Comunità La Meridiana

 

L’esperienza della Meridiana, una comunità dove si prova

a sconfiggere il disagio psichico e l’emarginazione

 

(Realizzata nel mese di luglio 2001)

 

A cura di Francesco Morelli

 

La malattia mentale non è certamente scomparsa con la chiusura dei manicomi, decretata dalla Legge Basaglia. Oggi le persone che soffrono di questi problemi, se non sono adeguatamente assistite, finiscono quasi inevitabilmente per mettersi nei guai con la legge.

Commettono reati nell’ambito famigliare, spesso, ma anche fuori della famiglia: poi, chi è riconosciuto seminfermo di mente va in carcere, come un normale criminale, chi ha la totale infermità mentale viene "ricoverato" negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (O.P.G.), dove attualmente sono rinchiuse oltre 2.000 persone.

Nei normali circuiti penitenziari i detenuti con problemi psichiatrici sono sempre più numerosi e, a volte, la loro malattia non è nemmeno diagnosticata, perché nascosta da altri disturbi psichici, di varia gravità, dovuti all’abuso di alcool o di droghe. Le condanne di queste persone, infatti, sono spesso relative a reati connessi all’alcolismo o alla tossicodipendenza.

Di loro si dice sempre: "non dovrebbero stare qui, ma in un posto dove possano curarli"; subito, però, arriva l’amara constatazione che in realtà questo "posto" non esiste. Gli O.P.G., a torto o a ragione, incutono terrore solo a nominarli; l’affidamento in una struttura psichiatrica non detentiva è un’ipotesi molto remota… ammesso di trovare disponibilità all’accoglienza.

Quando la pena termina ci si accorge che i loro problemi mentali sono sempre gli stessi anzi, spesso, si sono aggravati durante la detenzione.

A questo punto, che prospettiva li attende? E cos’è possibile fare a livello di prevenzione, per evitare che dal disagio psichico scaturiscano tragedie famigliari e sociali?

Le proposte devono essere diversificate, naturalmente: attraverso l’intervista ad un operatore della Comunità Terapeutica Residenziale Protetta (C.T.R.P.) "La Meridiana" presentiamo una delle possibili soluzioni. Il nostro interlocutore, che fa anche volontariato in carcere, si chiama Michele.

 

Qual è il tuo lavoro alla Meridiana?

Faccio l’infermiere professionale e, alla Meridiana, sono arrivato circa due anni fa, attraverso un concorso pubblico. In precedenza lavoravo in una struttura privata, Casa S. Chiara, che accoglie malati di AIDS in fase terminale.

 

Puoi spiegare che differenza c’è tra una Comunità come "La Meridiana" ed i vecchi ospedali psichiatrici, il cui ricordo evoca immagini spesso terribili?

Prima di tutto, alla C.T.R.P. le porte sono aperte e, se un utente vuole andarsene, è libero di farlo in qualsiasi momento. Abbiamo in cura 20 persone: 12 risiedono nella Comunità e le altre 8 vi entrano alle nove del mattino, per rimanerci fino alle 16, cinque giorni la settimana.

Noi operatori, in totale, siamo 20, quindi in rapporto di 1 a 1 con le persone in cura: nove infermieri professionali, presenti 24 ore al giorno; quattro educatori professionali e tre addetti all’assistenza, presenti durante le attività diurne e nei momenti di vita comunitaria (pasti, tempo libero, uscite, etc.); quattro insegnanti, presenti il mattino e il pomeriggio. L’avere personale specializzato ed in numero sufficiente significa, alla fine, poter dare un servizio migliore.

 

Dal punto di vista amministrativo, com’è organizzata la Comunità?

La Meridiana funziona grazie alla collaborazione tra l’A.S.L., il C.T.P. Valeri (Centro Territoriale Permanente per l’educazione e la formazione in età adulta) ed il privato sociale (cooperativa Il Portico). In provincia di Padova ci sono altre due Comunità simili, a Granze e Abano Terme.

Dall’A.S.L. dipende il personale sanitario, dal C.T.P. gli insegnanti e dalla cooperativa Il Portico gli educatori e gli addetti all’assistenza.

 

Chi paga il personale e le spese di gestione?

Siamo una struttura del Servizio Psichiatrico pubblico, quindi tutti i costi sono a carico dell’A.S.L. Agli utenti non viene richiesto nessun contributo, né ai "giornalieri", né ai residenti.

 

Quali sono le persone che prendete in carico e come arrivano da voi? Avete avuto degli utenti detenuti o ex detenuti?

