Bollettino n° 18

 

Osservatorio Calamandrana sul carcere di San Vittore

"per la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"

Bollettino n° 18 – gennaio 2006

 

L’amnistia è un atto di saggezza politica e non di buonismo

Amnistia e riforme

Una occasione mancata

Una denuncia di pestaggio

L’Amnistia è un atto di saggezza politica e non di buonismo

(dall’intervento dell’on. Pisapia alla Camera il 27 dicembre 2005)

 

L’intervento dell’on. Pisapia alla Camera durante la discussione sull’amnistia la mattina del 27 dicembre 2005 ci è sembrato particolarmente significativo per la sua concretezza.

Vogliamo qui riprenderlo in sintesi, perché riteniamo che debba essere conosciuto e ci sembra che non abbia avuto risonanza né sui giornali né alla televisione.

L’amnistia e l’indulto sono un provvedimento indispensabile quale premessa per poter modificare la situazione di illegalità delle carceri e di inefficacia del sistema della giustizia penale, inaccettabile in un paese civile

Noi abbiamo il dovere giuridico, morale e politico di creare vivibilità e civiltà che non esistono nelle nostre carceri. La premessa è un provvedimento di amnistia e di indulto, prevista dalla nostra Costituzione. L’ultima è stata nel ‘90.

Tutto ciò è riconosciuto dalla polizia penitenziaria, dalla magistratura nel suo complesso, dalla cultura universitaria, dagli operatori del diritto, giuristi, ex presidenti della Corte Costituzionale.

Crediamo che non sia necessario che la giustizia si sostanzi nella forza e che la forza non si sostanzi nella giustizia, perché l’una sarebbe impotente e l’altra sarebbe tirannica.

La situazione attuale della carceri italiane è notevolmente peggiorata: Ecco alcune cifre

60.000 detenuti di cui oltre 10.000 stanno in carcere per scontare pene inferiori ad 1 anno, cioè per reati di non grave allarme sociale; oltre 7.000 detenuti stanno scontando una pena non superiore ai due anni. A questi detenuti vogliamo dare la speranza di libertà e la certezza di poter tornare a situazioni di umanità, vogliamo creare reinserimento per diminuire il numero dei reati e garantire la sicurezza dei cittadini. Tasso di recidiva del 3% per chi si è reinserito nella società attraverso le misure alternative. Tasso di recidiva del 70% per chi esce alla fine della pena dopo il carcere.

20.000 in carcerazione preventiva, solo il 12% sono in carcere per reati di sangue e di criminalità organizzata. 7% sieropositivi HIV. 36% positivi a epatite C. 8% epatite B. 27% a rischio di TBC. 1 su 2 manifestano disagio psichico e consumano psicofarmaci.

Il bilancio sanitario è di circa 90 milioni di euro all’anno, ma i medici lamentano tagli di circa il 40% negli ultimi 5 anni. Gli oltre 3 miliardi di euro spesi negli ultimi anni per il mantenimento di detenuti che non hanno commesso un reato grave, cioè i tossicodipendenti, gli emarginati, i poveri e i deboli avrebbero potuto essere utilizzati per: assumere 2.000 nuovi educatori, assumere 2.000 nuovi operatori del tribunale di sorveglianza, incentivare aziende cooperative disposte all’assunzione di 10.000 detenuti o ex detenuti, costruire reti abitative per 5.000 persone uscite dal carcere

Occorre uscire dalla logica che l’unica sanzione sia quella carceraria. Vi sono altre sanzioni che noi dobbiamo prevedere nel nostro sistema penale, sanzioni che rendano la pena certa, ma non creino quel circuito infernale in cui entra una persona incensurata. Eccone alcune: detenzione domiciliare durante i weekend; misure interdittive nei confronti dei condannati; lavori socialmente utili; lavori finalizzati al risarcimento del danno. Siamo convinti che sia non solo possibile ma doveroso coniugare il diritto alla sicurezza e la sicurezza dei diritti.

 

Amnistia e riforme

 

Presentiamo una breve sintesi dell’articolo di Stefano Rodotà "Le buone ragioni di chi si batte per l’amnistia" apparso su La Repubblica del 23 dicembre scorso.

L’iniziativa sull’amnistia non è solo un provvedimento di clemenza ma anche uno stimolo a riprendere il tema della riforma carceraria e giudiziaria, sempre trascurata dal dopoguerra al 1990, periodo in cui, appunto in mancanza di riforme, si è ricorso 42 volte all’amnistia e all’indulto. Nel 1990 per sollecitare le autorità ad affrontare finalmente le riforme, il Parlamento ha alzato il quorum necessario ad approvare le leggi di amnistia e indulto. Ma Governo e parlamento sono poi rimasti inerti sul problema e la situazione carceraria si è sempre più aggravata. Sul problema della giustizia occorre dunque una svolta.

