Bollettino n° 20

 

Osservatorio Calamandrana sul carcere di San Vittore

"per la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"

Bollettino n° 20 - aprile 2006

 

Il transessuale in carcere e la violazione dei diritti umani

La realtà delle persone detenute transessuali

I transessuali detenuti abbiano la possibilità di scegliere

Il transessuale in carcere e la violazione dei diritti umani

 

I transessuali sono vittime da sempre di un pregiudizio assurdo: la loro condizione è considerata una scelta ed una colpa, mentre non è né l’una né l’altra. Da questo deriva la situazione di emarginazione in cui si trovano, costellata spessissimo da episodi di crudeltà e di violenza. Chi più avrebbe bisogno di comprensione è fatto oggetto di scherno e persecuzione.

E se queste gravissime violazioni dei diritti civili si verificano normalmente nella vita associata, tanto più si accentuano nelle carceri, come dimostra la testimonianza che qui presentiamo.

Colpisce particolarmente il fatto che un transessuale non venga considerato una persona, col conseguente, incredibile atteggiamento di alcuni agenti verso soggetti deboli e indifesi.

Dato che l’argomento "transessuali" è quasi sempre trascurato, invitiamo alla collaborazione tutti coloro che siano in possesso di testimonianze e dati che possano contribuire ad analizzare e risolvere questo rilevante, doloroso problema. Da parte nostra ci siamo già attivati in questo senso. Chiudiamo il Bollettino con alcune proposte interessanti di un articolo dell’Agenzia Radicale.

 

La realtà delle persone detenute transessuali

 

Il Foglio, 23 marzo 2006

 

Dentro un carcere esiste un altro carcere. Altre sbarre e altre celle. Ghetto nel ghetto per chi è diverso. Sono le celle, le sbarre per i detenuti transessuali. Io in quelle celle ci sono stata tanti anni. Io transessuale e detenuto.

Se già fuori dal carcere la vita di un transessuale non è facile, beh in carcere diventa quasi impossibile. Impossibile a meno che tu non sia disposta a mettere in gioco quel poco di dignità che ti è rimasta. Un prezzo caro per la sopravvivenza, anche se sei un transessuale. Io quando ero libera mi prostituivo. Non ero contenta della vita che facevo, ma dovevo pagare chi dal Brasile mi aveva fatto arrivare in Italia. Un uomo, a cui dovevo i soldi di quel viaggio, che mi picchiava e che abusava di me. Ero esasperata da quella vita. Una notte ho reagito a quegli abusi e a quelle botte, l’ho ferito e lui purtroppo è morto. Mi hanno processata, mi hanno giustamente condannata, ma poi per me si è aperta la porta del carcere. Un carcere assai lontano da quella "giustizia" che mi aveva condannato. Per un transessuale il carcere appare subito come l’inferno. La diversità che ti porti appresso è amplificata. Difficile anche trovarti un posto. Non nella sezione maschile. Non nella sezione femminile. Ma nella sezione peggiore: quella degli infami, dei pedofili ovvero quella, appunto, dei trans.

Per parecchio tempo ho diviso la mia cella con altre transessuali. Persone che erano in carcere da diversi anni e che erano segnate nel corpo e nella mente dalla disperazione. In quella cella c’era chi si tagliava la braccia, chi si drogava o chi negli occhi non aveva più la voglia di vivere.

Come Samanta, anche lei transessuale. Da tempo Samanta stava male con i polmoni. Spesso aveva delle crisi respiratorie, ma per lei erano rare le cure mediche. Piano piano Samanta si è lasciata andare, si è abbandonata. Ha iniziato a bere vino mischiato con gli psicofarmaci. Tutti sapevano quello che si faceva Samanta. Nessuno ha fatto nulla per lei. Una mattina ho trovato Samanta in bagno. Per terra in una pozza di sangue. Si era tagliata le vene e l’aveva fatta finita.

Oggi mi è chiaro. La pena in carcere per un transessuale è la sua diversità. Una diversità a cui il carcere non è preparato. Se già mancano educatori o assistenti sociali per i detenuti comuni figuratevi per noi! Se in carcere non c’è possibilità di lavorare se sei "normale", può esserci per chi è considerato uno strano animale? Per queste ragioni la vita in cella di un transessuale è ai limiti del possibile e lontano da ciò che si può immaginare. Dicevo prima del prezzo da pagare in carcere se sei transessuale e se vuoi sopravvivere. Bene il prezzo è il sesso. I tuoi clienti gli agenti, o meglio alcuni di loro. Ora voglio essere chiara. Tantissimi agenti sono bravi e sono i veri agenti, ovvero quelli che lavorano secondo la legge e per le persone detenute, anche se transessuali. Purtroppo tra questi c’è chi si approfitta della loro posizione di potere. Se in sezione ti capita di turno un agente così, tu sei finita. Per tanti mesi io ho provato a resistere alle loro richieste. Arrivavano di notte, mentre dormivo e mi dicevano "Oh, puttana! Che fai dormi? Svegliati e fammi una p.", oppure "fammi toccare una tetta, magari così ti porto da mangiare". Una notte ho risposto male ad un agente che mi chiedeva di fare sesso. Lui mi ha fatto rapporto, io ho raccontato l’episodio al comandante ma non sono stata creduta. Morale mi hanno punito. Da quel giorno, quando mi chiedevano di fare sesso io lo facevo.

