Freedom

 

Freedom

La voce dei ragazzi dell’Ipm “Casal del Marmo” di Roma

(Anno I numero 3)

 

Detenuta da cinquant’anni

Chi sono?

Una brutta storia

Ciro gli arresti domiciliari

Io sono

Mi intervisto

Io, Valentino…

Ciao…

Io penso…

Dal Beccaria a Casal del Marmo

Il Natale ed il Capodanno in carcere

Cosa penso della mia vita

Io sono…

Sono in carcere perché ho rubato in un appartamento

Voglio parlarvi dei miei sentimenti

Vivere nel mondo d’oggi

Cosa penso della mia vita

Io ho una…

Io sono Sandra e…

Il mio ultimo giorno al giornalino

Ciao ragazzi!

Voglio parlarvi

Intervista ad un cancelliere del Tribunale per i Minorenni di Roma

Intervista al Sostituto procuratore del Tribunale per i Minorenni di Roma

Detenuta da cinquant’anni

 

di Freda

A giugno sono cinquanta gli anni, per mia scelta, passati (e continua), in “galera”, una vita intera, dedicata all’emarginazione con tanto impegno e tanta dedizione. Oggi, posso dirlo con orgoglio, sono una donna molto “ricercata”, molto “imprigionata” e tanto, tanto “amata”.

Da quando sono nata sono stata sempre una persona decisa, determinata e alla fatidica domanda “cosa farai da grande?” rispondevo convinta “farò la pediatra”. Mi è sempre piaciuto stare con i bambini ed ho sempre colto l’occasione per prendermi cura dei figli dei vicini.

Già frequentavo la facoltà di medicina, quando, spinta dal mio desiderio di autonomia, superando, ostinatamente, dei genitori la disperazione presi una importante decisione: fare l’insegnante “itinerante”, per trasfondere alla gente di periferia qualcosa della cultura mia e ricevere, in cambio l’esperienza di un’esistenza fatta di abbandono, di frustrazioni, di desideri repressi, di precarietà, di disperazione, non disgiunta da una certa dignità: una realtà coinvolgente per me che non mancavo di niente.

Fu significativo il mio contatto con questa gente tanto da lasciare la medicina per una facoltà che mi permettesse di continuare questo cammino, questo arricchimento interiore che ormai costituiva l’elemento propulsore per un futuro più completo, migliore. L’opportunità mi si presentò quando seppi che tra il Ministero di Grazia e Giustizia e quello della Pubblica Istruzione c’era stata una sorta di convenzione per creare classi speciali nelle Case di Rieducazione.

C’era l’Istituto di Eboli a disposizione ed io, di certo, non potevo farmi sfuggire una tale occasione.

Il primo giorno al Castello volle accompagnarmi mio padre e vi lascio immaginare come si dava da fare per convincermi a rinunciare. Ma io, sicura che quello era il mio destino, salii gradino su gradino per arrivare al portone dove mi accolse un signore con in mano un mazzo di “chiavone”. Era il “censore” che mi accompagnò in giardino dov’erano schierati, in divisa grigio-nero, i capelli tagliati a zero, gli ospiti del “maniero”.

Ci fu una lunga pausa di silenzio, non ero preoccupata e mi sentivo guardata con curiosità mista ad ammirazione mentre dentro di me cresceva l’emozione. Mi avevano conquistata ed io sapevo di averli conquistati.

Due anni passai con loro, due anni di intenso lavoro, un lavoro corrispondente alle loro capacità, seguita da tanta buona volontà e l’italiano, l’aritmetica sviluppata mentalmente, la storia, la geografia, raccontata, illustrata, e le scienze imparate praticamente, con il giardino, l’orto e la nascita, la crescita di un girino, diventato rana che gracidava nel laghetto, tra le piante del giardino.

Questo tipo di insegnamento meritò l’elogio dell’allora Capo del Dipartimento ed il materiale fu oggetto di una mostra eccezionale in Roma, nella Capitale.

Nel Giugno del 59 entro al Casale ed ancora son qui, non lo posso lasciare. Troppo lungo sarebbe raccontare le vicissitudini di tutti questi anni e cercherò di segnalare gli avvenimenti più salienti. Iniziamo con la trasformazione dell’Istituto di Osservazione e della Casa di Rieducazione in una prigione. Attonita e, perché no, anche un po’ impaurita, assistetti all’alzata dell’alto muraglione di ferro le porte ed il grosso portone, le sbarre alle finestre con il sole a fette, chiavi, lucchetti agli armadietti, chiavone, passi interdetti, controlli sempre più diretti.

Ho smarrito il conto con quante e quali tipi di generazioni mi sono impattata anche se ricordo ancora i biglietti di raccomandazione che ho ricevuto dai padri per i figli, dagli zii per i nipoti al loro ingresso nel carcere.

Sempre un punto di riferimento sono stata all’interno della struttura ove si sono succeduti minori provenienti da varie borgate: Magliana vecchia, Trullo, Laurentino 38, Primavalle, il Quadraro, Casilino, San Lorenzo, Mattatoio, Piazza Gasparri ad Ostia, il Tufello, Acilia, Aprilia eccetera, ed anche dai punti più caldi ed interni della provincia.

Tutti ragazzi dai 14 anni ai 18 anni (il loro diciottesimo compleanno aveva l’aria d’un funerale, perché a Rebibbia dovevano passare), appartenenti a nuclei familiari disgregati, a volte inesistenti, gruppi in cui prevaleva la delinquenza, la mancanza più assoluta di figure preminenti con uno stravolgimento di ruoli, con madri nel duplice ruolo di padre-madre mal gestito, con la figura paterna evanescente, inconsistente, un senso prepotente di solitudine e di sconfitta.

Ragazzi emarginati, dalla scuola allontanati, abbandonati a se stessi, anafettivi, senza alcuna conoscenza delle regole del vivere civile, insicuri, impreparati ad affrontare le difficoltà, con l’unica alternativa costituita dalla strada con tutti i suoi condizionamenti.

Alcuni addirittura facevano parte di bande organizzate in cui, a volte, nonostante la giovane età, già avevano un ruolo di spicco e per i quali lo scippo, il furto, la rapina erano fonti di facile guadagno connesso a falsa stima.

Non soffrivano, almeno manifestamente, la detenzione perché in loro c’era la convinzione che il reato commesso bisognava pagarlo e non era previsto alcun compromesso. Sembra assurdo che io dica questo ma non posso farne a meno. Ascoltarli nel narrare le loro avventure o meglio le loro disavventure affascinava nel senso che, se pure al negativo, sentivi in loro una determinazione, una sicurezza nella descrizione dei particolari, una autostima di se stessi dettata forse dal bisogno di rivalersi, in questo modo, di una vita vuota di valori e di interessi.

Scusate, ma dimenticavo di dirvi che, nel frattempo, per meriti conseguiti nell’ambito delle problematiche minorili, ero stata nominata giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma dove ho svolto il mio lavoro per trenta anni, pur continuando ad operare all’interno dell’I.P.M. Quando i ragazzi 1’hanno saputo temevo una loro reazione conoscendo quello che provavano per l’autorità costituita, ma già da allora mi avevano insignita del titolo di “Mamma della mala” e pertanto, fin dall’inizio, si aggiunse un altro titolo denominata “La Freda, un giudice non infame”.

AI mattino ero in Tribunale dove operavo nel settore rieducativo, civile e penale, e nel pomeriggio salivo al Casale perché sapevo che mi stavano ad aspettare: mi dovevano consultare prima di essere giudicati in Tribunale. E sì, anche questo vi parrà insolito, ma il quotidiano rapporto rendeva possibile la conoscenza di quelli che erano in realtà, del loro comportamento, delle varie sfaccettature della loro personalità. Si discuteva del reato commesso, della situazione penale pregressa per giungere alle diverse possibilità.

Il momento dell’udienza era qualcosa di indescrivibile. Io di qua del bancone, avvolta dalla tonaca nera, tranquilla (si fa per dire), serena e loro al di là che mi parlavano con gli occhi. E ad uscire dalla Camera di Consiglio dove era sempre apprezzata la completezza del mio giudizio, ero la prima che, ammiccando, trasmettevo loro il responso.

