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A Firenze il Comune è in prima linea nel creare una rete di sostegno per i detenuti
(Realizzata nel mese di maggio 2003)
A cura di Marino Occhipinti
Intervista a Marzia Monciatti, Assessore al Comune di Firenze con deleghe al lavoro, immigrazione, area carcere
Il nodo del reinserimento passa indubbiamente per un ruolo forte degli enti locali, e una capacità di lavorare insieme coordinando gli interventi. Sembra una ricetta facile, ma la realtà ci dice che quello che manca quasi ovunque è una progettazione a largo raggio, che coinvolga tutti, rompa la logica dell’ "ognuno per sé" e moltiplichi, invece di disperdere, le forze impegnate su questo fronte. A Firenze stanno tentando di fare dei consistenti passi avanti nella creazione di una rete di sostegno. Ne abbiamo parlato con l’Assessore Marzia Monciatti.
Assessore, andiamo subito al concreto: cosa fate, come Comune, per il carcere e per la popolazione detenuta? A Firenze abbiamo Sollicciano, che è uno degli Istituti penitenziari più complicati d’Italia. Allora, concretamente noi lavoriamo anche per migliorare l’accoglienza dei detenuti, ex detenuti o semiliberi, insomma tutti coloro che hanno bisogno di punti di riferimento, sia punti di riferimento veri e propri sia punti dove poter anche mangiare, dormire, essere orientati e assistiti.
Insomma una rete di sostegno che aiuti a superare difficoltà non affrontabili diversamente. Esatto, e questa rete l’abbiamo anche implementata proprio negli ultimi tempi perché speriamo di averne sempre più bisogno, nel senso che a volte, come sapete benissimo, alcuni posti restano vuoti non perché manca la volontà da parte dell’ente locale, ma perché ci sono ritardi nelle pratiche burocratiche che servono negli Istituti di reclusione per poter accedere ad una misura alternativa al carcere, come ad esempio succede per la semilibertà.
E per quanto riguarda il lavoro in carcere e durante la fruizione delle misure alternative alla detenzione, cosa può dirci? Per quanto riguarda il lavoro, anche qui noi sosteniamo diversi progetti della rete, dell’associazionismo, del volontariato. Sosteniamo nel senso che non ci limitiamo però a dare dei contributi a pioggia, ma partecipiamo proprio attivamente assieme a loro anche nella costruzione e nello sviluppo dei progetti stessi. Faccio riferimento ad un progetto perché ci tengo in maniera particolare, avendolo vissuto tutto intero fin dall’inizio: noi con il carcere di Sollicciano, circa tre anni fa, abbiamo avviato un’officina dentro la struttura penitenziaria per la riparazione e la messa a nuovo delle biciclette abbandonate e quindi dei rottami e delle carcasse delle biciclette che altrimenti andrebbero nelle varie discariche. Quest’officina ha funzionato, c’è stata la formazione delle persone e si sono creati dei posti di lavoro. Ho parlato direttamente con i detenuti che ci lavorano ed ho trovato un gran entusiasmo, un indice di gradimento molto alto, ed oggi quel progetto si è sviluppato ulteriormente, perché la cooperativa sociale che aveva fatto formazione nell’officina e monitorava il progetto assieme a noi, adesso gestisce anche tutti i punti di affitto di biciclette nel Comune di Firenze.
Ci spiega meglio quanti sono i punti e come funzionano? Sono cinque, sparsi in città, e si tratta del noleggio di biciclette che vengono utilizzate, soprattutto dai turisti ma non solo, per spostarsi da una zona all’altra, e come Amministrazione ci teniamo moltissimo, anche perché Firenze è sì una città d’arte, ma allo stesso tempo è purtroppo molto inquinata, quindi questa iniziativa, gestita dai detenuti, ha anche un valore di sostenibilità della città nel suo insieme. Questo progetto si è sviluppato proprio nel corso di questo periodo e lo ritengo piuttosto significativo e importante anche per i valori che il progetto ha proprio in sé, dopodiché ci sono tanti altri progetti che adesso non sto ad elencare, anche se mi sembra opportuno citare un protocollo, al quale sta lavorando il dottor Marco Verna, che l’ha proprio creato in tutte le sue fasi, che consiste in un’intesa tra Comune e Provincia di Firenze insieme ad altre pubbliche amministrazioni, ma desidero che ve lo spieghi direttamente lui perché è una delle sue creature.