 

Una occasione mancata

 

Il 16 dicembre scorso la trasmissione televisiva "Le invasioni barbariche" su La7, ha dedicato una parte del suo programma all’amnistia, e questa era un’ottima occasione per sensibilizzare il pubblico su un argomento attualissimo ed informarlo sulla tragica realtà delle carceri italiane. Purtroppo l’occasione è andata persa.

Partecipavano alla trasmissione oltre alla conduttrice Daria Bignardi, il vicedirettore del "Corriere della Sera" Pierluigi Battista, Riccardo Arena, che conduce settimanalmente la rubrica Radio carcere su Radioradicale, alcuni parenti di detenuti, l’on Lussana della commissione giustizia della Lega e una dottoressa psichiatra.

L’on Lussana, incredibilmente aggressiva e invadente, è riuscita a monopolizzare buona parte della trasmissione. Suo argomento preferito lo stupro. "Così allora usciranno di galera gli stupratori" gridava spesso, incurante dell’informazione fornitale da Arena sull’esclusione dei violentatori dall’amnistia. Così di fronte a quella furia scatenata nessuno aveva lo spazio sufficiente per esporre altri ragionamenti.

Ma il colpo di grazia al grado di informazione della trasmissione lo dava un filmato, accompagnato da una lieta musichetta, in cui si mostravano gli incontri dei detenuti di Bollate con le loro mogli e bambini in un ambiente tranquillo e grazioso. Che si trattasse di un lodevole progetto pilota attuato a Bollate non era abbastanza sottolineato, e così i telespettatori hanno potuto pensare che le carceri italiane sono proprio carine e gli incontri dei detenuti con le loro famiglie si svolgono in un clima di allegra spensierata vacanza. E allora perché ci vorrebbe una amnistia?

 

Una denuncia di pestaggio

 

Il testo che segue è stato estratto da un manoscritto firmato. Lo riportiamo non per criminalizzare il carcere, ma per evidenziarne un altro aspetto oltre a quello laudativo fin troppo frequente. Noi non possiamo verificare l’autenticità di quanto è raccontato, né possiamo accertare cosa sia avvenuto in seguito a questa denuncia. Ma se quanto esposto corrisponde a verità, come è probabile, ci chiediamo come in un carcere moderno come San Vittore possano avvenire fatti di questo genere, perché avvengono e perché non si trova il modo di impedirli.

 

Estratto da una denuncia di pestaggio ottobre 2005

 

La notte subimmo una perquisizione. Terminata la quale io ed i miei compagni fummo ricondotti in cella. Arrivati nei pressi del blindo un mio concellino, chiese se fosse risultato tutto negativo. A questo punto fui raggiunto da una frase in dialetto pronunciata da un agente scelto, che dava tutta l’impressione di essere una esclamazione volgare ed offensiva. Io mi rivolsi al capoposto, un agente di origine calabrese, chiedendo se il suo collega potesse riportare la frase in italiano in modo da stabilire un dialogo.

Nel tempo di un minuto l’agente scelto si apprestava ad aprire il blindo (compito del capoposto) ed iniziava ad inveire verbalmente e fisicamente sulla mia persona colpendomi con pugni e schiaffi, immobilizzandomi al muro, afferrandomi la gola; il tutto approvato da provocazioni orali atte ad offendere me e la mia famiglia. Le percosse durate una decina di minuti hanno trovato come inermi spettatori i miei compagni di cella e spalleggiatori dell’oppressione il capoposto ed un altro agente semplice, che pensiamo dall’età alle prime armi. Specifico che entrambi non intervennero in mia difesa, ma rimasero al di fuori della cella istigando ed approvando il nervosismo già nell’aria con risatine e "battute" spropositate. Solo l’arrivo di un tenente fece sì che l’aggressore smise di picchiarmi lasciandomi la possibilità di respirare.

Per informazioni, segnalazioni e adesioni rivolgersi a Gruppo Calamandrana

Presso Lega dei Popoli, via Bagutta 12 Milano tel. 02780811

e-mail gruppocalamandrana@libero.it

Sito internet: http://calamandrana.interfree.it

Gli originali degli scritti pervenutici direttamente da detenuti sono a disposizione presso la nostra sede.

Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa. Le Associazioni: Naga, Lega per i Diritti dei Popoli - Sez. di Milano.

 

 

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