Debbo aggiungere che, essendo molti casi anche di natura civile da me trattati, mi era di supporto, nell’esprimere il mio parere, la consapevolezza del contesto familiare e sociale di appartenenza dell’imputato. Anche se arrivava la condanna non c’è mai stata contestazione perché ciascuno ne conosceva la ragione.

E che dire dei primi rom slavi, i Korakanè, nella loro povertà, che al letto preferivano il pavimento, non abituati ad un minimo di igiene personale, che dovevo ricattare per riuscire almeno la faccia (non più giù del collo) e le mani (appena al polso) a far loro lavare, insofferenti ad ogni forma di chiusura, spasmodicamente protesi verso la libertà. Differenti in tutto dai bruzzesi la cui stanzialità dava loro un tocco di dignità, di civiltà. In questi gruppi c’era la preponderanza della specifica recidivanza.

Ed arrivarono anche i primi intossicati, sotto effetto degli allucinogeni la cui sofferenza all’estremo limite, ti lasciava interdetta, senza fiato. Difficile era entrare nel loro mondo fatto di fantasmi, incubi, illusioni, immaginazioni, di paure irrefrenabili.

A poco a poco arrivai a conoscere la droga, dal fumo al buco, all’eroina ma i miei interventi, le mie disquisizioni su questo argomento furono un fallimento. Ai miei salomonici predicozzi i ragazzi rispondevano “Ah Freda, tu nun poi mette’ bocca in ‘ste cose, devi da provà, te devi da bucà, prima de parlà” e per consolazione mi fu regalato un “cannone”.

Dopo gli slavi fu la volta dei nordafricani, tutti ragazzi di una certa cultura, specialmente i tunisini entrati in Italia, mai accompagnati, con famiglie sparse in vari paesi del Continente prevalentemente in Francia. Dovetti spolverare il mio francese per conoscerli meglio ma stavano sempre in guardia e difficilmente riuscivi a conoscere la verità sulla loro esperienza. Lo spaccio di droga era il reato preminente e la Stazione Termini era il punto di aggregazione e di coordinamento del lavoro.

E che dire dei sessantottini, imbottiti di dottrine nelle forme dell’estremismo più puro sia che fossero di destra o che appartenessero alla sinistra. Studenti, appartenenti alla borghesia, che vivevano la detenzione in gruppi separati ed a cui non potevi fare discorsi comuni perché rischiavi o di non essere ascoltata o di cadere nella mediocrità. Si ascoltavano affascinati da quello che loro stessi raccontavano, la preparazione militare, l’enucleazione delle armi più sofisticate da un canto, e dall’altro l’esaltazione del proletariato, la condizione e la dignità del lavoratore. Fu breve la loro presenza ma molto incisiva per me, per la loro sorte futura derivante dalla considerazione di una generazione a mio avviso irresponsabile, immatura.

Fui felicemente sorpresa per l’apertura della sezione femminile, problema in cui avevo messo il mio zampino quando, trattando così di ragazze in Tribunale e visitando a Rebibbia lo spazio a loro riservato ne avevo parlato, accorata, con i giudici, i procuratori e con i dirigenti dell’Ufficio Minori. Poche le ragazze italiane ma sempre crescente il numero delle nomadi anche con bambini. Stranamente, il rapporto con loro non è stato immediato ma ho preso del tempo, considerando che l’elemento familiare andava osservato e studiato trattandosi dello stesso sesso. La mia considerazione non è risultata errata quando in mezzo a loro mi sono poi ritrovata. Quanto bene avevo lavorato l’ho riscontrato nel corso delle tre rivolte, l’ultima delle quali lasciò la struttura in condizioni tali da poterla rassomigliare ad un bombardamento. I ragazzi sui tetti che lanciavano quello che capitava loro tra le mani, al di fuori del muraglione la polizia pronta ad intervenire mentre il Procuratore e la direzione cercavano di addivenire ad una contrattazione.

Anche io mi ero prefissa questa missione e, uscita nel cortile, in mezzo a mille oggetti che mi cadevano intorno, cercavo di convincerli a scendere mentre loro mi gridavano “Ah Freda, levate, scansate, nun te volemo far male, nun c’e l’avemo con te ma co l’Amministrazione!”. Ma io resistevo imperterrita e continuavo a parlamentare facendo leva sulla considerazione in cui sapevo d’essere tenuta. Che giornata carissimi amici lettori! Non so se ero impaurita, arrabbiata o delusa soprattutto per la violenza che emergeva dalla situazione ma non potevo lasciare il campo di battaglia, qui si mostrava se contavo o meno per loro. Si chiamavano l’un l’altro, li sentivo parlottare tra loro, mentre il Procuratore, con tono paterno, li invitava a porre fine a quella schermaglia disposto a trattare. Era notte quando uno ad uno scesero dai tetti, dal terrazzo e ci vennero incontro pur tenendosi a debita distanza. Il giorno dopo seguirono i trasferimenti dei più facinorosi mentre i rimasti erano tutti ammutoliti, si guardavano intorno stupiti, increduli dei danni arrecati e penso che il malfatto li aveva nel profondo toccati.

Vi sarete forse domandati “Ma quale è lo scopo della Freda nel darsi tanto da fare in una struttura penale?”. Impegnarli, educarli, far emergere le innate qualità, imparare a rispettare ed a rispettarsi, l’amore per l’ordine, per una disciplina non imposta ma autogestita, l’abituarsi alla socializzazione, a superare ogni forma di prevenzione, senza motivata ragione, verso l’autorità, a recuperare il senso della progettualità, imparare a voler bene e soprattutto a volersi bene, ad esprimere le loro idee, i loro pensieri, a rendersi partecipi attivi di un mondo nuovo, tutto da conquistare lecitamente, senza farsi del male.

Per attuare concretamente questo progetto ho dovuto di continuo reinventare, ed a volte mi accorgevo che non ero solo io ad insegnare in quanto tante cose da loro dovevo imparare. Feci presa sul loro senso della manualità e sul bisogno di fare e immediatamente realizzare. Mi feci affiancare da un maestro d’arte falegname, un artista eclettico e con lui iniziai l’attività di traforo. Era tutto un segare, un continuo spezzare i seghetti, un rabbioso martellare, un prendere e un lasciare perché insoddisfatti dal manufatto, bloccati dalle difficoltà, un montare e smontare pezzo per pezzo, fino ad arrivare alla fase finale per mostrare, con soddisfazione, la loro creazione. Ma non finisce qui: in laboratorio è proibito fumare, ognuno, al termine, il suo posto deve sistemare, gli attrezzi in ordine depositare ed a turno spazzare. Non è certo stato facile ottenere tutto questo, le prime volte lo facevo io senza parlare, li volevo mortificare e ci sono riuscita finché ognuno, a turno, dava una pulita.

Dal legno si passò all’argilla. La si plasmava e lavorava in calchi di gesso o di plastica, si dipingeva sul biscotto ed era un piacere vederli lavorare con pennelli dello O e del n. 1 senza uscire dal contorno, l’occhio puntato sul disegno, la mano quasi irrigidita, sempre con la pezzolina pronta per pulire il pennello e le dita. E se qualcuno, qualche volta, si innervosiva perché non ci riusciva, poco importava. Fuori, accanto al laboratorio, c’era un orticello dove avevamo piantato pomodoro, patate, cipolline, peperoni. Lì andava e zappettando, zappettando la rabbia smaltiva. Che soddisfazione si provava nel vedere crescere quelle piantine e che gusto nello staccare il frutto! Il contatto con la natura dava sicurezza, orgoglio e serviva da cura!

