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Intervista a Donatella Zoia medico penitenziario a San Vittore
(Realizzata nel mese di luglio 2003)
A cura di Marino Occhipinti
"Quando mancano i soldi i servizi che dovrebbero garantire i più deboli sono i più penalizzati"
Donatella Zoia, medico a San Vittore, racconta le difficoltà di chi è impegnato sul "fronte" della salute dei detenuti
Donatella Zoia è medico a San Vittore, e appartiene alla categoria di chi crede che i detenuti sono pazienti che hanno bisogno di una attenzione doppia, e non certo a quella di chi pensa invece che i detenuti sono tutti simulatori, e non vanno curati ma "smascherati". Lei si presenta così: "Lavoro a San Vittore dal 1985, ho iniziato appena laureata, e non ho mai voluto smettere: la seconda specialità che ho preso (tossicologia medica), è stata scelta proprio perché (purtroppo) riguarda molti dei problemi medici che ti trovi ad affrontare in carcere. Attualmente lavoro come medico incaricato, e questo significa che lavoro con funzioni analoghe a quelle che ha il medico di base all’esterno del carcere, occupandomi dei detenuti di uno dei reparti (= raggi) di San Vittore. Naturalmente è un lavoro che mi piace, sia dal punto di vista professionale che umano: in carcere capisci che le cose non sono mai bianche o nere, che non ci sono "buoni" e "cattivi", che i comportamenti di tutti gli uomini (intesi come genere umano) sono condizionati dall’ambiente in cui si trovano a vivere.... questo e molte altre cose, capisci. E proprio per questo e per il "luogo" in sé, è un lavoro molto faticoso".
Dottoressa Zoia, com’è la situazione relativa alla sanità nel carcere di San Vittore? Credo che il problema della salute in carcere sia un problema complesso. Non si tratta solo di garantire dei servizi, ma ritengo che anche in carcere ciascun paziente dovrebbe essere "preso in carico" dal punto di vista sanitario, essere tutelato, informato, avere la documentazione clinica che lo riguarda. Credo però che siamo molto lontani da tutto questo, perché l’impostazione del problema "salute" in carcere è diversa che all’esterno, per il semplice motivo che il carcere è un’istituzione totale e, come tale, prima di tutto tutela se stessa.
Quanto incidono, sul buon funzionamento dei servizi sanitari, i recenti tagli ai finanziamenti? Credo che questo sia molto variabile da carcere a carcere. Ci sono carceri in cui, per tipologia dell’istituto o per l’elevato numero di presenze, il problema non è stato ancora molto sentito. Altre carceri, magari più piccole, ne hanno risentito di più.
Riuscite a garantire almeno le visite specialistiche più urgenti? Sì, devo dire che a San Vittore, grazie anche a politiche di tutela dei pazienti e di interazione con le strutture esterne impostate da molti anni dalla Direzione, sono state garantite le visite urgenti. Inizialmente, non appena saputo dei tagli alla sanità, c’è stato qualche problema organizzativo, ma le urgenze sono sempre state garantite o dagli specialisti convenzionati o perché i pazienti sono stati inviati all’esterno, presso gli ospedali.
Garantire la stessa accessibilità ai farmaci che hanno le persone non detenute
Come riuscite a far fronte alle spese, sicuramente ingenti, dei medicinali necessari alle cure oncologiche e anti-HIV? Non so come la Direzione e la Direzione Sanitaria siano riuscite a far fronte al problema. Quello che io ho avvertito, rispetto ai farmaci, è stata non tanto la carenza di antiretrovirali o di farmaci molto costosi, ma, più in generale, la mancanza di continuità, dovuta alla irregolarità dei rifornimenti (a sua volta conseguenza di ritardi nei pagamenti ecc…). Questo, spesso, crea problemi molto seri: cosa fai se manca un farmaco? Lo sostituisci con uno analogo ma non sempre ben tollerato? Aspetti che arrivi, ma nel frattempo? Credo che, sul problema farmaci, sarebbe necessario trovare una modalità, in interazione con il Servizio Sanitario Nazionale, che garantisca la stessa accessibilità ai farmaci che hanno le persone non detenute, ma garantendo chi è più debole e privo di risorse. Voglio dire, ad esempio, che è ovvio che i detenuti non possono pagare il ticket!