La nostra attività è rivolta a tutti i residenti nel territorio di competenza dell’A.S.L. 16 di Padova. Le persone sono segnalate dagli ambulatori del Centro di Salute Mentale e prese in carico dal Servizio Psichiatrico, ma non arrivano subito in Comunità. Se il caso è gestibile dalla famiglia, o in strutture semiresidenziali, si tentano prima queste strade. Da noi arrivano persone che richiedono un trattamento prolungato, di norma due anni, al termine dei quali l’accoglienza finisce, salvo proroghe in via del tutto eccezionale. Il nostro scopo è riabilitare le persone, favorire il reinserimento nella società, non creare in loro una dipendenza dalla struttura. Abbiamo avuto in cura anche un ex detenuto, che proveniva dall’O.P.G. di Castiglione delle Stiviere, a Mantova, ed aveva anche una situazione famigliare molto problematica.

 

Di quali malattie soffrono, più frequentemente, le persone ospitate nella vostra Comunità? A quale metodo di cura vi affidate?

La schizofrenia è, in assoluto, la malattia più frequente. Si tratta di uno stato di dissociazione mentale: una persona crede di essere "qualcuno" di diverso, o di trovarsi in un’altra situazione, rispetto a quella reale.

Le cure consistono, soprattutto, in un intenso programma di attività, da svolgersi in gruppo. C’è il laboratorio linguistico, che consiste in momenti di scrittura e discussione su temi biografici e nella redazione del giornale "Attivivi" (la redazione si incontra, una volta la settimana, nella sede del C.T.P. Valeri, fuori dalla Comunità). Abbiamo poi un laboratorio di informatica, attività espressive (teatro, musica, disegno, etc.), attività motorie (ginnastica e nuoto), l’orticoltura biologica, il laboratorio di cucina e altro ancora. Infine programmiamo uscite con visite a musei, librerie, esposizioni, gite e soggiorni in varie parti d’Italia (nell’estate 2000 siamo stati in vacanza a S. Felice Circeo). Oltre alle attività di socializzazione e sviluppo delle risorse personali, una volta la settimana il direttore della Comunità riunisce tutti gli utenti e li invita ad esprimere pubblicamente problemi e osservazioni. Poi, incontri di questo tipo avvengono anche tra gli operatori, con i genitori e i fratelli delle persone in cura. Questo serve ad avere più punti di vista, più opinioni, riguardo ai problemi di una persona: è la cosiddetta psichiatria sistemica.

 

Da quali situazioni di vita provengono, di solito, i vostri utenti? Che età hanno, mediamente?

In maggioranza sono giovani, al di sotto dei 30 anni, e vengono da famiglie che si possono definire "normali", magari con la tendenza ad essere iperprotettive. I problemi di queste persone iniziano, di solito, nel periodo che va dai 16 ai 18 anni, quando devono staccarsi dalla famiglia e compiere le prime scelte autonome nella vita. A volte, quando questo distacco non riesce, insorgono i fenomeni di dissociazione dei quali parlavo prima.

Invece è rara la presenza di persone che hanno alle spalle storie di droga: da quando lavoro alla Meridiana ho visto solo un ragazzo tossicodipendente e aveva problemi mentali causati dall’uso dell’ecstasy.

 

I posti disponibili, nelle tre C.T.R.P. della provincia di Padova, sono sufficienti a garantire l’assistenza per tutti i malati che richiederebbero questo tipo di trattamento?

Ci sono delle liste d’attesa per l’ingresso in Comunità e viene data la precedenza ai casi più gravi, naturalmente, ma anche alle famiglie che non sono in grado di prendersi cura dei ragazzi malati (quasi sempre sono i genitori a chiedere il ricovero del figlio).

È evidente che la presa in carico dell’utente ed il trattamento, per due anni, nelle condizioni garantite dalla Comunità, ha un costo notevole. Tuttavia i risultati ottenuti in questi anni dalle C.T.R.P. sono molto apprezzati dall’A.S.L. e, se i posti disponibili sono ancora insufficienti per il fabbisogno del territorio, si può sperare che vengano attivate altre strutture simili.

 

Qual è la percentuale delle persone che escono dalla C.T.R.P. effettivamente guarite?

Una metà, circa, riprendono una normale vita di relazione al termine del periodo di trattamento. Qualcuno ha delle ricadute, più o meno gravi, e deve essere seguito dal Centro di Salute Mentale anche dopo che se n’è andato, ma senza che sia necessario ricoverarlo. La percentuale dei "recidivi", cioè di coloro che hanno bisogno di un nuovo ciclo di trattamento, va dal 20 al 30%.

 

Un’ultima domanda. Perché la Comunità si chiama "La Meridiana"?

La meridiana è un orologio solare. L’idea è quella della rigenerazione: il sole si rigenera ogni giorno ed anche gli ospiti della Comunità, attraverso le attività quotidiane, si rigenerano, fino a tornare ad essere le persone di un tempo.

 

C.T.R.P. La Meridiana

Via del Bigolo, 72 - Padova

Tel. 049.8647760

 

 

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