Massimiliano De Somma

 

Gli O.P.G. sono "buchi neri" che possono risucchiare

un detenuto per il resto della vita

 

(Realizzata nel mese di luglio 2002)

 

A cura di Francesco Morelli

 

L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario fa paura

 

Viviamo in una società nella quale "la malattia della psiche è considerata vergognosa, deve essere tenuta nascosta, non divulgata e mascherata". Con Massimiliano De Somma, psicologo, volontario nell’O.P.G. di Aversa, avevamo parlato, nel numero speciale del nostro giornale dedicato al tema dell’affettività, di come gli internati negli O.P.G. vivono la negazione della sessualità e la difficoltà di mantenere i rapporti familiari; in questo numero affrontiamo invece la questione della paura che l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario suscita nei detenuti, l’ansia che il disagio e la sofferenza diventino patologia e li mettano a rischio di un ricovero forzato.

 

A noi detenuti l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario fa paura, a torto o a ragione. A volte succede anche di rifiutare la visita dallo psichiatra, nel timore che ci riscontri qualche problema e ci invii "in osservazione" all’OPG. Per quella che è la sua esperienza, queste apprensioni sono giustificate? L’O.P.G. è un luogo nel quale è possibile avere delle cure efficaci, oppure dove le malattie mentali si aggravano e cronicizzano?

L’attuale regolamento penitenziario (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), all’art 112 sull’accertamento delle infermità psichiche, recita: "…L’accertamento è espletato nel medesimo istituto in cui il soggetto si trova o, in caso di insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro istituto della medesima categoria.

L’autorità giudiziaria che procede o il magistrato di sorveglianza possono, per particolari motivi, disporre che l’accertamento sia svolto presso un ospedale psichiatrico giudiziario, una casa di cura e custodia o in un istituto o sezione per infermi o minorati psichici, ovvero presso un ospedale civile. Il soggetto non può comunque permanere in osservazione per un periodo superiore ai trenta giorni".

I detenuti inviati in osservazione presso gli O.P.G., sono persone condannate o in attesa di processo, che hanno manifestato delle turbe psichiche.

L’osservazione si conclude, dopo un tempo massimo di trenta giorni, con una relazione medica che può negare o convalidare l’esistenza del disturbo. A seconda del provvedimento che ne segue, il soggetto rientra o meno in carcere. Questa categoria ha fornito negli anni uno dei maggiori contributi quantitativi alla popolazione manicomiale-giudiziaria. Per l’invio in osservazione psichiatrica dal carcere al manicomio è sufficiente che un medico del carcere rediga un certificato con la generica diagnosi di "agitazione psicomotoria" o "alienazione mentale", perché il trasferimento si attui immediatamente. Questo accade non solo quando il detenuto manifesta reali segni di patologia psichica, ma anche in caso di tensioni o insofferenze per situazioni intollerabili all’interno del carcere, ad esempio con uno dei tanti gesti di protesta: ledersi le vene dei polsi con oggetti taglienti, ingerire corpi estranei, barricarsi in cella ed altri.

In alcuni casi, invece, è lo stesso detenuto che provoca il suo temporaneo trasferimento da un carcere lontano ad un Ospedale Psichiatrico Giudiziario più vicino al luogo di residenza dei familiari, per poter essere visitato frequentemente. Si verifica inoltre che il detenuto, non tollerante del regime carcerario troppo duro, si fa mandare in Manicomio giudiziario, procurandosi delle lesioni, con la segreta speranza di essere trasferito, dopo l’osservazione, in un carcere migliore.

Il pericolo più grosso si ha riguardo al tentativo degli autori di gravi reati di farsi credere "pazzi". Il metodo usato a questo scopo è la simulazione di comportamenti abnormi.

Una ricerca effettuata proprio presso il nostro O.P.G. ha rilevato, attraverso un’elaborazione statistica del fenomeno delle osservazioni psichiatriche effettuate dal 1991 al 2000, dati sconcertanti che hanno aperto porte a numerosi dubbi e svariate ipotesi, ma soprattutto ha offerto interessanti spunti di riflessione, derivanti dalle affermazioni di una grande maggioranza di detenuti (inviati in osservazione), che dichiaravano, durante il primo e i successivi colloqui, di non comprendere il motivo del loro trasferimento, di sentirsi sani, di non voler simulare alcun tipo di "follia", di voler ritornare nel carcere di provenienza, e di essere stati inviati in osservazione a seguito di un banale litigio con un compagno di cella.