Anche sul rame abbiamo lavorato a balzo: figure, paesaggi ed ogni lamina rifinita rappresentava per loro una forma di messaggio: una vittoria sulla mancanza di iniziativa e di coraggio nell’affrontare le difficoltà. Dalla ceramica si passò alla pittura su stoffa e quanti, quanti fazzoletti abbiamo consumato, ognuno programmato secondo la necessità: per abbellire la cella con un Cristo od una Madonna, un dono da offrire alla ragazza, alla madre, alle autorità, il laboratorio era tutta una festa di colori che ti stimolavano a farne sempre di meglio, sempre di più. Mentre scrivo mi tornano in mente le immagini di figure chine, tese, intente, con attenzione, a dosare il colore sul pennello per evitare di macchiare il pannello. Ed il silenzio era tale che mi pareva irreale. Che momenti, i miei “gioielli” mi hanno regalato! Questi sono i veri ragazzi che un triste destino ha condannato ad essere degli emarginati. Questa è la ricetta per arrivare alla rieducazione: amore, giusta comprensione, ascolto, disponibilità, rispettare la loro dignità, fare con loro e sbagliare con loro, porre tanta attenzione ai vari tipi di manifestazioni, nessuna mortificazione e rispetto e stima delle loro sopite capacità.

Mi è d’uopo, a chiusura di tanta scrittura, soffermarmi sull’attività che, nata nel 1990, ancora oggi è sulla breccia, e costituisce il compendio di tutto quello che vi ho detto fino a qua. La nascita del Giornalino, da sempre la voce dei ragazzi del Casale, diffuso su Roma e su tutto il territorio nazionale, conosciuto ed apprezzato per la sua fattura e per le sue intrinseche qualità. Nato con il titolo di Garçon oggi, dopo più di 25 anni di pubblicazione, su richiesta e scelta degli attuali redattori, Freedom ha preso nome (se fate attenzione con questo nome essi hanno voluto rendere ancora una volta merito alla Freda che lo ha ideato e, tra mille e mille difficoltà, continua faticosamente a portarlo avanti dal momento che in tutti questi anni ed ancora oggi, non è riuscita a trovare uno sponsor definitivo per tenerlo sempre vivo).

Qualcuno, per dire il vero, c’è stato che qualcosa ci ha dato ma non tanto da permetterci di farne uscire cinque numeri per anno. Questa attività è molto seguita dai ragazzi, maschi e femmine, italiani e stranieri, ed accedere alla redazione è per tutti un’aspirazione perché offre loro l’occasione (ed è nato con questo intento) di raccontarsi, di rivivere le proprie esperienze, di esprimere la sofferenza per la mancanza di libertà, di conoscere e commentare i fatti del mondo esterno che non si limita al loro quartiere, di partecipare a concorsi letterari, di farsi conoscere da quella gente che di loro non sa né vuole sapere niente, di parlare delle loro aspirazioni o di confessare il loro pessimismo che li porta a non avere spirito di progettualità.

Quando è nata la redazione ci sono state varie occasioni per un lavoro esterno dei redattori: siamo stati ricevuti al Quirinale, dal Ministro di Grazia e Giustizia, dall’allora Sindaco, abbiamo visitato la redazione del “Tempo” e purtroppo con questa visita, ho dovuto revocare il divieto di fumare perché i ragazzi, guardando i posacenere pieni di mozziconi, mi hanno detto: “Ah Freda, lo vedi, p’avecce l’ispirazione, c’è bisogno de fa’ un tiro, ogni cicca è n’articolo!”. Quante interviste abbiamo fatto e per premio li ho pure portati a cena a lume di candela a Trastevere. Vi immaginate l’emozione? E la battuta alla vista del Foro Romano dallo studio del Sindaco, come poterla dimenticare? “Ah Freda, noantri ce fiottemo d’avecce ‘na casa marra, zeppa de fissure, ma ‘sti poracci de Romani nun ciavevano ni porte ni finestre, li è ‘n macello! Noantri aristemo mejo, nun dovemo aricramà!”.

Il rientro pesava loro molto. Guardavano fuori dai finestrini del pulmino scorrere le vie, i negozi, la gente ma non dicevano niente. Un silenzio eloquente! Queste esperienze, secondo me, molto positive, negli anni successivi e sino ad oggi non si sono più ripetute per cui, per evitare che gli argomenti trattati si centrassero solo all’intemo, sopperisco con quotidiani e riviste da cui estrapolare i temi per gli articoli.

Abbiamo già vinto per quattro anni un premio letterario e questo dice ancora di più quanto e come lavoriamo. Dimenticavo di dirvi che, con il tempo, la popolazione è molto cambiata, ci sono stati e ci sono molti stranieri, albanesi, rumeni, peruviani, cinesi, mentre i nomadi non sono mai mancati anche se l’attuale generazione si è molto evoluta ed anzi ha il coraggio di contestare il loro modus vivendi (anche e soprattutto da parte delle ragazze), gli italiani (ora con le misure alternative sono presenti solo diciassettenni, diciottenni ed anche ventenni, quelli che possono espiare il reato commesso da minorenni nell’I.P.M. fino al compimento del ventunesimo anno) hanno meno sprint, nessuna progettualità, nessun spirito di autonomia, sono dei gregari che commettono reati di una certa gravità, assoggettati dell’uso dell’alcool e della cocaina.

Questa multietnicità non è facilmente controllabile e l’occasione di incontro e di interscambiabilità è offerta loro proprio dall’attività di redazione ove l’edizione del giornalino è resa sì più difficile per la non conoscenza della lingua italiana scritta ma offre lo spunto, a poco a poco, per una multivarietà di argomenti, dando a Freedom una veste internazionale.

Ed è con la speranza che questa attività possa continuare e che i lettori possano aiutarci per l’uscita di questo giornale che chiudo questo editoriale e che i cinquanta anni io possa festeggiare con l’arrivo di più di un aiuto per non farmi uscire dal Casale!!!

Chi sono?

 

di Nico

Come inizio vorrei descrivermi un po’: sono un ragazzo di 17 anni e il mio nome è Nico, non posso dirvi di più. Un giorno, andando in giro con un mio caro amico, ho visto due ragazzi di 17 e 19 anni che stavano alla stazione di Trastevere. Prima di cominciare a raccontarvi questa storia vera, debbo dirvi che io sono al carcere di Casal del Marmo con l’amico mio. Allora: abbiamo inseguito i due ragazzi e quando abbiamo visto che non c’ era più gente nelle vicinanze, siamo andati da questi ragazzi fermandoli in un vicolo cieco. Io ho preso quello più grande e gli ho detto: “Sentimi bene, amico, devi fare quello che ti dico se non vuoi che ti faccia molto male, dammi tutto quello che hai: il cellulare e i soldi, se io ti taglio (facendo finta di estrarre un coltello dalla tasca)”. Il ragazzo tutto spaventato mi ha detto: “Va bene, ti do tutto basta che non mi fai niente”. L’altro ragazzo, visto che l’amico suo aveva ceduto, ha detto a me e all’amico mio: “Ragazzi, vi diamo tutto basta che ci lasciate in pace”. Abbiamo preso i cellulari e i soldi e siamo andati via piano, piano, noi da una parte e i ragazzi dall’altra. E questo è tutto, siamo stati veramente bravi, noi pensiamo e voi?

Una brutta storia

 

di Marcella

Agli inizi del 2005 io andavo a scuola media, in classe con me c’era una ragazza italiana che mi dava molto fastidio, mi prendeva in giro e cercava di portami via il ragazzo. Quando dopo aver fatto i compiti li mettevo sul banco lei me li scarabocchiava. Ho sopportato per un po’di tempo, però alla fine ero talmente arrabbiata che 1’ho seguita all’uscita di scuola e quando siamo arrivate vicino alla porta di casa sua ho tirato fuori il coltello dalla tasca e ho cominciato a colpirla senza riflettere, perché ero molto nervosa. La ragazza strillava e alla fine è caduta per terra. Io, presa dalla paura, sono scappata e sono andata verso casa mia. Mia madre mi ha visto così agitata e piangente e mi ha chiesto cosa mi era successo. Dopo un po’ che lei insisteva io finalmente sono riuscita a raccontare. Mamma tutta spaventata ha dovuto chiamare la polizia che è subito venuta e mi ha portata in caserma dove hanno cominciato a interrogarmi.

