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Progetto Odòs, che in greco significa "viaggio", inteso come percorso di cambiamento
(Realizzata nel mese di giugno 2003)
A cura di Francesco Morelli
Un progetto per il reinserimento lavorativo e sociale dei cittadini-detenuti di Bolzano
Gli operatori del Progetto Odós li ho incontrati per la prima volta alla giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca", organizzata qui nella Casa di Reclusione di Padova. A grandi linee mi descrissero l’attività che svolgono a Bolzano, che mi sembrò interessante, quindi ci lasciammo con la promessa di riprendere il discorso alla prima occasione. Dopo un paio di settimane esco in permesso e così possiamo rivederci fuori. Il responsabile del Progetto, Michele Cangemi, non c’è, ma in compenso conosco due "volti nuovi" dell’Odós: Barbara, da poco laureata in legge (all’interno del Progetto cura un servizio di consulenza legale), e Jerry, un utente, ora in sospensione pena e in attesa dell’affidamento ai Servizi Sociali (ma è in attesa anche di qualche vecchia condanna "definitiva", che potrebbe complicare la sua situazione). Poi, naturalmente, c’è Caterina, che si occupa dei progetti educativi individuali in rete con i servizi territoriali.
La prima curiosità riguarda il nome del vostro progetto: "Odós". Cosa significa? Perché lo avete scelto? Caterina: Odòs è un nome greco e significa "viaggio", inteso come cammino, come percorso di cambiamento. Abbiamo scelto di chiamarci così perché il nostro Progetto vuole essere una sorta di trampolino di lancio per restituire l’ex detenuto alla società come cittadino dotato delle risorse necessarie al normale reinserimento, lavorativo e sociale.
Ma che cosa siete, formalmente: una Casa di accoglienza, una Associazione, qualcosa d’altro? Caterina: Non siamo un’Associazione di volontariato (anche se aderiamo alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia), e l’accoglienza nella nostra struttura è solo uno dei servizi che forniamo, quindi non siamo nemmeno una Casa di accoglienza: noi siamo un’equipe di operatori del Progetto Carcere della Caritas diocesana, progetto finanziato - in piccola parte - con l’8 per mille che i contribuenti destinano alla Chiesa cattolica e, per la maggior parte, con i fondi della Provincia autonoma di Bolzano - Ripartizione Servizio sociale, Ufficio famiglia, donna e gioventù.
Com’è iniziata questa vostra esperienza? Caterina: Il gruppo di lavoro, del quale faceva parte Michele, fin dal 1996 ha cominciato ad elaborare il progetto "Casa dell’ex detenuto", poi diventato "Progetto Odòs". Sempre nel 1996 questo gruppo di lavoro realizzò una ricerca sui bisogni della popolazione detenuta della Casa Circondariale di Bolzano, dalla quale emerse la necessità di un accompagnamento verso l’esterno, di aiuto nel trovare lavoro ma, prima di tutto, di una sistemazione abitativa, perché a Bolzano gli alloggi hanno prezzi proibitivi e spesso chi esce dal carcere ha una famiglia disgregata, non sa a chi rivolgersi per avere un tetto. Così all’inizio del 1999 siamo andati dal responsabile della Caritas di Bolzano e abbiamo ottenuto che ci pagasse l’affitto di un appartamento in città, dove abbiamo aperto la "Casa dell’ex detenuto", con quattro posti letto.
E la Provincia di Bolzano, come entra nei vostri progetti? Caterina: Dopo che abbiamo iniziato ad alloggiare gli ex detenuti si sono presentati altri problemi, dalle richieste di accogliere persone in misura alternativa, alla necessità per tutti gli utenti di rendersi autonomi il prima possibile, quindi di avere un lavoro, un reddito regolare che poi consente anche di cercare un alloggio per conto proprio. Alla Provincia siamo andati assieme alla Caritas e lì abbiamo fatto un chiaro discorso sulla sicurezza sociale: se ci aiutavano a portare avanti il nostro progetto ci sarebbero stati meno disperati in giro per la città, quindi un minor rischio di avere furti nelle case, scippi, e così via. Si vede che siamo stati convincenti, perché questo è il quarto anno che la Provincia sostiene il progetto Odós ed ora abbiamo anche prospettive di crescita, infatti ci stanno ristrutturando uno stabile, dove avremo 15 posti letto.
In concreto, la Provincia di Bolzano cosa vi paga? Caterina: Paga gli stipendi di 7 operatori (5 educatori e 2 operatori notturni), parte delle spese di gestione della struttura, l’attività ludico - ricreativa e, cosa molto importante, delle borse lavoro per agevolare l’inserimento degli ex detenuti nelle aziende della città (grazie alla Legislazione Sociale provinciale).
Quindi nel Progetto Odós non ci sono volontari? Caterina: C’è qualche volontario, che sporadicamente ci aiuta a organizzare delle attività.
