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Tre storie di rapporti affettivi difficili A cura della Redazione Femminile di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 19 marzo 2007
Tre donne, tre storie che raccontano come il carcere entra pesantemente nella vita delle persone, la condiziona, succhia energie e distrugge affetti. Le prime due sono compagne di detenuti, costrette a vivere l’amore sul filo del telefono, o di quelle ore dei colloqui, sei in un mese, che devono bastarti poi per giorni e giorni, la terza è una donna detenuta, che vive una condizione particolare, di giorno lavora fuori, di sera rientra in carcere: una vita a metà, metà galera e metà libertà, che è difficile da spiegare a una persona "normale", e rende spesso impossibile qualsiasi rapporto d’amore.
Per me non trovo più piacere a far nulla, tutto ruota intorno a lui
Un foglio bianco è sempre quello che mi trovo davanti tutti i giorni, per mettere per iscritto sensazioni, per "parlare" con il mio compagno, per scambiarci carezze. Sì, perché il mio compagno purtroppo è uno dei tanti esseri umani che sono detenuti nelle carceri italiane… Non è facile essere la compagna di un detenuto, ma l’amore supera anche queste barriere. Solo che le coccole e le carezze si leggono ma non si sentono sulla pelle, mancano, e questa mancanza la si sente reciprocamente, e crea un piccolo vuoto dentro, una specie di tarlo che rode, che fa male. Ci si sente impotenti l’uno verso l’altro specialmente se si sa che il proprio compagno sta male… e non si può fare nulla per accudirlo, per essergli vicino, per confortarlo. Quello che mi fa più soffrire è dovuto ai chilometri di distanza tra dove vivo e il carcere in cui è rinchiuso il mio compagno, e questo non mi permette, a causa anche della mia pessima salute, di andare ai colloqui, quindi stiamo a lungo in attesa di quella oasi, come la chiamo io, della telefonata, la possibilità di parlarci direttamente… dieci minuti che volano, e non si riesce mai a dirsi tutto, nel più bello che ci si potrebbe fare qualche coccola arriva la voce dell’agente che dice: "saluta" o "stacca" o "…è finita la telefonata". Lo so, l’agente sta facendo il suo lavoro, ma quanto "odio" quelle parole… Si arriva ad acquistare una segreteria solo per registrare la voce del proprio amato, per riascoltare infinitamente quelle telefonate… Gli racconto i sogni, le speranze, le paure… Nonostante le tante attenzioni che abbiamo l’uno verso l’altro, nascono spesso incomprensioni dovute alla distanza, alle lettere che vanno perse, o che tornano al mittente a causa degli spostamenti da un carcere all’altro: sì, i trasferimenti sono atroci da superare… vengono prelevati all’improvviso e i documenti che li riguardano li raggiungono a date da destinarsi, quindi le telefonate saltano, e a casa ci si rode il fegato, si inizia a pensare "cosa gli sarà capitato?", "che stia male?"… Tutto ciò che la detenzione comporta non viene vissuto solo dal detenuto, ma anche dai famigliari, in particolar modo dalla compagna. Per me non trovo più piacere a far nulla, tutto ruota intorno a lui… È lui ora il più debole (debole nel senso che si trova in una situazione di svantaggio rispetto a me), ci si deve fare forza… non c’è tempo per abbattersi… si deve trovare la forza per essere su, e non far sentire che ci si sente abbattute, anche se oramai lui lo percepisce dalla mia voce, e dal tono delle lettere. In queste occasioni mi manca il fatto di averlo vicino, mi mancano gli abbracci, i baci, le carezze…
Elena
Un amore che ti riempie ugualmente la vita
Il pensiero che mi accompagna sempre è il continuo ricordare le carceri girate pur di vedere il mio compagno anche attraverso un vetro. Penso di aver lasciato tante impronte digitali nell’appoggiare le mie mani su quel vetro per avere un contatto freddo, ma che scaldava i cuori. Quando lui era nel carcere di Trani, anche se è un supercarcere, mi sembrava tutto più umano, dalla finestra vedeva il mare, il mare della Puglia che tanto ama. Dopo tanto freddo e grigiore delle carceri del nord, lui era finito là, e io non sentivo la fatica di dodici ore di viaggio, perché il treno mi portava da lui. In tutti i colloqui di quegli anni, in giro per le carceri di tutta Italia, quando tra noi c’era il vetro potevamo vederci solo a mezzo busto, e ora se chiudo gli occhi non ricordo di aver mai visto le sue scarpe. Se non c’era il vetro c’era il muretto