Forum: Dajana e l'assistenza sociale

 

Ci scrive Dajana, una ragazza che studia
per diventare assistente sociale

 

Buon giorno a tutti!!

Inizio con il presentarmi: mi chiamo Dajana, ho ventun anni, frequento l’Università Ca’ Foscari di Venezia e precisamente il corso di laurea in Servizio sociale… in soldoni sono al terzo anno per diventare assistente sociale e vivo vicino a Piove di Sacco.

Ho deciso di scrivervi perché, svolgendo il tirocinio per l’Università, sono capitata al Centro servizi territoriali n. 2 di via Dal Piaz, non lontanissimo da voi. Già la vita in carcere mi incuriosiva molto e stamattina, mancando la segretaria, ho preso il suo posto e sistemando le carte ho trovato due numeri della vostra rivista. Ho letto entrambi in modo attento, affascinata da tutte le storie di vita vera e, soprattutto nel numero di agosto, ho letto a più riprese, tra le righe, che ad alcuni detenuti non stavano molto simpatiche le (gli) assistenti sociali, perché stanno addosso alle loro famiglie "per portare via i bambini". L’eterno stereotipo che si ripete, ma un po’ hanno ragione. Ci sono alcuni che non hanno capito niente della professione, che non lo fanno per aiutare il prossimo, ma solo come un lavoro ben remunerato e soprattutto sicuro. In questo periodo vedo gente che non ha proprio voglia di "sbattersi" per il prossimo, ma si chiude a riccio e fa i fatti suoi. Non so se le mie critiche siano viziate dal fatto che sono ancora agli inizi e ho voglia di buttarmi autonomamente nel lavoro per fare tutte le cose che ho in testa!

Comunque volevo fare i complimenti a tutti voi che avete il coraggio di raccontarvi in prima persona, di parlare di temi a voi cari e che per comodità un po’ tutti tengono nascosti. Mi ha colpito molto il numero di agosto, non che quello di giugno fosse male, anzi. Il vostro impegno per i libri, per la lettura che io adoro…(leggo di tutto), mi ha colpito. Ma le storie delle vostre famiglie sono veramente toccanti. Non voglio fare la sentimentale o la cerimoniosa, ma alcune mi hanno proprio fatto venire un nodo alla gola. Soprattutto la storia di Marco che a ventitré anni si ritrova ristretto per atti violenti. Questo mi ha fatto riflettere. Lui ha solo due anni più di me, ma una storia di vita completamente diversa, che lo ha portato lontano migliaia di anni luce da tutti i sogni che facciamo quando eravamo bambini e volevamo fare gli astronauti, le ballerine, i piloti e io volevo fare il carabiniere (mi piacevano la divisa e la pistola!!).

Con questa lettera volevo ringraziarvi perché avete il coraggio e la forza di far conoscere agli altri la vostra vita, le vostre riflessioni e i vostri pensieri. Inoltre sto sinceramente meditando di abbonarmi alla vostra rivista perché siete veri, sinceri e tra le vostre righe ho trovato profondità, bellezza e purezza...grazie!!!

Inoltre ho visitato il vostro sito internet, niente male, anche se non sono proprio un’esperta, me la cavicchio.

Un saluto e un abbraccio a tutti voi e ancora complimenti.

Dajana

 

Cara Dajana,

innanzitutto ti ringraziamo per i complimenti che ci rivolgi e speriamo che tu possa continuare ad essere una nostra affezionata lettrice. Chissà, magari un giorno, quando avrai iniziato a lavorare "sul campo", potremo confrontare le nostre esperienze. Ristretti è sempre aperto ad ogni apporto dall’esterno, soprattutto se viene da persone che, come te, dimostrano un genuino interesse e un impegno concreto verso gli altri e verso il sociale. In questo senso consenti anche a noi di leggere "tra le righe" della tua lettera. Hai perfettamente ragione: i luoghi comuni, le facili generalizzazioni e gli stereotipi sono sempre da evitare. E comprendiamo che tu possa provare una punta di irritazione quando alcuni detenuti si lamentano del comportamento degli (delle) assistenti sociali, facendo d’ogni erba un fascio. D’altra parte tu stessa ti rendi conto che quello che hai scelto non è né può essere un semplice mestiere, un posto sicuro che consenta di portare a casa lo stipendio ogni 27 del mese. Ogni attività che ha per oggetto l’altro, il prossimo, soprattutto quando il prossimo è in una situazione di sofferenza e disagio richiede un quid in più. Una specie di vocazione, se vogliamo chiamarla così, che consenta di superare la stanchezza, l’abitudine, le inevitabili delusioni e di mantenere sempre intatte l’attenzione e la sollecitudine verso l’altro essere umano. A noi sembra che tu sia sulla buona strada. Non perdere mai il tuo entusiasmo e la tua freschezza e sicuramente riuscirai ad essere un’ottima assistente sociale.

 

La Redazione

 

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