Io ho detto la verità ed ho spiegato perché 1’avevo fatto. Dopo mi hanno portato al C.P.A. dove sono rimasta tre giorni. Poi sono andata al Tribunale davanti al GIP che mi ha mandata al Cesare Beccaria. Ho fatto la direttissima e mi hanno condannata a due anni e quattro mesi. In quel periodo ho sofferto molto anche se avevo saputo che la ragazza si era salvata. Ero pentita per quello che avevo fatto, soffrivo tanto e nel pensiero mi tornava sempre la scena. Sono stata seguita dall’educatrice Elvira, molto brava, e da uno psicologo, Massimo, che mi faceva stare ancora peggio, tanto che non lo sopportavo proprio. Dopo un anno e un mese mi hanno concesso la permanenza in casa con l’obbligo di andare a scuola e di lavorare in un bar. Non ho mai più dimenticato ne ho mai rivisto quella ragazza anche se a volte me la sogno e mi sveglio di colpo con tanta paura.

Ciro e gli arresti domiciliari

 

di Ciro

Io sono Ciro, ho 17 anni e vivo in periferia. Ora sono a Casal del Marmo per aver fatto dei furti di automobili, mi hanno preso a Ciampino fuori di una discoteca che si chiama Energy. Ero lì fuori dentro la macchina, stavo per andarmene quando arrivano i Carabinieri e mi arrestano. Sono stato 4 giorni al C.P.A. poi ho fatto il G.I.P. e mi hanno dato 3 mesi di arresti domiciliari.

I primi due mesi sono stato sempre a casa senza trasgredirli poi, il 27 dicembre sono andato all’ospedale perché giocando con mio fratello, avevo battuto la testa. Nel frattempo che ero andato all’ospedale, sono andate le guardie a casa a farmi il controllo e non mi hanno trovato. Ho chiamato la caserma di polizia che veniva a farmi il controllo e mi hanno detto di farmi rilasciare il foglio dell’ospedale con scritto sopra l’ora. L’ho fatto ma il 5 di gennaio mi sono venuti a prendere e mi hanno portato qui a Casal del Marmo per finire gli arresti. Entrato al Casale per la prima volta mi sono un po’ agitato perché non conoscevo il posto e la gente, poi, per fortuna, incontro un mio amico: Valentino. Il posto certo non è bello però ormai mi sono rassegnato, ci dovevo stare per forza che mi piacesse o no. Quando mi hanno portato in cella ho dato una pizza ad un ragazzo rumeno e mi sono beccato 5 giorni di isolamento. Trascorsi i giorni mi hanno aperto e così ho cominciato ad abituarmi a stare qui. Oggi è i127 di gennaio e tra un po’ di tempo esco.

Io sono

 

di Stefano

Io sono un tipo strano, di poche parole, timido ma se voglio riesco ad avere rapporti di amicizia. Ogni tanto, se lo voglio, so essere gentile, buono e mi comporto in modo educato. Fino ad oggi ho ricevuto abbastanza amore, gentilezza e bontà dai miei amici, mentre dalla mia famiglia ho ricevuto ben poco. Non sempre sento il bisogno di ricevere amore dagli altri, anzi tante volte preferisco stare da solo. Mi piacerebbe avere una donna nella quale trovare, per prima cosa, sincerità e amore, poi che mi capisca. Nella mia vita di oggi vorrei cambiare alcune cose: sì, vorrei essere diverso da come sono, meno nervoso e meno aggressivo. So di non essere abbastanza in grado di controllare la mia impulsività. Io so che alcune volte non mi comporto da persona responsabile e matura, devo ancora trovare la persona che mi aiuti a crescere.

Mi intervisto

 

di Sandra

La mia vita fino ad oggi non è stata mai molto bella perché ho avuto tanti problemi con la mia famiglia, specialmente con mia madre perché non ci capivamo, poi con mio marito perché mi tradiva con un’altra ragazza del campo, mi picchiava e non mi amava tanto che l’ho lasciato e adesso mi sono accompagnata con un altro che amo molto e con il quale non voglio soffrire come la prima volta. Della mia famiglia mio padre è la persona più importante perché lui solo mi capisce e mi vuole veramente bene. Io parlo volentieri con lui e a lui dico tutti i miei segreti. Fino ad oggi ho avuto una sola grande amica, con lei mi confido perché lei mi capisce e mi aiuta quando mi trovo nei pasticci, quando litigo con il mio ragazzo lei mi consola e mi da tanti buoni consigli.

È una ragazza italiana che si chiama Noemi e ha 18 anni. Io mi pento sempre di quello che faccio, ma, purtroppo, ho il vizio di farlo e non posso farne a meno. Ho cominciato a pippare l’eroina a 14 anni quando i miei amici italiani me lo hanno insegnato, e adesso sento il bisogno di questa droga e per averla mi tocca andare a fare le rapine. Sto in carcere perché se sbaglio devo pagare anche se non vorrei esserci. Il carcere che per me è il posto più brutto del mondo, lo è perché la libertà non ha prezzo e io non ho i soldi per pagarla come nessuno di noi avrà mai.

Io penso che la giustizia è sempre molto severa specialmente per noi rom ma i giudici, quando ci devono giudicare devono capire che noi rubiamo perché dobbiamo vivere e se non andiamo a rubare non possiamo mangiare, perché nessuno ci fa lavorare. Io vorrei vivere in pace con me stessa, con la mia famiglia, perché per me è molto importante, con tutti i miei amici e con tutta la gente del mondo senza guerre né frontiere. Io penso che non è facile avere e vivere una vita normale, specialmente per una persona anormale come me, anche se io so che vivere normalmente è molto più bello che vivere a modo mio. Se io fossi nelle condizioni di vivere come tutti gli altri sarei la donna più felice del mondo.

Io, Valentino

 

di Valentino

Ciao a tutti, sono Valentino e oggi volevo parlarvi un po’ della vita di strada, delle droghe, perché fino a poco tempo fa tutto ciò era la mia vita quotidiana. Io sapete, sono cresciuto, purtroppo, senza mio padre perché quando avevo solo sei mesi è morto ucciso da una vita di merda e per motivi di droghe, perché è stato venduto per droga da una persona a lui molto cara di cui si fidava. Sono cresciuto con una madre poco presente perché dovendo crescere tre figli era costretta a lavorare dalla mattina alla sera. I miei fratelli maggiori hanno attualmente 27 e 28 anni, all’epoca erano solo adolescenti, perciò anche provando a crescermi nel migliore dei modi, non ci sono riusciti, perché anche loro erano ancora ragazzi.

Nel crescere mio fratello ha preso una brutta via, quella della strada e perciò l’unica figura maschile presente nella mia vita quando avevo bisogno di lui non c’era perché era impegnato con le droghe e con gli affari di strada. Mia sorella, invece, anche essendo cresciuta nella nostra stessa zona, è riuscita ad essere forte e ad evitare le cattive amicizie, perché sapete, io penso che nella maggior parte dei casi sono quelle che ti rovinano, lei non si è mai drogata, perciò, nel limite del possibile, mi è stata vicina. Invece io, a soli 10 anni, ho conosciuto la strada, ero sempre in mezzo a ragazzi più grandi e forse questo è stato uno dei motivi principali che mi ha fatto prendere una brutta via.

A 12 anni ho conosciuto la cocaina e, credetemi, è una brutta bestia, ho iniziato a spacciare le prime saponette di fumo, e ad avere i primi debiti, parecchi anche se a volte, grazie a mio fratello, riuscivo a risolverli, ma non sempre. A soli 13 anni, per problemi familiari, sono andato via di casa e ho iniziato a vivere veramente la strada. Ogni tanto dormivo da qualche amico, ogni tanto anche per strada ma la maggior parte delle volte tiravo fuori i soldi per dormire in un albergo di fiducia. Dopo un anno sono tornato a casa per la disperazione, non ne potevo più di vivere così, ho iniziato ad andare al C.E.IS., una comunità per tossicodipendenti, non l’ho fatto per volere mio ma di mia madre. Purtroppo tutto ciò non mi è stato molto di aiuto: infatti, dopo 8 mesi, sono riandato a vivere fuori casa ma questa volta a casa di un amico di 24 anni.

