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Lazio dovrebbe istituire degli educatori regionali per le carceri
Associazione Papillon, 22 dicembre 2004
Poche note dalle carceri. La decisione dei detenuti di tutta Italia di protestare pacificamente, a partire dal 18 ottobre scorso, è stato un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità verso il dettato costituzionale un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre duecento carceri italiane il Diritto è stato in un certo senso "sospeso a tempo indeterminato", poiché tutto si può dire tranne che là dentro vengano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi. Ci rendiamo conto che affrontare concretamente in Parlamento una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile, ma non per questo è tollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità. A meno che, per puri fini di speculazione elettorale, non si voglia continuare a vendere ai Cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi "fuorilegge" è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto Diritto alla sicurezza quotidiana. Anche soltanto sullo specifico dell’ordinamento penitenziario, ad esempio, non si può far finta di non vedere che da tutte le carceri i detenuti stanno denunciando il fatto che la catena di relazioni tra area educativa/direzione/forze di polizia/Magistratura di Sorveglianza sembra diventare ogni giorno più pesante e farraginosa, come se dappertutto venisse applicata una sorta di linea politica di riduzione ai minimi termini del Diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis, alla liberazione anticipata, ecc..Il che moltiplica gli effetti di un sovraffollamento che si accompagna alle delizie della malasanità penitenziaria, all’abuso della carcerazione preventiva, ai tanti, troppi suicidi e alla estrema limitatezza di spazi e di attività culturali e formative. Del resto, non siamo soltanto noi detenuti a sottolineare il limite di guardia ormai raggiunto nelle carceri. Anzi, un dato importante della nuova situazione è che oggi alcuni tra i più importanti sindacati del personale penitenziario riconoscono che per ristabilire nelle carceri un equilibrio minimamente accettabile occorrono misure che alleggeriscano davvero un sovraffollamento di oltre 13000 detenuti. Inoltre, grazie ai detenuti e ai sindacati del personale penitenziario si è ormai completamente diradato anche il fumo ideologico che ha accompagnato l’approvazione del cosiddetto "indultino", lasciando in evidenza il suo carattere di Legge/truffa che invece di alleggerire il sovraffollamento non ha fatto altro che sovrapporsi, peggiorandole, alle già esistenti misure che prevedono l’affidamento in prova ai servizi sociali per i residui pena sotto i tre anni, limitando così la già scarsa applicazione di tutte le altre misure alternative preesistenti. Ma se queste sono considerazioni di carattere nazionale, ciò non vuol dire che gli Enti Locali non possano fare niente per "aggredire" almeno le più urgenti tra le questioni sollevate. Tralasciando per un attimo i tragici problemi della sanità, della formazione e del lavoro, tante volte sollevati dai detenuti, dal Garante Regionale, On. Marroni, e dal Garante Comunale, On. Manconi, vogliamo qui proporre all’intero Consiglio Regionale di farsi carico di uno dei problemi più importanti tra quelli che rendono per lo più disattesa l’applicazione dei cosiddetti "benefici" previsti dalla famosa Legge Gozzini: la cronica carenza degli "Educatori", ossia quelle figure professionali che hanno il compito i seguire il detenuto durante tutto il periodo di espiazione della pena, riassumendone i progressi o le regressioni in "relazioni di sintesi" che (unite al giudizio del psicologo, dell’assistente sociale esterna e della polizia penitenziaria) sono indispensabili per permettere al Magistrato di Sorveglianza di decidere. I Cittadini forse non sono a conoscenza del fatto che in alcuni carceri ogni educatore deve seguire anche oltre cento detenuti, il che è appunto semplicemente impossibile.Anche la miglior buona volontà non permette di far fronte a questi carichi di lavoro. Ovviamente, per onestà va anche detto che moltissime volte, anche in presenza di relazioni comportamentali positive, il Magistrato di Sorveglianza non le tiene minimamente in considerazione e rigetta le varie istanze con le più stravaganti motivazioni. Ragion per cui la Papillon ha chiesto al Legislatore di intervenire sulla eccessiva "discrezionalità" della Magistratura di Sorveglianza. Sul piano specifico, però, ciò che chiediamo è l’istituzione del cosiddetto "Educatore Regionale", ossia di estendere al Lazio la bella e positiva esperienza iniziata nel 2004 dalla Regione Piemonte, rifinanziata dalla stessa per il 2005 e in via di discussione anche nel Consiglio Regionale della Lombardia. In pratica, la Regione Piemonte (governata dal centrodestra)si è fatta carico per il 2004 di un investimento di € 600.000,00 (seicentomila euro) per aumentare negli istituti di pena della regione il numero degli educatori professionali, attraverso convenzioni, in accordo con l’amministrazione penitenziaria, attivate dagli Enti Gestori delle funzioni socio-assistenziali. E occorre anche sottolineare che la buona riuscita di questa intelligente sperimentazione è stata possibile grazie alla stretta collaborazione che si è venuta costruendo tra gli Enti Locali, l’amministrazione penitenziaria, il Tribunale di Sorveglianza, i Servizi Socio/Sanitari e il "Terzo Settore", per giungere ad una programmazione concertata. Orbene: c’è forse qualche particolare motivo che rende impraticabile questo terreno per la Regione Lazio? Noi crediamo di no: E a chi si prepara ad obiettare che non vi sono risorse economiche disponibili per questo tipo di spese, noi ricordiamo che la Regione Lazio (o meglio, tutte le 20 Regioni d’Italia), presentando un elaborato progetto di questo tipo, potrebbe "attingere" ai 71 milioni di Euro della Cassa delle Ammende che sono da anni nella immediata disponibilità del Ministero di Giustizia e la cui finalità è (o dovrebbe essere, stando alla Legge) il sostegno di progetti finalizzati alla rieducazione e risocializzazione dei detenuti, oltre che un minimo sostegno economico per casi di particolare bisogno. Certamente è vero che per convincere (o costringere?) la burocrazia ministeriale a "mollare l’osso" sarà necessaria una battaglia politica e persino amministrativa, ma francamente noi siamo convinti che su questo terreno sarebbe oggi praticabile (pur in piena campagna elettorale) addirittura una iniziativa congiunta di maggioranza e opposizione unite. C’è qualcuno che è disposto a fare il primo passo? Noi della Papillon, come sempre, giudicheremo dai fatti concreti.
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