Il fenomeno, osservato negli anni, ma soprattutto nei mesi, si acutizza all’avvicinarsi dei periodi festivi natalizi ed estivi. L’ipotesi è dunque che, a causa del sovraffollamento delle carceri, ma soprattutto in relazione ad una minore presenza di personale penitenziario nei periodi festivi, si tenda a "disfarsi" per un po’ di quei soggetti "fastidiosi" per il buon equilibrio dell’istituto.

Naturalmente questa è solo una ipotesi, tutta da verificare, ma un’indagine statistica, indicante i motivi dell’invio in osservazione in O.P.G. e le relative diagnosi operate dagli psichiatri ad osservazione conclusa, parla da sola. Nella categoria "Missing" abbiamo per l’appunto raccolto il numero dei casi in cui mancava qualsiasi tipo di indicazione e motivazione di invio, o anche quando risultava impossibile risalirvi.

Con "Disturbi dell’alimentazione" e "Comportamenti autolesionistici" sono state etichettate categorie di motivazioni di tipo comportamentale. Alla prima appartiene quasi esclusivamente il fenomeno dello sciopero della fame e comunque del rifiuto del cibo o dell’acqua; alla seconda il fenomeno dell’autolesionismo realizzato per lo più con ferite da taglio.

I dati descritti con le categorie di "Disturbi di personalità", "Disturbi psicotici" e "Disturbi depressivi" strettamente più di tipo psichiatrico, raccolgono sia vere e proprie diagnosi di invio, sia fenomeni comportamentali descritti con frasi del tipo: "… il soggetto dichiara di sentire delle voci provenienti dagli oggetti …" oppure "… Il soggetto presenta turbe comportamentali di tipo antisociale …" e ancora "… incompatibilità marcata verso i compagni di cella …" ecc.

Infine, nella categoria "Altro", effettivamente generica ma necessaria, sono state raccolte motivazioni improprie, illogiche, non comprensibili e comunque non accorpabili alle precedenti.

Per quel che riguarda i dati raccolti ed elaborati circa gli esiti diagnostici e quindi giuridici, nel caso di effettivo riscontro di necessità di ricovero in O.P.G. e quindi di applicazione dell’art. 148 c.p., formulati dagli psichiatri di questo istituto, trascorsi i 30 giorni di osservazione psichiatrica in loco, sotto l’etichetta "Nulla di rilevante" sono stati accorpati casi in cui effettivamente non è stato riscontrato, neanche lontanamente, alcun disturbo mentale, tale da ritenere addirittura superfluo e paradossale l’invio del detenuto in osservazione.

Nelle categorie "Disturbi di personalità", "Disturbi psicotici compatibili" e "Disturbi depressivi compatibili", sono stati raccolti i dati riguardanti esiti diagnostici in cui è stata effettivamente individuata o riconosciuta una patologia mentale in atto, ritenuta altresì compatibile col sistema carcerario ed affrontabile in loco. A tal proposito ricordiamo che in tutte le case circondariali e i centri penitenziari è prevista la presenza di medici, medici psichiatri, psicologi, infermieri e di personale e strutture sanitarie, capaci di far fronte a lievi problemi di tipo psichiatrico.

In definitiva, solo in 61 su 667 casi ("Disturbi psicotici non compatibili" + "Disturbi depressivi non compatibili"), i soggetti osservati sono stati ritenuti gravemente compromessi e bisognosi quindi di trasferimento e cure in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Se mi sono soffermato a lungo su questa risposta, è stato proprio per tranquillizzare riguardo alla paura di finire in osservazione in O.P.G., e di restarvi. In realtà, solo una piccolissima percentuale di detenuti risulta effettivamente bisognosa di cure attuabili in una struttura psichiatrica "altamente specializzata" come gli O.P.G. L’équipe di psichiatri operante nell’O.P.G. di Aversa, benché a parcella, dedica molto tempo e molta attenzione alle "osservazioni psichiatriche" che devono essere effettuate con estrema cura, cercando soprattutto di evidenziare gli eventuali casi di simulazione o dissimulazione di malattia mentale. Ciò, comunque, ruba molto tempo al lavoro che bisognerebbe dedicare invece agli internati definitivi, al loro recupero e trattamento, alla loro terapia, individuale e di gruppo.