Lui è stato la mia maggior rovina, con lui ho iniziato a fumare lo shaboo, che sarebbe una droga sintetica composta da estratti di metadone e cristalli puri di anfetamina, credetemi, è almeno 10 volte peggio della cocaina. Con quello ho iniziato a fare i primi furti e a prendere le prime denunce perché stavo sempre fatto e fuori di testa. Sapete, grazie a questa merda ho preso 7 denunce anche se tutte a piede libero. Poi 6 mesi fa mi sono messo con una ragazza veramente speciale, ha 21 anni e grazie a lei ho lasciato perdere questa merda e tutte le cattive amicizie. Ora sono qui e fra poco uscirò e mi sposerò. Questa è tutta la storia che mi ha portato qui. Ciao!

Ciao

 

di Dada

Mi chiamo Ziada ma tutti i miei amici mi chiamano Dada, e vorrei raccontarvi un po’ della mia vita. Sono andata a rubare da quando avevo 11 anni qui a Roma con mia sorella più grande che si chiama Laura. Dopo un anno ho imparato a rubare e andavo sempre in giro con i miei amici. Poi sono andata a Parigi dove sono stata per 6 anni, ho girato tutta la Francia: Nice, Marseille, Lio a la Belgique, Bruxelles, Montecarlo e tanti altri paesi. Stavamo a Parigi quando è arrivato il mio compleanno, compivo 14 anni, tutti i miei amici e le mie amiche mi hanno fatto tanti regali, poi la sera mi è arrivata una telefonata, era mia zia che mi chiamava con una mia amica e mi dicevano di andare al loro albergo. Io gli chiedo il perché, e loro non me lo volevano dire, così sono andata da loro e ho trovato una sorpresa che io non mi aspettavo: era la cocaina.

Mi hanno detto che dovevo sniffare con loro e io ho risposto: “OH!”. Da quel giorno ho cominciato a prendere quella cosa e l’ho presa per 2 anni fino a 16 anni. Poi le mie amiche mi hanno detto che non era bene e io ho dato loro ascolto per fortuna, perché se non c’erano loro adesso penso che sarei una tossica. Adesso sono qui in carcere e uscirò il 19.06.2007 e mi sposerò con un ragazzo che si chiama Gianni e spero che sarò felice con lui. Fra un po’ farò 18 anni, in agosto sarò maggiorenne e se andrò a rubare non verrò più a Casal del Marmo ma andrò a Rebibbia. Io adesso non sono felice di andare a rubare e penso che quando uscirò non farò più queste cose.

Vorrei una vita bella e un lavoro. La gente lavora e noi zingari rubiamo loro e loro soffrono per colpa nostra. Vorrei dimenticare tutto questo, vorrei vivere in Spagna. Un po’della mia vita l’ho vissuta con la mia amica Zechina che era sempre con me, ma è un anno che non la vedo e mi manca. Ciao a tutti da Casal del Marmo.

Io penso

 

di Alessio

La mia vita è stata ed è tutto uno schifo per colpa mia in quanto fatto sempre le cose seguendo la mia testa malata, non ascoltando i consigli dei più grandi di me, cominciando dai miei genitori. Ho marinato spesso la scuola, ho preferito la strada al calore della casa e alla comprensione della mia famiglia. Posso affermare però, a mia difesa, che nessuno della mia famiglia ha avuto un ruolo importante per me ma anche questa volta è soltanto colpa mia perché in famiglia nessuno ha potuto darmi né il tempo giusto né la maniera giusta. Quell’affetto e quella comprensione di cui io avevo bisogno ma ero troppo orgoglioso per chiederli.

Ho avuto molti amici conosciuti per caso, ma nessuno, nel momento del bisogno si è mostrato veramente amico nel senso che non mi è stato vicino nelle mie innumerevoli disavventure. Ogni volta che ho fatto qualcosa di sbagliato che mi ha creato un sacco di danni, dentro di me sono arrabbiato con me stesso perché non ho avuto mai la forza di evitarli. La rabbia è maggiore per il fatto che mi sono abituato a muovermi da solo, a prendere decisioni da solo. Secondo me a stare in carcere non si guadagna nessun vantaggio ma soltanto condanne, privazione della libertà, perdita della stima, un futuro senza speranza, impossibilità di fare progetti.

Io penso che il carcere sia un posto dove uno, se ci riflette, può cambiare modo di pensare, può decidere di non entrare più perché si accorge che la libertà è una cosa importante. Secondo me la giustizia non è sempre giusta perché a volte si condannano e si tengono in prigione persone innocenti. La pace fa bene alle persone perché vuole dire che si vogliono bene, che vogliono vivere tranquilli, che non ci siano più frontiere, che ci si aiuti gli uni con gli altri. Non credo che riuscirei a condurre una vita normale visto che fino ad adesso ho sempre fatto una vita da anormale. Forse in vecchiaia… chissà…

Dal Beccaria a Casal del Marmo

 

di anonimo

Dal Beccaria a Casal del Marmo c’è una bella differenza nel senso che al Beccaria è tutto diverso: ci sono delle attività diverse da qui e gli agenti sono un poi severi. Qui al Casale è differente anche se al Beccaria c’è la piscina e tante tante altre cose che qui non ci sono. Nonostante tutto al Beccaria mi sono fatto 9 mesi che bene o male sono passati, invece al Casale non passano neanche se supplichi Dio i giorni non passano. Per come la penso io le carceri sono tutte uguali e dire che in un carcere si sta meglio di un altro è sbagliato, perché è sempre un posto in cui ti levano la libertà e perciò io penso che è meglio che stiamo lontani dai guai.

Per questo io spero che non mi capiteranno mai più guai con la legge, perché solo ora mi rendo conto che la libertà è un grande privilegio che Dio ci ha regalato, che dobbiamo tenerci tanto da conto e non buttarla al vento. Questo è quello che io penso della libertà e delle carceri. Io spero che non mi succeda più di finire dentro ma tutto sommato prima o poi arriverà il giorno per tutti di uscire. Questo è tutto quello che penso io anche nel confronto di due istituti penali minorili.

Il Natale ed il Capodanno in carcere

 

di Marianna

Ho trascorso il Natale e il Capodanno per la prima volta nella mia vita in carcere e l’ho trascorso pesantemente, perché ero lontana dai miei genitori, dai miei quattro fratelli e dal mio ragazzo che amo più della mia vita. La vigilia di Natale, dopo il cenone che si è svolto nella sala cinema insieme ai ragazzi e ai volontari di Padre Gaetano, abbiamo mangiato panettone, torrone e bevuto varie bibite ma soprattutto il piacere è stato quello di trascorrerlo con i nostri compagni di sventura e con i giovani volontari, la cui compagnia ci ha resi un po’più sollevati. Poi abbiamo giocato a tombola con i premi, io non ho vinto però un mio innamorato mi ha donato due lucidalabbra.

La festa è finita, per fortuna per noi, alla mezzanotte dal momento che invece di cominciare alle 21.30 ci hanno portate fuori della palazzina alle 22.30. Come cibo diverso ci hanno dato a Capodanno il cotechino e le lenticchie. Proprio in questa occasione qualche giorno prima sono venuti gli orchestrali di Fonopoli che, per la verità, mi hanno stordito con la loro musica troppo forte. Abbiamo fatto il coro con loro e poi sono venute le ballerine con la danza del ventre e noi ci siamo divertite a guardare i ragazzi che seguivano il loro movimenti con tanto d’occhi, specialmente quando si abbassavano e scoprivano le loro nudità. Lo spettacolo che era cominciato verso le 15:30, è finito verso le 19.

Dopo abbiamo mangiato dolci vari ed io sono stata molto felice. Molto triste è stato il rientro in palazzina perché pensavamo a tutta la gente fuori da questo carcere che stava divertendosi. A me ha fatto rabbia il non poter accendere i fuochi di artificio come facevo quando stavo a casa. In cella ho pianto per tutta la notte perché i ricordi passati, la lontananza del mio ragazzo mi è pesata molto. La sera del Capodanno nella sala cinema c’è stata tanta musica a richiesta nostra al DJ. Abbiamo ballato, cantato fino alla mezzanotte e mezza quando abbiamo brindato con mezzo dito di spumante Debbo ammettere che mi sono divertita se stavo lontano da tutti i miei e soprattutto dal mio ragazzo.