Solamente qualche altra informazione: con quali modalità vengono assunti i detenuti che lavorano nei punti di noleggio delle biciclette? Allora, sono detenuti ammessi alle misure alternative, ed in questa fattispecie si tratta quasi esclusivamente di persone in affidamento in prova ai Servizi sociali, e questo avviene per una questione tecnica: in caso di necessità, come ad esempio le sostituzioni di lavoratori che per qualche motivo sono assenti, i sostituti possono muoversi liberamente da un punto all’altro senza alcun problema, come invece succederebbe se fossero semiliberi. Tutta l’attività ed il lavoro avvengono in piena sinergia con gli altri partner, perché si tratta di coinvolgere appunto la Magistratura di Sorveglianza che deve concedere la misura alternativa, la struttura penitenziaria dalla quale provengono le persone, i Servizi Sociali che devono curare la parte tecnica, per finire con la cooperativa che gestisce il servizio, che naturalmente provvede alla regolare assunzione dei soggetti. Devo dire una cosa importante sulla nostra strutturazione, e cioè che ritengo azzeccata la decisione di scorporare l’area carcere dalla Sicurezza sociale, alla quale fa sempre riferimento come direzione ed uffici, ma abbiamo creato uno specifico ufficio, appunto rappresentato e curato dal dottor Verna, che si occupa esclusivamente dell’area carcere. Questo lo considero un valore aggiunto, perché altrimenti si rischia di vedere sempre questa cosa inserita nella Sicurezza sociale, e quindi in contrapposizione, mentre invece adesso fa parte dell’assessorato Lavoro, immigrazione, area carcere.
Avete difficoltà a mettere insieme i soggetti che si occupano di carcere, come le associazioni di volontariato, le cooperative, gli enti locali ed istituzionali, l’Amministrazione Penitenziaria e tutti gli altri, così da coordinare al meglio le attività e non disperdere le forze? Abbiamo le difficoltà che derivano, come dire, dall’organizzazione, però non mi sentirei di dire che non c’è armonia, ecco, anzi posso affermare che a Firenze i rapporti con le Istituzioni - anche la Regione, ad esempio, perché noi parliamo e ci confrontiamo spessissimo con la Regione Toscana e con l’assessore e la direzione competente - sono buoni.
Una domanda che non è di competenza del suo assessorato ma sempre di problematiche carcerarie si tratta: il Decreto Legislativo 230 del 1999 ha stabilito il passaggio delle competenze sull’assistenza sanitaria in carcere dall’Amministrazione Penitenziaria alle ASL: le nuove norme sono state applicate, e in quale misura, nella Regione Toscana? Allora, sulla sanità penitenziaria abbiamo svolto anche una riflessione-convegno poco tempo fa insieme agli assessori alla Sanità, sia regionale che del Comune di Firenze, Rossi e Passaleva. C’ero anch’io assieme all’assessore Cioni, ed in quell’occasione l’assessore regionale alla Sanità Rossi, che sta già lavorando in questo senso, annunciò una presa in carico da parte della Regione Toscana della questione sanitaria anche per quanto concerne le carceri, che vivono un momento difficile sotto questo punto di vista. È giusto anche perché, come lei sa benissimo, ci sono stati dei tagli ulteriori per cui la sanità nelle carceri rischia di non esistere più o di essere esclusivamente di emergenza e non anche di cura e di prevenzione. Quindi anche come Comune di Firenze stiamo lavorando con l’assessore Rossi per questo reale decentramento, che in questo caso è ben voluto e ben augurale.
La parola a Marco Verna, responsabile dell’Ufficio interventi sul carcere del Comune di Firenze
Dottor Verna, di che cosa si occupa per il Comune di Firenze? Sono il responsabile dell’Ufficio interventi sul carcere, e dal punto di vista del Comune ci occupiamo di tutti gli interventi a favore dei carcerati e delle persone in misura alternativa, quindi l’accoglienza delle persone che vanno in affidamento, gli interventi dentro il carcere, culturali, sportivi, artistici, gli interventi di tipo lavorativo, di avvio al lavoro, quindi contributi alle cooperative sociali che lavorano in carcere, come ad esempio l’attività di riparazione di biciclette della quale le ha accennato l’assessore Monciatti. Poi mi sto occupando di creare questo tavolo cittadino con gli enti locali e le carceri, per cercare di aggregare almeno gli enti locali su alcuni temi, in modo che lavorino insieme.