Le persone detenute non capiscono cosa sta succedendo, non sono informate
La mancanza di cure adeguate e di medicinali ha ripercussioni anche sulla tranquillità dell’Istituto di Pena? Si creano più tensioni tra detenuti ma anche tra detenuti ed il personale della Polizia Penitenziaria e altri Operatori? Quello che io ho avvertito non è stata la mancanza di tranquillità (anche se a San Vittore "tranquillità" è una parola che non si trova sul vocabolario) ma il fatto che le persone detenute non capiscono cosa sta succedendo, non sono informate, hanno paura che la loro salute ne risenta (giustamente!) e chiedono spiegazioni a medici e infermieri (come sempre gli anelli più bassi della catena), che, a loro volta, sanno poco e, spesso, non hanno gli strumenti per risolvere le situazioni. Ecco, questo altera il rapporto di fiducia e collaborazione tra i detenuti e il personale dell’area sanitaria che è a diretto contatto con loro.
Già dal 1° gennaio 2001 le ASL devono occuparsi dei detenuti tossicodipendenti: è realmente cambiato qualcosa, ci sono stati miglioramenti? Io, personalmente, ho avvertito solo pochi cambiamenti. È vero, in molte carceri i Ser.T. ora entrano, ma la terapia metadonica continua a essere data poco e quasi solo a scalare, esattamente come prima… Quando mancano i soldi (come adesso), i servizi che dovrebbero garantire i più deboli (e che quindi non hanno nessun rientro economico) sono i più penalizzati (pochi finanziamenti, poco personale, poche risorse strumentali) e il risultato è che la qualità del servizio che offri è ridicola. Non tuteli nessuno. Inoltre, in Italia, la situazione è, come sempre, a "macchia di leopardo": ci sono cioè differenze molto grosse da carcere a carcere e da regione a regione.
Il Ministero della Giustizia cosa passerà al Ministero della Salute? E il Ministero della Salute con cosa pagherà la Sanità Penitenziaria?
Per quanto riguarda invece i detenuti non tossicodipendenti, il passaggio alle ASL "doveva" avvenire al termine della sperimentazione, avviata da alcune Regioni, che "dovrebbe" essere terminata il 30 giugno 2002. Cos’è successo in Lombardia? Per ora non è successo nulla. Anche in questo caso, il mio timore è che, visto che il carcere è un "costo" per il Servizio Sanitario (come per il Ministero) si faccia il gioco di pensare che i servizi possano essere garantiti a costo zero. Faccio un esempio: la legge dice che le risorse finanziarie per la sanità penitenziaria dovrebbero passare dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute. Ma, come ben sappiamo, le risorse finanziarie del Ministero della Giustizia non ci sono, o sono poche, o sono già state tagliate. E allora, cosa passerà al Ministero della Salute? E il Ministero della Salute con cosa pagherà la Sanità Penitenziaria?
Evitare che il carcere diventi, sempre di più, il cestino dell’immondizia di queste nostre città
Intervenite in qualche modo per controllare il disagio che porta ai gesti di autolesionismo? Questo è un argomento che mi coinvolge molto, perché lavoro nel reparto dove vengono messi in osservazione pazienti che hanno agito atti di autolesionismo o sono a rischio di attuarli. Ci stiamo muovendo in due direzioni: da una parte, devo dire grazie alla Direzione, cercando di tenere le celle il più aperte possibili, organizzando gruppi e attività con i detenuti. È un lavoro grosso, che richiede molta responsabilizzazione del personale di custodia e la collaborazione di risorse esterne (scuola, volontari) e interne, perché, comunque, si tratta di persone che sono effettivamente a rischio di farsi del male. Dall’altra vorremmo cercare di attivare un’equipe di operatori interni che si occupa di questi pazienti, garantendo continuità trattamentali e interagendo con i servizi esterni, in modo che le persone, quando escono, non si trovino da sole a ricominciare da capo. Siamo solo agli inizi, ed è un lavoro faticoso, che richiede tempo ed energie. Anche perché, spesso, all’esterno del carcere le risorse sono ancora meno che all’interno e i servizi territoriali hanno difficoltà a prendersi carico di queste persone al momento dell’uscita. Ma, personalmente credo che sia l’unica strada per affrontare il problema, per evitare che il carcere diventi, sempre di più, il cestino dell’immondizia di queste nostre città.
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