Cosa penso della mia vita

 

di Denisa

Io penso che la mia vita è sempre stata una vita infelice perché sto sempre in carcere per colpa dei giudici che non mi capiscono. Nella mia famiglia la persona per me più importante è stata sempre la mia mamma, perché è una brava donna che manda avanti la famiglia, è sempre vicina ai figli che hanno bisogno del suo amore e della sua comprensione. Io ho molte amiche ma quella vera è una sola: ha quasi 14 anni, è una ragazza simpatica, mi vuole molto bene e anche io sono molto legata a lei. Parlo volentieri con lei e lei mi da tanti buoni consigli.

Io mi sono sempre pentita ogni volta che sono andata a rubare anche se, confesso, che quando rubo mi sento una persona diversa, importante e che con i soldi che rubo può essere autonoma. Capisco che i lettori si stupiranno di quello che dico, ma ormai questa è la mia strada e non so come cambiarla. Stando in carcere io non ricevo nessun vantaggio, ma solo condanne che mi tolgono la libertà e mi fanno molto soffrire. Sono 4 volte che entro al Casale e ci resterò fino al processo, cioè fino al 31 maggio, non so quello che mi potrà succedere.

Io penso che il carcere è la distruzione della vita di noi ragazzi che ci comportiamo male, è vero, ma spesso lo facciamo senza riflettere, solo per il gusto di farlo. Io non ho una buona opinione della giustizia perché vivendo in carcere mi accorgo che chi ruba semplicemente deve stare dentro per tanto tempo, mentre chi commette reati più gravi esce prima. Questo fa molto male a noi che restiamo dentro. La pace per me è una buona cosa: tutti si vogliono bene, non ci sono guerre, non ci sono distruzioni, non ci sono morti neanche tra i bambini.

Io sono

 

di Alex

Io sono un ragazzo slavo perché, anche se sono nato a Roma, i miei genitori sono slavi. Mi chiamo Alex e sono stato carcerato 4 volte: la prima volta a Milano per furto di rame in una fabbrica preso sul fatto mi sono fatto 9 mesi, qua al Casale è la terza volta che entro e perciò sono quattro. Questa volta mi hanno carcerato perché io e dei miei amici abbiamo fatto una rapina che da rapina è passata a sequestro di persona. Per mia fortuna quando ho fatto questa cosa ero ancora minorenne, poi il 5 ottobre ho compiuto 18 anni. A Roma se semo fatti un tir carico de capi di abbigliamento femminile. Quando hanno arrestato me e un amico mio, ci hanno portati al C.P.A. e dopo tre giorni ci hanno carcerati. Ora mi trovo qui e non vedo l’ora che arrivi febbraio per uscire.

Io sono figlio unico e abito da solo a Roma in una casa in affitto, mentre i miei genitori abitano in Toscana ed è tutta colpa mia perché loro vogliono allontanarmi dai miei amici romani con i quali ho combinato tanti guai. Non sono ancora andato a vedere la nuova casa perché mi hanno carcerato prima e quindi non vedo l’ora che esco per vederla. Sono ormai 6 mesi che sono carcerato e forse quando uscirò andrò a lavorare con mio padre e mi creerò una bella famiglia perché la famiglia è una cosa molto ma molto bella per ognuno di noi ragazzi. Io spero che ognuno di noi una volta fuori si costruisca una nuova vita e si trovi un lavoro per stare tranquillo.

Sono in carcere perché ho rubato in un appartamento

di anonima

Era la prima volta e non ero sola ma con altri due ragazzi rumeni: ho commesso il reato di furto. Abbiamo visto che la porta di un appartamento al primo piano era aperta e siamo entrati. Avevamo fame, abbiamo aperto il frigorifero che era pieno di cibo e abbiamo cominciato a ma giare. Mentre eravamo seduti al tavolo i vicini di casa ci hanno visto e ci hanno chiesto: “Cosa fate qua?” e io molto impaurita ho risposto: “Avevo fame e sto cercando di mangiare.” Loro non mi hanno creduta perché hanno risposto: “Tu non sei qui per mangiare ma per rubare”. Hanno chiamato i carabinieri dicendo che stavamo rubando e questi ci hanno fatto salire in macchina e ci hanno portato in caserma. Dopo averci interrogati ci hanno portati al C.P.A. e dopo due giorni siamo venuti qua.

Il Giudice mi ha chiesto perché fossi andata a rubare ma io ho risposto che si trattava di fame. I proprietari dell’appartamento hanno creduto invece che noi fossimo entrati per portare via altra roba e il Giudice mi ha condannato a due mesi. I miei genitori mi hanno detto che sono stata una stupida e che non dovevo provarci più. Trascorro le giornate in carcere andando a scuola, in sartoria ma queste attività alle volte ci sono altre no per cui io mi annoio, perché resto molto tempo in cella a pensare e contare i giorni che mi restano all’uscita con la promessa che non farò mai più una cosa del genere.

Voglio parlarvi dei miei sentimenti

 

di Zerkia

Stavo con un ragazzo ed ero molto contenta, perché lui era come me e insieme stavamo benissimo. Un giorno però abbiamo litigato perché non mi dava retta, subito dopo si è messo con una ragazza anzi con una mia amica e io ho litigato con lei e con lui. Dopo due mesi abbiamo fatto pace e siamo tornati insieme ma mia madre non voleva. Io ho fatto finta di lasciarlo ma mia madre all’inizio ci ha creduto e poi si è accorta della mia bugia. Io ho continuato a stare con lui perché lo volevo tanto bene. Io sono qui a Casal del Marmo e lui è fuori ma io penso sempre a lui. Prima di entrare in carcere lui mi aveva chiesto di sposarlo, io ero felice ma la mia famiglia non sa niente e io ho paura che saranno contrari a questo matrimonio. Che brutta la vita qui dentro! Non voglio tornarci più, voglio sposarmi ed essere felice, voglio bambini, me ne bastano due. Mirso ti amo tanto!

Vivere nel mondo d’oggi

 

di Teodor

Io non ho avuto mai problemi e anche se li avessi avuti sarei riuscito a risolverli. Comunque sono convinto che la difficoltà sta nel risolvere i problemi non nel trovarseli davanti. Vivere nel mondo d’oggi non è semplice perché per ottenere ciò di cui ognuno di noi ha bisogno, prime fra tutte felicità e libertà, si devono affrontare numerose difficoltà. È vero che le persone sono totalmente responsabili del proprio destino perché davanti a certe situazioni sono loro che scelgono secondo la propria coscienza. Io sono contro la legge, sono per la libertà assoluta anche se è difficile per le persone avere una vita senza scontri con gli altri solo se si adeguano a seguire delle leggi che regolano la vita di tutti.

Stare alla legge, talvolta, limita la libertà di individui perché può portarli ad agire non secondo la loro opinione ma secondo comportamenti imposti da altri. È vero che ogni essere umano ha dentro di se le capacità per essere felice, ma non tutti riescono a mettere a frutto tali capacità. Infatti non tutti hanno una vita felice, e ci sono alcune persone che si mettono in situazioni difficili con le proprie mani e trovandosi in queste situazioni complicate non riescono a trovare la soluzione per risolvere i problemi di tutti i giorni.

Cosa penso della mia vita

 

di Rosa

Io penso che la mia vita sta andando un po’ in rovina, però adesso sicuramente cercherò di ricominciare. Ho più di una persona importante nella mia famiglia tra cui mia madre, mia sorella e mio fratello. A volte mi sono pentita di quello che ho fatto. Il vantaggio che ho ora che sono in carcere è quello di prendere la terza media e soprattutto mi evita di usare sostanze stupefacenti. Ho una vera mica che purtroppo ora si trova anche lei in carcere e vorrei starle vicina. Dal carcere penso che in alcuni momenti serva per evitare di continuare a fare cazzate e quindi va bene, ma spesso è una crudeltà perché ti allontana dalle persone care e non hai la possibilità di star loro accanto. Per me è troppo severa la giustizia per le cose leggere mentre per le cose gravi spesso non lo è. La pace è la cosa più bella del mondo, se non ci fosse va a finire che tutti ci odieremmo e non è bello. Beh! Posso dire che io faccio una vita normale solo che a volte mi prendono i cinque minuti e faccio le strozzate ma mo che esco le evito per non tornare più qua dentro.