Per l’accoglienza dei detenuti quali possibilità offrite? Avete dei punti di appoggio come le Case di accoglienza, come siete strutturati? A Firenze ci sono tre punti di accoglienza specificatamente destinati ai detenuti, gestiti da enti religiosi o da associazioni con la convenzione del Comune di Firenze, anzi ci sono tre strutture per gli uomini ed una per le donne, quindi quattro in totale, e le dinamiche dell’accoglienza sono quelle comuni alle tante altre esperienze che troviamo sparse nel territorio.
Allora passiamo al lavoro. Come cercate di rinvigorire una situazione che vede i detenuti prevalentemente impegnati nei cosiddetti lavori domestici, con limitate possibilità di lavori veramente produttivi, eccezion fatta per alcune oasi felici? A Firenze esiste da anni un servizio di un’associazione, che ora si chiama Centro Servizi Marginalità, che fornisce l’attività di raccordo tra le aziende e il detenuto e gli fa il tutoraggio, utilizzando anche le borse lavoro. Questa associazione è convenzionata con il Comune di Firenze e quando presenta, come nell’ultimo caso, il suo progetto al Fondo Sociale Europeo, al bando che viene fatto, per realizzare un servizio di inserimento lavorativo per la marginalità, il Comune di Firenze dà il suo sostegno. Diciamo che siamo in rete strettissima con chi si occupa dell’avviamento e dell’inserimento lavorativo. Per quanto riguarda invece l’intervento diretto, cioè portare lavoro dentro il carcere, c’è quest’esperienza delle biciclette che è significativa e dovrebbe allargarsi, ed è significativa perché ha una duplice valenza: la prima è quella di dare un lavoro a chi vuole rientrare nella società, a chi ha problemi, e la seconda è la valenza ecologica, che a Firenze è particolarmente sentita. Anche per questo la cittadinanza apprezza il servizio, la dignità e la disponibilità con la quale i detenuti ammessi alle misure alternative si impegnano. Un’altra attività alla quale noi contribuiamo è la realizzazione di bambole alla sezione femminile di Sollicciano. Bambole ed altri oggetti in pezza, ed anche qui il significato è duplice, nel senso che è un lavoro e permette alle detenute di non oziare all’interno, quindi di migliorare la qualità della vita quando sono dentro, e poi permette a coloro che ovviamente rientrano nei termini di uscire, perché l’associazione ha anche un laboratorio esterno, e per finire ha un significato terapeutico perché la creazione della bambola è un po’ la metafora della nascita. Ogni bambolotto, come del resto ogni bambino, è diverso l’uno dall’altro ed è unico.
Cosa fate per favorire il reinserimento nella società di coloro che escono dal carcere, sia in misura alternativa che a fine pena? La cosa importante che stiamo cercando di fare a Firenze è appunto creare un tavolo cittadino sul carcere, formale, dove il carcere della città, il Comune, la Provincia ed anche gli altri enti pubblici interessati, facciano un accordo formalizzato, un protocollo d’intesa, un accordo di programma, chiamiamolo come vogliamo, in cui si impegnano a stabilire delle regole per il reinserimento sociale dei detenuti. Sociale in senso lato, sociale significa lavorativo ma anche tutto quello che serve per un vero reinserimento, perché solamente il lavoro non basta. Diciamo che se una persona perde un pezzo del sostegno della propria vita facilmente poi perde anche il lavoro, allora è necessario mettere attorno ad un tavolo gli enti che hanno i servizi che si occupano di detenuti, quindi la Ussl che ha i servizi per i tossicodipendenti, il Comune per i servizi sociali generici, la Provincia per i servizi per l’avviamento al lavoro, il carcere che ha il CSSA, metterli tutti attorno allo stesso tavolo e fare in modo che la persona, che è una sola, venga seguita dai servizi in maniera coerente, in modo che non debba fare "il giro delle Sette Chiese" senza ricomporre in un unico contesto, che è quello della sua vita di detenuto che sta uscendo, tutti gli interventi che vengono fatti.
