardando i miei nipoti di 8 e 12 anni, nati e cresciuti in Italia, penso: ma questi non saranno forse gli italiani di domani? Allora, perché i loro genitori che vivono e risiedono regolarmente da diciotto anni in Italia, rispettosi delle leggi del Paese che li ospita, non possono votare? Io trovo incomprensibile la giustificazione che la questione "non è nel programma elettorale". Quando sono venuto via dall’Albania, abituato alla dittatura del proletariato, mi hanno spiegato che un sistema democratico come quello italiano, diversamente da un sistema totalitario, è soggetto a continui cambiamenti, sviluppi e trasformazioni. Però nessuno mi aveva detto che i governi, qualsiasi cosa succeda, si attengono solo ai programmi elettorali, come se fossero robot programmati per un compito preciso senza curarsi di quello che succede intorno. I politici dicono che gli immigrati devono sapere che qui ci sono diritti e doveri, e io penso che se esistono stranieri che adempiono ai loro doveri, allora quello del voto è un diritto che deve essere riconosciuto al più presto. Sono pienamente d’accordo che chi sbaglia deve pagare, e accetto che chi come me si trova in carcere non possa votare, ma credo che quell’esercito di stranieri che ogni giorno contribuisce, lavorando e pagando le tasse, allo sviluppo di questo Paese, abbia il diritto di esprimere attraverso il voto le scelte politiche e amministrative che meglio rispecchiano i suoi interessi. Credo che concedendo il voto non si faccia altro che far sentire gli immigrati un po’ più uguali a quegli italiani con i quali lavorano fianco a fianco ogni giorno. I nostri figli, che sono nati e cresciuti qui, domani saranno cittadini italiani e certo non staranno zitti, ma rivendicheranno con forza i loro diritti, e non daranno i loro voti a chi oggi ha negato il voto ai loro genitori, e non gli ha permesso di scegliere il loro futuro. Sicuramente sceglieranno chi prometterà anche agli immigrati un futuro fatto di giustizia sociale e rispetto delle diversità culturali, religiose, politiche. Nel frattempo l’orario del colloquio è finito e sento i mie nipoti che mi salutano, in italiano naturalmente: è il loro modo per confermare il fatto che saranno gli italiani di domani?
Gentian Germani
Il voto responsabilizzerà gli immigrati e porterà così maggiore sicurezza
Nel carcere di Padova, un modo che la direzione utilizza per stimolare le persone che fanno fatica a osservare le regole dell’Istituto è quello di cercare di dar loro un lavoro da fare. E spesso vediamo che in poco tempo anche una persona irrequieta, che in cella non faceva altro che litigare e urlare, si trasforma in un lavoratore responsabile. Lavorare in lavanderia significa dover lavare e stirare le lenzuola di settecento detenuti, lavorare in cucina vuol dire avere responsabilità ancora più grandi. Insomma dare un compito ben preciso ai detenuti, ma soprattutto dare delle responsabilità fa sì che anche le persone più cattive e più violente della società per lo più si sentano in dovere di agire come agisce nel suo posto di lavoro ogni normale operaio: per comportarci come le persone normali bisogna che cominciamo a sentici un po’ normali anche noi detenuti. Oggi ci sono in Italia milioni di lavoratori immigrati che vorrebbero aggiungere anche il loro voto a quello degli italiani. Riconoscere questo diritto secondo me è un atto dovuto perché ci sono anche loro a contribuire agli stipendi dei politici che governano questo paese, così come contribuiscono alle spese delle scuole dove mandano i figli gli italiani, e degli ospedali dove si curano gli italiani, mentre molti lavoratori immigrati mandano i figli e i genitori in scuole e in ospedali fatiscenti nei propri Paesi d’origine. Però, puntualmente si tira fuori il discorso della sicurezza dei cittadini, che si sentono minacciati dagli stranieri che delinquono. Se questo è vero allora credo che il voto potrebbe aiutare a risolvere il problema. Anche se sostenessimo che tutti gli stranieri, quando vengono in Italia, non si preoccupano di comportarsi in modo responsabile, la loro responsabilizzazione sarebbe l’unica soluzione. E visto che ai politici di oggi piace risolvere le questioni con la galera, dovrebbero trarre anche qualche lezione dai metodi di rieducazione che il carcere di Padova propone. Se l’immigrato straniero è chiamato a votare, significa che pure i partiti politici saranno chiamati a promettere agli immigrati dei miglioramenti nella loro condizione di vita. Questo dialogo aprirebbe una dimensiona nuova all’interno della quale gli immigrati si ritroverebbero investiti delle responsabilità che hanno gli italiani, e allora si comporterebbero come loro, o magari anche meglio di alcuni di loro. Ecco che, se volete degli stranieri che rispettano le leggi, allora quello della responsabilizzazione attraverso il voto sarebbe un importante passo in avanti: per comportarsi come gli italiani onesti, bisogna che comincino a sentirsi un po’ italiani anche gli immigrati.
Elton Kalica
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