Io ho una

 

di Silvana

Io sono una ragazza buona e voglio bene a tutti e tutti mi vogliono bene, però fra tutti la persona a cui sono molto affezionata si chiama Emina ed è mia sorella. Il 14 aprile compie diciotto anni. È più alta di me, ha i capelli neri, corti, ha gli occhi neri grandi, ha un bel viso molto regolare e una piccola bocca che sorride sempre. Le piace vestirsi bene e i vestiti si adattano al suo corpo agile e snello. Non ha un buon carattere e si arrabbia subito, specialmente quando parlano male di lei. Non ascolta ragioni e tiene il broncio per molto tempo. È difficile trattarla perché non sai mai come prenderla, è molto permalosa e si da molte arie perché si crede la più bella di tutte.

Io non mi trovo bene con lei anche se le voglio molto bene; non ci prendiamo perché io ho un carattere diverso dal suo; lei è molto invidiosa e gelosa di me, specialmente quando stiamo con gli amici. Neanche a farlo a posta io riesco più simpatica e tutti stanno volentieri con me perché riesco a essere un’amicona e mi piace divertirmi quando sono in compagnia; lei invece gli amici se li sceglie e a furia di scegliere rimane da sola. Questo mi dispiace perché in fondo è sempre mia sorella ma il guaio è che lei non accetta i miei consigli; dopo tutto è mia sorella e io la devo accettare per quella che è!

Io sono Sandra e…

 

di Sandra

Ciao, sono Sandra da Roma e ho 17 anni. Mi sono sposata a 13 anni e mi sono lasciata dopo 5 mesi perché lui mi menava e mi tradiva con un’altra ragazza, la mia migliore amica. Io l’ho lasciato perché ho sofferto tanto quando stavo con lui. Adesso sto con un ragazzo romano che si chiama Manuel e sto bene con lui, lo amo tanto e lo amerò per sempre; pure lui mi ama tanto. La mia famiglia sa che sto con lui e ha accettato questo rapporto. Quando pippavo lui mi sgridava, mi diceva di non fare queste cose che non era giusto. Manuel non fa niente. Suo padre e sua madre sono morti quando aveva 5 anni ed ora, a 23 anni, abita con i suoi nonni. Io mi voglio sposare con lui e appena esco dal carcere lo vado a trovare subito, non c’è momento nella mia giornata che non lo penso e piango per lui che non mi fa soffrire mentre io sofferto tanto e tanto nella mia vita. Lui prima era un amico per me e gli volevo bene come ad un fratello, ad un certo punto ci siamo baciati e da quel giorno sto con lui e intendo sposarlo.

Il mio ultimo giorno al giornalino

 

di Stefano

Oggi è l’ultimo giorno che faccio il giornalino perché lunedì andrò in comunità a Caserta. Questo articolo voglio dedicarlo a tutte le persone della redazione perché mi sono trovato veramente bene, e credo che sia uno spazio veramente importante dove poter parlare ed essere ascoltati. Spero comunque di non tornare qui all’I.P.M., ma mi piacerebbe molto rivedere queste persone fuori. Un saluto a tutti i lettori.

Ciao ragazzi!

di Marcella

Mi chiamo Marcella, sono qui da 5 mesi e forse esco il 20 febbraio; mo vi parlo del mio amore: mi sono innamorata di un ragazzo che sta fuori da qui e lo amavo troppo, ma una persona ha detto che non potevo sposarlo. Lui mi diceva: “Scappiamo!”, ma io, cretina, rispondevo: “No, se scappiamo la tua famiglia cosa dirà?”. E lui: “Non mi frega, voglio stare solo con te”. Ma vabbè! Sai qui dentro il tempo non passa mai ed io non vedo l’ora di uscire così potrò fare con lui una cosa che in questi giorni ho tanta voglia: di fare all’amore con lui per tutta una sera, di baciarlo e abbracciarlo. Non mi interessa che è sposato, io lo amo e lo amerò tutta la mia vita fino alla morte. Non ci potrà separare nessuno, nemmeno le sbarre. Ho cercato di dimenticarlo ma non ho il coraggio di farlo perché lo amo troppo, e darei anche la mia vita per lui. So che non potrò mai sposarlo perché la sua famiglia e la mia non sono più d’accordo. Mo devo solo aspettare il giorno che esco per andare via con lui lontano-lontano e il nostro amore ci accompagnerà per sempre.

Voglio parlarvi

 

di Jasmina

Io ho 15 anni e da un anno stavo con un ragazzo del mio campo che si chiamava Atco. Lui ha cominciato a farmi la corte, a venirmi dietro ma io non volevo perché non lo conoscevo bene. Una mia amica mi ha consigliato di stare con lui perché lei stava con suo cugino. Un giorno andando al cinema ci siamo rincontrati e lui mi ha chiesto se volevo stare con lui. Io ho risposto di sì perché cominciava ad essermi simpatico. Purtroppo però, dopo solo dieci giorni, ho saputo che stava con un’altra ragazza e questo mi ha fatto soffrire. Io ho cercato di sapere la verità e lui prima ha negato e poi un giorno mi ha detto la verità, e cioè che era vero che stava con un’altra ma ci stava solo per scherzare mentre con me faceva sul serio.

Mio padre aveva saputo da altre persone di questo fatto e non aveva detto di no, ma mi aveva dato il permesso. Dopo qualche tempo però gli hanno detto che Atco faceva uso di droga, che non si comportava bene e allora mi ha consigliato di lasciarlo. Lui però, pur di stare con me mi prometteva di non intossicarsi più e allora ho deciso di rimettermi insieme a lui. Dopo 6 mesi io ero felice di stare con lui perché gli volevo bene, ma ho saputo che lui aveva ripreso a sniffare, a fare casini e allora, anche se con grande dispiacere, 1’ho lasciato per sempre.

Ho sofferto tanto, ho pianto tanto, ma ho pensato che se lui non era riuscito a cambiare vita, non era degno di me. Fortunatamente, dopo un paio di mesi, ho conosciuto un altro ragazzo, Se io, di un anno più grande di me che con il suo amore mi ha fatto dimenticare il passato ed ho ripreso ad essere felice anche se lui è a Genova, ma ci telefoniamo e lui di tanto in tanto viene a Roma. Facciamo progetti per il futuro perché io desidero avere una famiglia tutta mia e sono sicura che sarà per sempre.

Intervista ad un cancelliere del Tribunale per i Minorenni di Roma

 

Cosa vuol dire difensore d’ufficio? Quale imputato può averlo?

Non avendo l’imputato nominato un difensore, questo viene designato dal giudice. Ciò vale per tutti gli imputati privi di difensore di fiducia (art. 1 comma 5 legge 217/90).

 

Che differenza c’è tra il difensore previsto dalla legge 30.7.1990 n. 217 e l’avvocato di ufficio di prima?

Il difensore previsto dalla presente legge, al contrario di quanto avveniva con la precedente normativa, viene retribuito dallo Stato, salvo a ripetere le somme anticipate nei confronti dei soggetti che non si trovano nelle condizioni di cui all’art. 3 della stessa legge.

 

Chi nomina il difensore di ufficio? Come lo si sceglie?

Il PM o il Giudice, individuandolo dall’elenco predisposto dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati e Procuratori del distretto ai sensi dell’articolo 15 D.M. 28.7.89 n. 272.

 

Il difensore d’ufficio nominato deve seguire l’imputato attraverso il suo iter penale? Deve essere sempre lo stesso come se fosse un difensore di fiducia? Anche in Cassazione?

Il difensore d’ufficio nominato deve assistere l’imputato durante l’arco del processo e quindi rimane sempre lo stesso, come il difensore di fiducia anche in Cassazione.