e ci sedevamo sulle panche di ferro inchiodate al pavimento, e quando uscivo mi chiedevo: "Ma com’era vestito? Che pantaloni aveva? Di che colore?". Che strani particolari mi vengono in mente, vero? Penso che solo se ami intensamente noti e senti queste cose, perché sono le uniche intimità che puoi viverti. Ho bisogno di rivederlo nella mia mente ogni giorno, ma poi ho in testa solo un viso e uno sguardo che a ogni "ciao alla prossima" mi accompagna con malinconia e sofferenza per quel nuovo distacco dopo un’unica ora di colloquio. Eravamo così lontani in quei colloqui, che per sfiorare le sue labbra ho dovuto aspettare che lo trasferissero al nord e ho aspettato ancora anni prima di potermi sedere a un tavolino con lui, e finalmente quando è successo, in un carcere un po’ più umano, ho potuto stringergli le mani, guardare le sue scarpe, salutarlo con un abbraccio quando lo vedevo… ma non è servito, non c’è stato il tempo per capire, per spiegarci, e ci siamo allontanati… quel cancello si è chiuso alle nostre spalle. Sarebbe bastato un po’ più di tempo al colloquio per non gettare anni di vita, ma hanno vinto la rabbia e l’orgoglio per parole mai dette. Il mio cuore è sempre lì vicino a lui, ma in questi anni ci hanno portato via il tempo e quell’affetto intimo e privato che non è riuscito più a riscaldarci e a tenerci uniti. Vorrei del tempo, delle ore per essere vicina a lui, ma non vorrei più essere guardata, spiata, vorrei stare sull’erba con lui a rotolarmi, vorrei riempirlo di baci fargli il solletico per strappargli un sorriso, quel sorriso che non conosco, e quei baci tanto sognati e desiderati.
Chicca
Una vita a metà tra la galera e la libertà
Sono stata arrestata che avevo trentanove anni, quindi mi sono fatta gli anni, secondo me migliori per una donna, in carcere, rinunciando a qualsiasi rapporto d’amore. Io penso che togliere a una persona ogni contatto fisico e tenerezza, e negare il sesso, sia una privazione forte, una vera mutilazione. Ma in Italia non le faranno mai, le stanze per i colloqui intimi, fanno già un sacco di polemiche per i Dico, immaginarsi se passa l’idea che si possa fare sesso in carcere. Siccome non possono torturarti fisicamente, ti torturano psicologicamente. Adesso che lavoro fuori, mi guardo intorno e vedo che mi piacciono uomini che sono troppo giovani, quelli della mia età non mi attraggono, mi sembrano spenti, stanchi, privi di qualsiasi vitalità. Io in questi anni ho perso la mia libertà, ma ho cercato per lo meno di fare delle cose buone per la mia persona pur essendo in carcere, però nei rapporti con l’altro sesso ho perso tempo, occasioni e capacità di costruire legami veri e profondi, e la sofferenza è di averli proprio buttati via, questi anni. Adesso dovrei ricominciare ma non ne sono più capace, non sono più in grado, non c’è più niente che mi attiri davvero negli uomini. Non mi sento più adatta, è come se il carcere mi avesse svuotato, togliendomi anche i piccoli gesti d’affetto, la tenerezza, i desideri. Certo c’è anche questa idea che, dopo la sofferenza del carcere, non vuoi più soffrire, e cerchi di semplificarti la vita, perché già ne hai avute abbastanza, di cose contorte e difficili. Ma adesso io non ho tanto la paura di soffrire, quanto la consapevolezza che non ho ancora finito la pena, e non voglio complicarmi ancora di più la vita. E poi in queste condizioni a un uomo potrei dare molto poco: esco dal carcere la mattina per andare a lavorare e rientro alla sera, per ora cerco di farmi bastare le amicizie che ho, perché se devo avere una storia con un uomo la vorrei avere soddisfacente, e in questa fase che sono "mezza dentro e mezza fuori" non ho tempo neanche per respirare, e certo non avrei tempo per conoscere una persona, per parlarci insieme, per dirle di me e della mia situazione. Con le persone con cui lavoro ho detto la verità, perché non voglio che i rapporti partano subito con un piede sbagliato, in un mare di bugie: se uno poi ti invita a uscire una sera, e tu non puoi perché devi rientrare in carcere e non hai il coraggio di dire la verità, devi metter su un castello di menzogne. Io non ho più quindici anni, se voglio vivere un rapporto con un uomo, voglio che sia un rapporto libero, non posso tornare a fare le cose di nascosto, di corsa, e allora continuo a rimandare tutto a quando davvero avrò finito di scontare la pena.
Paola
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