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Dal lavoro all’accoglienza, tanti fronti della cooperativa L’Approdo
Ad Avellino, un’esperienza nata pochi anni fa e già consolidata. Che impiega i detenuti in un’azienda agricola, nella raccolta d’indumenti usati e in lavori di impiantistica elettrica. E riesce a coinvolgere anche gli uffici pubblici
(Realizzata nel mese di agosto 2004)
A cura di Marino Occhipinti
Archiviazione di pratiche e documenti della Camera di commercio. Raccolta di indumenti usati. Impiantistica elettrica e manutenzioni ordinarie. Gestione di un’azienda agricola e di un appartamento che accoglie chi esce dal carcere per brevi permessi. Nonostante sia nata da pochi anni, la cooperativa L’Approdo di Avellino ha già concretizzato molti progetti, anche grazie all’apporto della Caritas diocesana. Un punto di riferimento per i detenuti e i loro familiari, come ci hanno spiegato i responsabili di questa esperienza.
Com’è nata la vostra cooperativa? L’Approdo nasce nel 1998, nell’ambito degli interventi a favore della povertà promossi dalla Caritas diocesana di Avellino, ma abbiamo effettivamente cominciato a lavorare da poco più di due anni. Il nostro è un progetto finalizzato all’emancipazione e all’autonomia di persone disagiate ed emarginate.
Quali sono le attività che effettuate sia all’interno che all’esterno degli Istituti di pena della vostra zona? All’esterno raccogliamo abiti, archiviamo pratiche, gestiamo l’azienda agricola “Isca delle donne”, ci occupiamo di impiantistica elettrica e di manutenzione ordinaria. Per quanto riguarda invece l’interno del carcere, al momento abbiamo proposto un progetto di orientamento all’inserimento lavorativo per i detenuti della casa circondariale di Avellino.
Quante persone in misura alternativa alla detenzione avete (e avete avuto) alle vostre dipendenze? Attualmente sono tre: una in semilibertà, una in articolo 21, una che è uscita dal carcere con l’indultino. Lo scorso anno abbiamo avuto una persona in affidamento, e per un paio di mesi, praticamente a fine pena. Per le persone che vengono dal carcere usufruiamo degli sgravi previsti dalla legge Smuraglia, un incentivo che ci consente di far fronte alle molte spese che dobbiamo sostenere.
In che cosa consiste l’archiviazione di atti e pratiche per conto di enti pubblici? L’archiviazione di documenti per la Camera di commercio di Avellino è stato uno dei primi lavori commissionati insieme alla raccolta degli indumenti usati. Abbiamo riunito in una sola sede gli archivi decentrati, riorganizzato la sistemazione cartacea e verificato la corretta trascrizione nei registri e nell’archivio informativo preesistente.
Difficoltà di costruire rapporti stabili e continuativi con le istituzioni locali
Quindi riuscite a lavorare con gli enti locali, a coinvolgerli? La difficoltà di costruire rapporti stabili e continuativi con le istituzioni locali pesa nella vita di qualunque cooperativa. Un primo passo positivo è la convenzione stipulata di recente con il Cosmari (Consorzio smaltimento rifiuti) di Avellino per la raccolta degli indumenti e altre mansioni che ci hanno proposto perché possiamo offrire un servizio migliore di quello attuale.
E l’azienda agricola “Isca delle donne”? È nata su un terreno di proprietà della Diocesi, che ce lo ha affittato per un progetto di reinserimento sociale rivolto al carcere. Abbiamo coltivazioni di frutti di bosco, viti, olivi, un frutteto e orti. Attualmente è in costruzione un capannone per l’attrezzatura agricola con un piccolo spazio abitativo, uffici e un laboratorio per la trasformazione dei prodotti.
Come riuscite a vendere i prodotti che coltivate? Non siamo ancora a regime però alcuni prodotti, come i lamponi e le ortive, hanno trovato un certo gradimento presso rivenditori locali.
Non mancheranno le difficoltà…
Dal 2001 a oggi l’incremento è positivo, con i limiti relativi alla nostra poca esperienza. Siamo all’inizio e si sa che in agricoltura c’è una fase che richiede investimenti che non sono immediatamente produttivi. Quindi le persone impegnate nell’azienda pesano in termini economici perché il loro stipendio, almeno per il momento, deve venir fuori dalle altre attività della cooperativa.
Offrite la possibilità di un lavoro solo durante la fase di esecuzione della pena o anche nella fase critica del dopo-carcere? La cooperativa garantisce necessariamente il lavoro per il periodo residuo della pena. L’idea iniziale è di far vivere questa esperienza come un’opportunità e come uno strumento all’interno di un percorso di reinserimento sociale, dunque un’esperienza transitoria e aperta a quante più persone è possibile.
Quali altre attività, anche di sostegno, riuscite a offrire a chi esce dal carcere sia in permesso, sia in misura alternativa, sia per fine pena? Ci stiamo organizzando meglio per l’accoglienza e l’accompagnamento delle persone, strutturando un percorso di formazione per i soci e per i dipendenti. Il lavoro da solo non può risolvere tutti i problemi di chi ha alle spalle una vita difficile. L’esperienza di questi ultimi due anni ci ha confermato l’importanza della formazione, intesa come crescita della consapevolezza e delle motivazioni personali, oltre che come acquisizione di conoscenze professionali da spendere all’interno e anche all’esterno della cooperativa. Il nostro consulente psicologo ha proposto ai volontari penitenziari un percorso di formazione che comincia all’interno del carcere e accompagna le persone nel passaggio dal dentro al fuori. Si inizia con un colloquio e successivamente, sulla base delle necessità individuali, si cerca di dare un supporto sia tecnico-informativo che morale e psicologico. Nel caso di possibile richiesta di benefici, come il lavoro all’esterno, si vede se la cooperativa è in grado di offrire questa opportunità.
Come viene gestita la vostra struttura e quanto incide il volontariato nella realizzazione delle vostre attività? La struttura che ospita la sede della cooperativa ci è stata data in comodato gratuito dalla Caritas diocesana di Avellino (prima ospitava gli obiettori di coscienza). Una parte è riservata agli uffici e al magazzino. Un’altra, composta di stanzette, cucina e salone, insieme a uno chalet (un ex-centro per anziani), è destinata all’accoglienza delle persone che escono per brevi permessi e delle loro famiglie. L’accoglienza viene seguita dalla Caritas attraverso il gruppo dei volontari penitenziari. La cooperativa è composta da dodici soci e quattro dipendenti: ognuno, ma vale anche per i volontari, mette a disposizione le sua professionalità (il presidente è ingegnere, un socio è commercialista e revisore dei conti, un altro avvocato, un altro ancora è volontario penitenziario). Comunque, quando serve, ci affidiamo anche a dei consulenti, in particolare a un agronomo e a uno psicologo, quest’ultimo anche con funzioni di supervisore della formazione.
E il bilancio finale di questi anni d’impegno, qual è? In due anni è difficile tracciare un bilancio approfondito, ma abbiamo avuto modo di verificare dei limiti legati soprattutto alla nostra poca esperienza di gestione e di capacità progettuale. Siamo andati “a braccio”, perché la nostra è ancora una realtà piccola e i settori di intervento non si sono sviluppati alla massima potenzialità. È già emersa la necessità di migliorare l’organizzazione del lavoro per un utilizzo più razionale delle risorse umane, e di definire l’ambito della formazione a tutti i livelli perché la buona volontà non basta in una struttura complessa come quella della cooperazione sociale.
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