Come funziona l’attribuzione di queste borse lavoro? E chi si occupa di mettere in contatto i detenuti con le aziende? Barbara: Questo è un altro dei nostri servizi. Contattiamo gli imprenditori, soprattutto aziende profit, non le cooperative sociali, e proponiamo loro un incontro, con noi e con la persona che cerca lavoro. Diciamo subito che potranno "provare" questa persona per un po’ di mesi senza dover sostenere alcuna spesa e poi decideranno se assumerla, oppure no. Le borse - lavoro sono di 500 ore, ore che possono essere diluite anche nell’arco di sei mesi ma, addirittura, per gli utenti con difficoltà di inserimento più serie, possiamo arrivare a 1.500 ore, quindi ad un anno e mezzo di formazione professionale totalmente a carico dell’ente provinciale.
Aldilà dell’aspetto puramente economico, gli imprenditori si fidano a far entrare in azienda un detenuto, o un ex detenuto? Caterina: Si fidano nel momento in cui noi facciamo da intermediari, presentiamo la persona, ci teniamo a disposizione nel caso nascano problemi. In questo modo siamo riusciti a sistemare diversi detenuti e, in genere, chi li ha assunti è contento di loro.
Quante persone avete "sistemato", fino ad oggi? Barbara: Solo nel 2002 abbiamo avuto 10 utenti residenziali (in detenzione domiciliare, o ex detenuti) e 13 semiresidenziali (semiliberi, in affidamento). Inoltre ci occupiamo di 6 persone in misura alternativa, organizzando la loro prestazione di lavoro di pubblica utilità sociale, presso la mensa della Caritas di Bolzano. Infine abbiamo avuto contatti con 23 persone, detenute o anche libere, che ci hanno chiesto di poter usufruire dei servizi del Progetto Odós.
Ma questi "servizi" sono accessibili a tutti i detenuti? Caterina: Il vincolo che abbiamo è che i nostri utenti devono essere residenti nella Provincia di Bolzano. Non importa se sono detenuti in altre carceri, andiamo a trovarli dovunque siano, per un primo colloquio. Poi non è detto che accettiamo tutti, perché chiediamo loro la seria disponibilità a fare un percorso con noi.
Ci sono mai stati dei detenuti stranieri, tra i vostri utenti? Caterina: Finora non ce ne sono stati, appunto per il limite rappresentato dalla residenza. L’unica possibilità che vedo, al riguardo, è che qualche straniero si sposi con una donna di Bolzano. In quel caso potremmo accoglierlo.
Chi entra nella vostra struttura, deve sottoporsi a un qualche "programma di trattamento"? Caterina: All’inizio c’è un periodo di osservazione, che di solito dura 15 giorni, e che serve per capire i bisogni e la motivazione della persona. Poi, se vediamo che questa persona è realmente motivata, facciamo, con lei e con i servizi territoriali un progetto individualizzato per il suo reinserimento.
Potrebbe anche darsi che questa persona non sia subito "motivatissima"… avrete avuto degli abbandoni, dei fallimenti nel progetto individualizzato che avevate predisposto… Caterina: Certo, c’è chi non accetta le regole della struttura, chi non è motivato ad alcun percorso di cambiamento. Il fallimento avviene comunque sempre per il "non essere pronto" della persona alla condivisione del progetto, negli aspetti piacevoli e in quelli spiacevoli. Spesso dobbiamo confrontarci con persone che ci vedono in un’ottica, sbagliata, di puro assistenzialismo.
Quali altre difficoltà particolari ci sono, nella gestione della vostra struttura? Caterina: Una delle difficoltà più evidenti è il coordinamento del lavoro in rete con i diversi Servizi territoriali (per il diverso approccio ai problemi delle persone, per linguaggi e mission differenti, etc.)
Alla fine, vorrei che Jerry ci raccontasse un po’ la sua storia, di come è arrivato agli operatori del Progetto Odós… Jerry: Ho 30 anni e finora, tra vari arresti, sempre per problemi legati alla droga, ho fatto circa un anno di carcere. Sono stato anche in una comunità terapeutica, dove si faceva tanta elaborazione personale, però mancava del tutto in confronto con il mondo esterno. Così non ti puoi preparare davvero al reinserimento. All’Odós sono già entrato, una volta, poi me ne sono andato, perché non mi sembrava adatto a me, oppure ero io che non ero pronto… Adesso voglio riprovare, anche perché ho visto che altrove faccio fatica a trovare un vero sostegno. Anche la mia famiglia ha preso le distanze... comunque per ora sto facendo il periodo di "osservazione", se va tutto bene vorrei chiedere l’affidamento nella struttura dell’Odós, la preferisco senz’altro alla comunità.
Progetto Odós Avvio: marzo 1999 Responsabile progetto: prof. Michele Gangemi Sede: Via Druso 76/a, Bolzano - (in preparazione) Viale Venezia 61, Bolzano Orario: 24 ore su 24 Tel: 0471.203758 Fax: 0471.201093
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