 

Il difensore di ufficio può scegliere l’imputato anche come difensore di fiducia?

Il difensore di ufficio può seguire l’imputato come difensore di fiducia allorché intervenga apposita nomina da parte dell’imputato che, in questo caso, sarà tenuto a pagarlo direttamente. In ogni caso l’imputato che dimostra di trovarsi nelle condizioni previste dalla legge 217/90 art. 3 può chiedere l’ammissione al gratuito patrocinio con scelta del difensore di fiducia; in questo caso, a seguito di ammissione al beneficio, il difensore verrà retribuito dallo Stato.

 

È lo Stato che paga il difensore di ufficio? A quale ministero sono dati i fondi per pagare la difesa?

Il difensore di ufficio viene retribuito dallo Stato, con fondi gravanti sul capitolo di bilancio del ministero di Grazia e Giustizia.

 

Qual è il onorario del difensore d’ufficio? Quanti imputati può difendere oggi giorno? È pagato per ciascun imputato? Anche per il coimputato?

Il difensore di ufficio è retribuito secondo le tabelle previste dalla legge per ciascuna fase processuale e in base agli atti dallo stesso compiuti. Il difensore di ufficio può difendere, durante le stesse udienze, tutti gli imputati per i quali è stato nominato. È retribuito per ogni processo anche se vi sono più imputati.

 

Come fa l’avvocato di ufficio per ricevere i soldi?

I compensi all’avvocato di ufficio vengono liquidati dal giudice con decreto sulla base delle attività svolte e corrisposti a seguito di mandato emesso dalla cancelleria, dall’ufficio del Registro competente.

 

È lui che decide di essere un avvocato di ufficio? Deve fare una domanda? A chi?

Il difensore di ufficio viene delegato dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati e Procuratori, scelti tra i professionisti che abbiano particolari titoli e competenze nel settore dei minorenni. La richiesta di iscrizione all’albo dei difensori di ufficio presso il Tribunale dei minorenni va indirizzata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Procuratori.

 

Qual è il suo parere su questa legge?

Si tratta di una buona legge perché assicura a tutti gli imputati, anche a quelli poveri, una difesa adeguata.

Intervista al Sostituto procuratore del

Tribunale per i Minorenni di Roma dott. Roberto Thoma

 

Qual è la differenza dei compiti tra il giudice del Tribunale dei Minori ed il Procuratore?

Domanda molto tecnica, io sono il Procuratore della Repubblica. La differenza è che il giudice condanna o assolve, il Procuratore propone delle soluzioni, fa richiesta di pareri, ma non giudica, richiede una certa pena, fa richieste, appelli, ma non giudica. Nel processo c’è un triangolo, al vertice c’è il giudice, in basso da un lato c’è l’avvocato che difende, dall’altra parte il PM che accusa. Il termine accusare non mi piace, il PM ha anche la funzione di aiutare questi ragazzi in modo che non tornino a commettere altri reati, in modo che il ragazzo torni un ragazzo onesto.

C’è il difensore privato e il difensore pubblico. Il PM deve ottenere e tenere conto delle esigenze di recupero del minore e della società che si allarma quando succedono queste cose. La società davanti ad esempio ad un furto, si allarma, si spaventa. Il PM quando identifica il minore che ha rubato deve chiedere condanna per chi ha allarmato ad esempio il quartiere, ma chiedere anche misure di tutela del minore per aiutarlo se ad esempio non c’è la famiglia che lo può aiutare.

 

Come si diventa Procuratore?

Il Giudice e il Procuratore hanno la stessa origine. All’inizio sono magistrati. Bisogna avere la laurea in giurisprudenza, quindi la scuola media, diploma superiore, 5 anni di università, ai nostri tempi 4, ora di più. Poi la tesi, il concorso pubblico che ai miei tempi era subito dopo la laurea, infatti io dopo 2 mesi ho fatto il concorso e sono diventato magistrato. Ora bisogna aspettare un anno, superato il concorso diventi magistrato. Si diventa magistrati per lo stesso concorso, poi si fa la scelta che è lasciata al singolo in rapporto alla disposizione dei posti. Io sono andato a Venezia a fare il sostituto procuratore, perché lì c’era posto e poi lì avevo i suoceri. La Spagnoletti a Massa Carrara perché era vicina a Roma dove aveva la mamma. Insomma la sede si sceglie in base alla graduatoria e poi in base alle personali esigenze familiari.

 

La competenza del Procuratore è solo penale?

No, no! Il Procuratore in generale ha funzione penale per i maggiorenni. C’è ne una al civile che io chiamo “fantasma”. Per i minori anche il civile. Oltre ad iniziare l’azione penale sulla base della denuncia della polizia, io chiedo che tu venga giudicato dal Tribunale dei Minori. A me la Polizia invia gli atti e io chiedo che tu subisca il processo in base agli atti. C’è anche la funzione civile di seguire le pratiche che riguardano la famiglia del minore abbandonato o di chi ha problemi in famiglia. Se il minore è abbandonato in tutto il mondo inizia la procedura di adozione e si cerca di solito una famiglia senza figli. Se i genitori litigano e non sono sposati e si separano il Tribunale dei Minori decide a che darlo. Se sono sposati se ne occupa il Tribunale Ordinario.

Di solito ora si fa l’affido condiviso. L’ideale è l’affido alternato ma è difficile perché si devono alternare nella stessa casa i due genitori in modo da non portare cambiamenti nella vita del figlio, in modo che i figli possono rimanere nell’ambiente naturale. Il problema tecnico e che non ci sono sempre 3 case, anzi quasi mai. La cosa migliore comunque, di solito, è l’accordo tra gli stessi anche se a volte è il giudice che impone un accordo. L’altro compito è la potestà genitoriale e le adozioni. Si affidano i minori se ci sono genitori che si ubriacano o si drogano, se non sono degni di fare i genitori. IL PM dei minori chiede la decadenza della potestà genitoriale. C’è un discorso di diritto/dovere un po’ complesso. Voi che ne dite, qual è la differenza?

 

Da guanto tempo svolge questa attività?

22 anni a Roma, 4 a Venezia, 5 anni al ministero della giustizia. In tutto 31 anni e 27 nel campo dei minori.

 

Quale reazione suscita in lei la lettera di una sentenza di condanna quando da lei non richiesta?

Grande dispiacere. Alle volte, come ho detto e scritto più volte, i minori vanno giudicati non contro la legge, perché se si commette un furto non si può far finta di niente, ma bisogna aiutare i minori oltre la legge. Per aiutare i nostri ragazzi di solito per fare i giudici bisognerebbe essere persone umane, occorre per questo lavoro predisposizione umanità, bontà animo per tutti i magistrati per i minori.

 

Ritiene utile, ai fini del recupero del minore, la detenzione?

La detenzione è il sistema ultimo quando non ci sono altre possibilità di recupero. Giovanni tu perché sei qui? Per rapina vero? Lo sai che è un reato grave. Dopo 5 mesi di permanenza in casa poi esci, non è servita la lezione e fai la rapina, quindi scatta il carcere.

 

Secondo lei gli istituti penali minorili andrebbero riformati?

Insomma un pochino. Qui è un bell’istituto ma comunque il collegamento carcere-uscita minori funziona male. Bisognerebbe rafforzare l’attività dei volontari, in modo da creare un rapporto tra voi ragazzi e ragazzi con altri ideali.

 

Cosa pensa di noi giovani?

Anch’io mi sento giovane, ho 57 anni. Con voi ricordo la mia gioventù e la mia esperienza di padre, ho un figlio di 24 anni. Io sono favorevole ai giovani, penso che i giovani sono il futuro. Anche voi che avete sbagliato se recuperati tornate ad essere bravi ragazzi. Io ho fiducia, i giovani hanno molti valori, non solo il disvalore del denaro. C’è l’amicizia, la solidarietà, per la maggior parte. Ho fiducia, credo che il mondo ha bisogno di voi giovani perché migliori che ci sono tante disuguaglianze e disparità di trattamento come per la salute. Tutti hanno diritto allo stesso trattamento.

 

 

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