Ma gli enti locali non potrebbero essere coinvolti in maniera più ampia con l’offerta di vere e proprie opportunità lavorative, eventualmente anche sotto forma di lavori socialmente utili, che potrebbero sostituire le pene detentive brevi per proseguire il rapporto di lavoro anche una volta espiata la pena? Questo è un punto importantissimo, infatti gli enti locali come i comuni, le province e le Ussl, sono anche delle imprese, cioè danno lavoro. Per esempio il Comune di Firenze, solamente nel settore della Pubblica istruzione, ha tantissime scuole ed ha bisogno del cibo, delle suppellettili, dei cuscini, delle tende, dei giochi, e dà continuamente lavoro a ditte esterne. Allora, se noi riuscissimo a fare in modo che le ditte esterne che forniscono queste grosse aziende assumessero qualche detenuto o portassero il lavoro dentro il carcere - questo sarebbe il massimo - oppure in qualche modo dessero lavoro a queste persone in difficoltà in percentuale al loro giro di affari, sarebbe veramente un grossissimo passo avanti. Gli enti locali sono aziende che hanno una vastissima gamma di prodotti e servizi dei quali necessitano, quindi possono spaziare nell’ambito di tutte le cooperative sociali.
Sembra tutto facile, ma allora perché le idee non si concretizzano ed i progetti non decollano? Stavo per arrivarci, perché guardi che il carcere non è mica preparato a questo. Io mi sono trovato nel paradosso che il Comune era pronto a dare del lavoro ed il carcere non era assolutamente preparato: non aveva gli spazi, non aveva i mezzi e gli strumenti e soprattutto non aveva convinto il personale dell’Amministrazione Penitenziaria che bisognava inserire nel piano quotidiano anche questo, un percorso che deve maturare col tempo e deve essere metabolizzato.
Svolge quest’attività perché il Comune di Firenze le ha assegnato questo compito oppure ha delle motivazioni particolari? Ci vuole un qualcosa in più per occuparsi del carcere e dei detenuti? Questa è proprio una bella domanda. Diciamo che tutti quelli che si occupano di sociale qualche problema ce l’hanno. Sorrido perché anche se lei non me l’ha detto provocatoriamente lo dico io, e di questa cosa sono proprio convinto. Diciamo che chi svolge determinate attività risolve anche qualcosa di sé, ma questo lo si può generalizzare anche in tanti altri lavori, non è mica detto. Io provengo, per la mia esperienza professionale, da questo mondo, nel senso che prima lavoravo nel carcere, ero assistente sociale del CSSA, e quando sono transitato in Comune hanno ritenuto, con mia grande gioia, di utilizzare al meglio la mia precedente esperienza.
Si dibatte molto sui numeri della recidiva, che si aggira intorno al 60-70%: cosa si potrebbe fare per ridurre il circolo vizioso di vedere persone che escono e rientrano continuamente? La cosa più banale da dire è che se si realizzassero, almeno in piccola parte, tutte queste cose a livello di inserimento sociale, lavorativo e di sostegno, per rientrare in un ambito di normalità - è molto vasto l’ambito di normalità -, se si facesse veramente qualcosa di più sarebbe molto utile. Però vorrei dire un’altra cosa: ci sono le normative a monte che determinano questo grosso rigonfiamento della popolazione detenuta. Le normative sull’immigrazione e sulla tossicodipendenza sono congegnate in modo, ed è una scelta politica precisa, da portare un sacco di gente dentro. Se si continua ad usare una politica proibizionista sulla tossicodipendenza in questa maniera, in cui di fatto si risponde alla tossicodipendenza con il carcere, allora il carcere si gonfierà sempre di più. Non si può partire dal carcere, in questo senso si deve partire dalle leggi che ci sono a monte, ma è una scelta precisa quella di non mettere il carcere come ultima ratio ma di metterlo molto prima, ed il discorso vale anche per le leggi sull’immigrazione, che non favoriscono percorsi migratori onesti e corretti. Le ultime norme non consentono nessun reinserimento per gli stranieri che si trovano in carcere e ciò è assolutamente assurdo, perché mentre l’Ordinamento Penitenziario e l’articolo 27 della Costituzione permettono il reinserimento, la legge Bossi-Fini di fatto boccia l’applicazione di tale possibilità, e questa è una grossa contraddizione.
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