Così è iniziato un lungo periodo in cui io, come tante altre trans, acconsentivamo a rapporti sessuali. Insomma presto mi sono resa conto che mi ero liberata da uno sfruttatore ed ero finita nelle mani di altri. Avrei preferito tornare sul marciapiede. Perché c’è un margine di scelta nella prostituzione. Ma quando sei in carcere tu quel margine non ce l’hai. In carcere o fai sesso oppure la tua vita diventerà impossibile. In carcere sono dovuta scendere ancora più in basso di quando facevo la puttana.

Questa è la verità e non solo la mia. Questo è il mio recente passato, questo è il presente di tante altre transessuali in carcere. Sono sopravvissuta così mesi, anni. Per affrontare quella vita mi riempivo di psicofarmaci. Mi sentivo un animale. Mancava poco alla fine. Per farla finita come Samanta. È stato il periodo più brutto della mia vita. Poi un giorno mi trasferirono in cella da sola e grazie a una suora ho ricevuto un uncinetto e un filo. Ho iniziato così a fabbricare dei piccoli oggetti nella mia cella. Ogni oggetto che facevo era un passo verso la mia dignità. Lavoravo sempre di più, capivo che dovevo dimostrare di saper lavorare per poter essere considerata come un essere umano. È stato un percorso lunghissimo e molto pesante.

Con quell’uncinetto facevo vestiti e borsette. La suora che mi aiutò all’inizio mostrò i miei lavori al direttore del carcere, che rimase sorpreso per quello che ero riuscita a fare. Dopo tanti anni di carcere c’era qualcuno che finalmente mi riconosceva come essere umano e che mi voleva aiutare. Così, non potendo io transessuale andare nel laboratorio del carcere, mi fecero avere in cella una macchina per cucire. Quella macchina era il mezzo per riavere la mia dignità. Da quel giorno la mia vita è cambiata, quella mia piccola cella era piena di vestiti, mi venivano a trovare giornalisti e addirittura degli stilisti. Io transessuale in carcere ero tornata persona, ma senza quell’uncinetto oggi sarei morta.

 

A., 33 anni

 

I transessuali detenuti abbiano la possibilità di scegliere

 

Agenzia Radicale, 10 marzo 2006

 

Il problema dei transessuali in carcere. La Spagna, anche in questo, ha fatto un passettino avanti prima di noi. E la cosa, a questo punto, non fa certo più notizia. Vale la pena, però sottolineare che, in Italia, la questione, delicata, ha da più di un decennio accarezzato le scrivanie di chi di dovere, tramite carte, appelli, progetti provenienti dalla penna e dalla voce di educatori, cappellani, agenti penitenziari, assistenti sociali e altresì detenuti. Da un decennio si sottolinea come la scelta di destinare i detenuti transessuali in carceri maschili in reparti frequentati, quindi, esclusivamente da uomini, per quanto secondo normativa con tutte le accortezze atte a tutelare il massimo di discrezione e privacy (solitamente un cancelletto divisorio tenuto aperto quasi tutto il giorno), non tiene conto delle tanti dinamiche emotive, giuridiche che caratterizzano il rapportarsi di queste personalità con il resto della comunità carceraria. E che per queste e molte altre ragioni debba considerarsi, quantomeno, inappropriata. Se non, più realisticamente, devastante.

Numero 1: il carcere non riconosce la transessualità. Al detenuto transessuale ci si rivolge sempre al maschile. A dispetto della sua identità e personalità, completamente femminili, l’assenza di un’istituzionalizzazione del genus lo condanna a una classificazione penitenziaria come "uomo" e a una galera che, oltre alla privazione della libertà, prevede la moltiplicazione delle vessazioni e delle discriminazioni a suo carico. Risultato:Il numero dei transessuali detenuti suicidi è in proporzione altissimo come altissimo, sempre in proporzione, il numero dei detenuti transessuali quotidianamente dediti all’autolesionismo. Come altissimo è il costo umano di personalità, sicuramente più fragili, intimamente e psicologicamente distrutte da questo brutale trattamento irriguardoso e disprezzante di un’identità sessuale.

Destinare il transessuale detenuto in un carcere femminile potrebbe/dovrebbe essere un piccolo momento di maggiore garanzia per il rispetto della sua personalità. Ma, ripetiamo, solo un piccolo passo. Perché la questione transessuale e specificamente il loro avvio alla "devianza" ha un suo centralissimo problema che meriterebbe ben altro tipo di soluzione. Il campione statistico a nostra disposizione, infatti, dice chiaramente che il "percorso criminale" del transessuale è segnato dalla sua disperata rincorsa al denaro sufficiente per approdare all’operazione per cambiare sesso. È un percorso che comincia molto spesso con la prostituzione, succedaneamente con lo spaccio di droga. Un investimento nel piccolo crimine per poter ritrovare la propria identità sessuale. Un costo sinceramente troppo alto. Forse, allora, bisognerebbe intervenire in maniera diversa. Una nuova legge, forse. Un potenziamento delle strutture di supporto scientifico. La possibilità di accedere gratuitamente all’intervento. Scelte giuste, opportune, forse anche convenienti. In attesa, sempre, che si faccia il primo piccolo, piccolo passo.

Per informazioni, segnalazioni e adesioni rivolgersi a Gruppo Calamandrana

Presso Lega dei Popoli, via Bagutta 12 Milano tel. 02780811

e-mail gruppocalamandrana@libero.it

Sito internet: http://calamandrana.interfree.it

Gli originali degli scritti pervenutici direttamente da detenuti sono a disposizione presso la nostra sede.

Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa. Le Associazioni: Naga, Lega per i Diritti dei Popoli - Sez. di Milano.

 

 

Precedente Home Su Successiva