E qui rispondo alla seconda parte della domanda. Gli O.P.G., ed in particolare quello di Aversa, da tempo si sforzano di effettuare cure efficaci dal punto di vista della farmacoterapia, necessaria ad affrontare l’emergenza sintomatica dei disturbi mentali. Purtroppo questa non basta. Il farmaco da solo non può guarire disturbi gravi come la schizofrenia, malattia mentale maggiormente diffusa e presente. Gli antipsicotici sono rimedi sintomatici, che, in maniera egregia e sicuramente valida, attenuano tutti quei fenomeni allucinativi e deliranti presenti ed alimentati dalla malattia, ma solo raramente, da soli, portano alla guarigione totale del soggetto. Occorre, e in questo senso l’O.P.G. di Aversa sta attuando grossissimi sforzi, una maggiore sanitarizzazione che necessariamente significa una minore reclusione. Ma anche un maggiore e migliore trattamento terapeutico, che passi attraverso l’osservazione psicologica e della personalità di ogni singolo individuo, onde attuare trattamenti riabilitativi e psicoterapici (insieme alla famiglia di appartenenza, li dove possibile, secondo una visione sistemico-relazionale) personalizzati e protratti nel tempo, prima, durante e dopo l’applicazione della misura di sicurezza.

Il personale sanitario e parasanitario, nonché specialistico nell’ambito della riabilitazione psichiatrica e psicologica, oltre che sociale e familiare, è carente. L’attuale organico, soprattutto per quanto riguarda gli psicologi, o meglio i cosiddetti ex articolo 80, è insufficiente, e tutte le attività trattamentali e terapeutiche realizzate da alcuni anni in questo istituto sono rese possibili grazie all’apporto di un volontariato specialistico, fatto soprattutto di psicologi, musicoterapeuti, ecc. senza i quali la maggior parte delle attività sarebbe irrealizzabile.

In un’ottica di maggiore sanitarizzazione, la direzione dell’O.P.G. di Aversa ha ultimamente necessariamente dovuto attuare alcuni protocolli di intesa con le ASL territoriali (in realtà una forzatura di quello che già dovrebbe accadere normalmente), affinché queste si occupino e preoccupino dei propri internati di relativa appartenenza, durante ma soprattutto dopo l’attuazione della misura di sicurezza.

Per concludere, vorrei ancora una volta rassicurare, dicendo che la cronicizzazione e l’aggravamento dei disturbi mentali in O.P.G. è un fenomeno relativamente basso o comunque presente solo in quei soggetti sui quali sarebbero necessarie cure di altissima specializzazione, impossibili allo stato attuale, per carenza di investimenti, di organico, di personale, di luoghi, spazi e tempi necessari, e soprattutto per il mandato sociale attribuito e richiesto all’istituzione, che è quello di sicurezza sociale nei riguardi di un grosso numero di soggetti che invece pericolosi non sono e che potrebbero benissimo essere curati fuori, ma che tolgono risorse ed energie a chi veramente avrebbe bisogno di cure speciali.

 

Qualche mese fa uscì sui giornali una notizia, secondo la quale una persona era internata in O.P.G. da oltre 40 anni e nemmeno c’erano speranze di farla uscire. Oltre a questo caso clamoroso, che lei sappia, ce ne sono altri simili? Avete delle statistiche sulla durata degli internamenti, sulle "proroghe" dell’internamento (rispetto al tempo stabilito dai giudici), sul ritorno ad una vita "normale" delle persone dimesse?

La misura di sicurezza, proprio per la sua natura basata su un tempo minimo di applicazione e non su un fine pena certo ed improrogabile, viene definita "ergastolo bianco".

Affinché si realizzi la dimissione di un internato per revoca della misura di sicurezza, sono necessarie una serie di concomitanze: innanzitutto che sia scemata la pericolosità sociale dell’individuo; poi che esista un progetto di reinserimento sociale, in famiglia o in comunità; che le strutture sanitarie del territorio siano disponibili a seguire il soggetto farmacologicamente e terapeuticamente; che la società tutta, il luogo di appartenenza, il borgo, il paese del ricoverato, sia disponibile e non si opponga al rientro del folle-reo (ci sono stati anche casi in cui il sindaco del paese di residenza del ricoverato, a nome della cittadinanza tutta, ha chiesto ed ottenuto l’espulsione del folle, perché indesiderato), etc.

