Osservatorio
Calamandrana sul carcere di San Vittore
"per
la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"
Bollettino
n° 7 – gennaio 2003
Continuiamo l'osservazione sul carcere,
Un'evasione obbligata,
Un grido disperato
Un'evasione obbligata
Segnaliamo questo grave episodio - così come ci è stato raccontato dal
protagonista -
emblematico da un lato del rischio di certe soluzioni alternative al carcere,
dall'altro dell'assurdità e della pericolosità di certi regolamenti.
Il 28 ott. 2002 il detenuto M. da San Vittore viene portato per arresti
domiciliari alla Cooperativa E. (gestita da detenuti ed ex detenuti avventisti,
che si autofinanziano commerciando in mobili usati)
Poco dopo il suo arrivo, a tavola con sei detenuti, questi gli domandano qual è
il suo reato e dopo la sua risposta (violenza sessuale* e maltrattamento alla
moglie) lo aggrediscono verbalmente con pesanti insulti.
Durante la sua permanenza in questa Cooperativa (20 ore, compresa la notte)
viene aggredito 4 volte da parte di singoli, in luoghi e momenti diversi.
Una prima volta riceve pugni nello stomaco e insulti da parte del vice
responsabile (nel corridoio senza testimoni)
Riceve poi minacce di percosse da un detenuto, che poi viene fermato appena in
tempo dallo stesso vice (in camera da letto)
Viene buttato a terra da un altro detenuto (in cucina)
Più tardi un altro gli mette le mani sul collo e minaccia di ammazzarlo. A
questa aggressione (in sala da pranzo) è presente il responsabile della
Cooperativa.
Queste aggressioni sono violente ma non eccessivamente dolorose. M. si spaventa
e teme per la sua incolumità. Dopo la terza aggressione riesce a parlare con il
responsabile della Cooperativa, a cui racconta di essere stato aggredito, e
chiede di chiamare la polizia per essere riportato in carcere. Questi telefona
due volte alla polizia, alla presenza di M. che sente la frase "Ma lui non vuole
evadere". Il responsabile lo informa che la polizia non vuol venire, dato che
non c'è evasione. Ma dopo l'ultima aggressione che avviene in presenza del
responsabile, questi telefona ancora e poco dopo arrivano 3 agenti su due
macchine della polizia. M. riesce a parlare con i poliziotti a cui racconta i
fatti e dice di voler andar via. Questi gli rispondono che non possono fare
niente, perché non c'è evasione. Lui piangente chiede ai poliziotti di
accompagnarlo al portone. Lì fa un passo di 20 cm. oltre la soglia, si gira
verso l'interno e, con le mani avanti, domanda se questo basta per evadere . Gli
mettono le manette e lui dichiara: " Non è importante, ma portatemi via di qua.
Non avevo altra scelta." Viene portato al Commissariato e il Commissario in sua
presenza avverte i poliziotti di stare attenti nel fare il verbale , perché si
tratta di cosa delicata.
Il giorno dopo è portato in tribunale per essere giudicato per direttissima per
evasione.
Il suo avvocato non è presente perché impegnata in altro processo a Como. Il
processo viene rinviato al 5 novembre su richiesta dell'avv. sostituto.
Il 5 novembre in tribunale M. chiede al suo avvocato come mai non è venuta a
parlargli a San Vittore, visto che dal Commissariato è stata avvisata del suo
arresto per evasione. A questo punto l'avv si rifiuta di assisterlo ed esce
dall'aula prima che inizi il processo. Viene allora chiamato un avvocato
d'ufficio che gli chiede di patteggiare una pena di tre mesi per evasione. M. si
rifiuta e viene richiesto il processo normale con i testimoni per il 20
novembre.
*di questo reato M. si dichiara innocente
Un grido disperato
Il detenuto protagonista di questo episodio tuttora in corso, ha voluto farci
leggere questa sua lettera ( spedita anche a una radio locale), in cui descrive
ciò che gli sta accadendo.
12/12/02. Scrivo da San Vittore. Sono Alì tunisino di 36 anni; sono sposato con
una cittadina italiana e ho una bambina di 8 anni.
Sono in carcere da 4 mesi con una condanna di 8 mesi. E' la mia prima
carcerazione.
Per ora non voglio parlare dei problemi del carcere che sono moltissimi, non per
niente, ma soltanto perché adesso ho un problema gravissimo all'esterno: la mia
bambina è in ospedale ( il S. Gerardo di Monza) da 2 mesi. Ha la leucemia
mieloide acuta. Sta soffrendo ed è sotto chemioterapia e antibiotici.
Io ho fatto tante di quelle richieste di permesso per andare a vedere mia
figlia, accettando qualsiasi forma, anche sotto scorta e in manette, basta che
me le tolgano davanti alla mia bambina…Tante, tante richieste fatte al
magistrato, al direttore del carcere, al giudice, alla direzione sanitaria,
anche perché ho proposto di essere pronto a donare il mio midollo a mia figlia.
Ho avuto aiuto dal C.P.A., dagli assistenti volontari e un pochino dalle
assistenti sociali.
Scrivo questo mio problema, per parlarne un po' alla radio sperando che qualcuno
lo senta e ascolti questo mio grido disperato di voler vedere mia figlia che
rischia la vita lì, ed io sono qui a pensare a niente altro che lei.
Grazie d'anticipo
Hichrì Alì
Dopo aver scritto questa lettera, Alì Hichrì è uscito in permesso il 14/12/02
solo per 3 ore con scorta. Ma la bambina, come certifica una dichiarazione del
medico curante dell'ospedale S. Gerardo, ha bisogno di un'assistenza continua da
parte dei genitori, e la madre è stata costretta, per questo, a lasciare il
lavoro. A oggi, 10 gennaio, Alì aspetta ancora una risposta.
Per informazioni, segnalazioni e adesioni rivolgersi a Gruppo Calamandrana,
presso Lega dei Popoli, via Bagutta 12 Milano tel 02780811 e-mail
lidlip@ciaoweb.it
Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario
Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa