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Nicola - 7 marzo 2002
Per il dieci maggio 2002 stiamo organizzando un convegno qui nel carcere di Padova sul tema "La difesa degli affetti nei luoghi di detenzione". Al convegno abbiamo già invitato addetti ai lavori che ben conoscono la questione. In Italia è stato fatto un tentativo di introdurre le cosiddette "stanze dell'affettività", miseramente fallito. Un'intelligente proposta fu fatta dall'ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, che in pratica proponeva di affidare ai volontari la gestione interna durante i colloqui "speciali" nelle stanze dell'affettività, lasciando la sorveglianza esterna agli agenti. Ma anche in questo caso la proposta cadde nel nulla. Dopo anni siamo qui e vogliamo riprendere con forza la discussione, perché alla galera siamo condannati noi e non le nostre famiglie e i nostri affetti. La precedente proposta un po' morbosamente era stata fatta passare come "sesso in carcere". Niente di più falso. Può essere compreso anche questo, ma in primo piano abbiamo la necessità di una carezza, del contatto fisico col proprio figlio, la propria madre, senza essere richiamati all'ordine se un bacio è più prolungato (chissà qual è la durata del bacio regolamentare...). Questo è un tema di discussione sul quale ci piacerebbe avere un parere degli amici del Forum su Ristretti.
Nicola Sansonna Truciolo - 8 marzo 2002
L'affettività concepita in carcere è qualcosa che supera anche la virtualità! Nel carcere anche le differenze sono ammissibili e non devono sorprendere nessuno.
L'affettività è una cosa difficile da esprimere, anche in quei miseri 45 minuti che vengono offerti per il colloquio, è come dividere anche con i compagni di detenzione, le guardie e i parenti degli altri, qualcosa che dovrebbe essere soltanto tra te e chi hai scelto, per esprimergli ciò. In carcere è pressoché impossibile essere se stessi, nonostante tutti quei test psicologici, quei team di "specialisti", non riuscirà mai nessuno a dare dimensioni di normalità in qualcosa che è "contro natura", già dalla nascita e quel modo di voler dare una situazione temporanea di normalità, non avrà mai successo, farà godere in un modo, che ahimè, noi non conosciamo da questa parte! Il sesso, in se stesso, è una condizione che fa parte della nostra natura, volete cercare di analizzare me, che vorrei farmi una sana scopata, e no, non vorrei reprimere ciò che fa parte della mia natura e della mia specie, oppure vorreste analizzare un team di "specialisti" che produce frasi da scrivere a proprio talento, dove è vivisezionato il mio VORREI SCOPARE! Non sarò mai adatto allo schema e sarò un irrecuperabile a vita! Perdonatemi per tutta l'ironia, ma io compiango chi ha inventato questo deterrente, chissà come era messo in tutta la sua vita e come è messo chi lo deve applicare senza pensare. C'è un portone spalancato in Europa, dove la maggior parte dei paesi ha capito che le medioevalità vanno studiate nei libri, la nostra civiltà è altra cosa! Un particolare saluto alla redazione interna.
Truciolo Francesco - 16 marzo 2002
Caro Truciolo, ho letto le tue riflessioni sull'affettività in carcere. Alcuni passaggi non li ho molto capiti, per il resto sono d'accordo. Aggiungo che l'impossibilità di essere "normali" non fa parte soltanto della vita reclusa. Quando esci, soprattutto se hai passato dentro un po' di anni, ti porti addosso delle profonde ferite psicologiche. Pensa soltanto alla mancanza d'intimità: qui puoi essere "sorvegliato a vista" ventiquattro ore su ventiquattro, in ogni attimo del giorno e della notte. È vero che questo non avviene sempre, però possono "controllarti a vista" quando vogliono e tu lo sai e ci soffri. Si parla tanto di "rieducare"i detenuti al lavoro, alla legalità, etc.; mah, a me sembra che pure il problema della deprivazione affettiva e sessuale vada affrontato con una logica "rieducativa" dopo la scarcerazione. Non perché pensi che molti detenuti si adattino a pratiche omosessuali, come qualcuno sostiene. Questo non è il vero problema. Il problema è che si perde di vista il valore del sesso come strumento di relazione, di condivisione, di scambio emozionale, etc.: scompare tutto quell'universo umano che ci dovrebbe essere tra lo scopare e l'immaginario romantico. Non so quanti compagni si rendono conto di questo, oppure quanti hanno il coraggio di ammetterlo a se stessi. Credo sia una follia il fingere di essere "normali" dopo 10, 15, 20 anni di vita "anormale". Certo, mi puoi dire che la "normalità" non esiste, che anche tra le persone libere ci sono tante differenze, ci sono conformisti ed eccentrici. Ma qui non puoi scegliere, qui su certe cose devi essere per forza conformista e l'impossibilità di fare scelte irrigidisce la tua mente, incanala il tuo pensiero dentro tracciati predefiniti, dove non c'è sviluppo, non c'è espansione, ma piuttosto c'è accelerazione incontrollabile verso idee fisse. Sì, il carcere "produce"manie, è un luogo in cui spesso il pensiero va in "caduta libera"verso ciò che già sappiamo. Francesco Franca
- 17 marzo 2002 Franca Antonella
- 24 marzo 2002
Antonella
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