Risulta chiaro quanto sia difficile applicare la revoca della misura di sicurezza, e comunque mai prima del termine minimo (in 10 anni si è avuto un solo caso di revoca anticipata). Ciò comporta una serie, a volte infinita, di proroghe, chiamate in gergo dagli internati "stecche".

Di sei mesi in sei mesi, a volte di anno in anno, i magistrati di sorveglianza, lì dove manchi anche uno solo dei requisiti sopra elencati, o comunque lì dove non si prevedano ottimi risultati di reinserimento, ma soprattutto di scemata pericolosità del soggetto, si vedono costretti a prorogare la scadenza della MdS (Misura di Sicurezza) del ricoverato, che si vede effettivamente costretto a scontare gli interminabili anni accumulati (magari inizialmente applicati nel minimo di due per un banale reato di oltraggio). L’O.P.G. di Aversa non è esente da questo fenomeno, ed anche qui risiedono soggetti, fortunatamente pochi, internati da più di 15, 20 anni.

Grazie a una ricerca statistica effettuata recentemente, possiamo affermare che solo una minima percentuale di ricoverati superi anni di permanenza che vanno oltre i dieci, massimo dei minimi previsti. Alla stessa data, l’8,7% ha accumulato 1 anno oltre la misura di sicurezza minima applicata in principio; il 14,5% ha accumulato 2 anni oltre il minimo e così via, fino alla cifra massima di 23 anni di proroghe, accumulate oltre la misura di sicurezza minima applicata in principio all’1,4% dei ricoverati.

 

Sono passati più di vent’anni da quando la legge Basaglia dispose la chiusura dei manicomi, ma ancora oggi gli O.P.G. sono, a tutti gli effetti, dei manicomi, sopravvissuti allo smantellamento del sistema di strutture che erano adibite all’internamento dei malati di mente. Non ci sono davvero delle alternative, almeno per le persone che non rappresentano un grande pericolo per la società?

A questa domanda ho in parte risposto con la precedente. L’O.P.G. non a caso non è stato toccato dalla 180 o da altre leggi del contesto sanitario, ma nel contempo non è stato trasformato neanche da leggi che riguardavano l’ambito penitenziario, per restare, probabilmente, ciò per cui era stato creato, un luogo, un contenitore, in cui gettare individui di cui la società non sa che farsene. È vero, una percentuale, seppur minima, di soggetti reclusi in O.P.G. è effettivamente pericolosa, per se, per gli altri e per la società esterna, ma una grandissima percentuale di malati di mente attualmente presente in istituto, potrebbe benissimo essere seguita, curata e guarita fuori, sul territorio di appartenenza, nelle ASL, nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, nei Dipartimenti di Salute Mentale o a casa propria, con cure domiciliari. Ma anche il sistema sanitario arranca in questo senso, e perciò, io credo, l’O.P.G. rappresenta anche e soprattutto il fallimento di questo e della società che non riesce a risolvere il grave problema della malattia mentale.

Il problema va affrontato alla radice, incominciando ad attuare una prevenzione prima che il malato di mente si trasformi, suo malgrado, in reo. L’istituzione di servizi domiciliari nei territori maggiormente a rischio sarà attuabile ed efficace solo previo un reclutamento ed una specialistica formazione di operatori capaci e motivati, affinché la malattia e il disagio mentale possano essere studiati ed affrontati direttamente in loco. La malattia mentale, pur essendo una malattia come le altre, viene affrontata dal sofferente psichico, e dai suoi familiari, in maniera del tutto differente da quelle di tipo fisico. Per un mal di denti o un mal di testa si corre dallo specialista, si chiede aiuto, si auspica e si pretende una rapida e definitiva guarigione. La malattia della psiche, invece, è vergognosa, va tenuta nascosta, non divulgata e mascherata. Molti dei reati commessi dai soggetti oggi internati in O.P.G., soprattutto quelli in famiglia, potevano essere evitati o prevenuti solamente se non si fosse sottovalutata la schizofrenia manifestata nel delirio, nelle allucinazioni e nelle minacce, nascoste per vergogna.

 

 

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