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Piemonte, quando la pena diventa ecologica
Un progetto della Comunità montana Valli Po, Bronda e Infernotto impiega detenuti-operai nella salvaguardia del patrimonio ambientale. E mostra agli abitanti della montagna quanto possa rivelarsi utile anche chi sta scontando un reato
(Realizzata nel mese di ottobre 2004)
A cura di Marino Occhipinti
Due detenuti-operai che per cinque giorni alla settimana escono dalla Casa di reclusione di Saluzzo, in provincia di Cuneo, per tenere puliti i sentieri di montagna, occuparsi della manutenzione della segnaletica stradale e della gestione dell'isola ecologica di Paesana. Hanno cominciato in aprile grazie al progetto "Il Monviso oltre le sbarre", gestito dalla Comunità montana Valli Po, Bronda e Infernotto, che ora si appresta a rinnovare e forse ampliare l'iniziativa. A lanciare l'idea è stata Lilliana Borretta, sindaco di Castellar, in accordo con la direttrice del carcere di Saluzzo, Marta Costantino. Al sindaco abbiamo rivolto alcune domande per capire come funziona l'iniziativa. E come la vedono gli abitanti della zona.
Bisogna offrire loro un'opportunità che li aiuti a superare una fase critica della loro esistenza
Sindaco, quale significato ha, per lei, il progetto "Il Monviso oltre le sbarre"? Credo molto in questa iniziativa, basata su due principi fondamentali: primo, nelle Case di reclusione sono presenti delle risorse umane che è necessario riconoscere e attivare nel modo giusto; secondo, l'autentico recupero delle persone che hanno sbagliato si può attuare solo all'interno della società e non tramite l'isolamento. Ma ha giocato anche l'esigenza di mano d'opera nel nostro territorio, oltre alla necessità di dare una motivazione a questi giovani che hanno sbagliato. Se vogliamo che credano ancora nel futuro, bisogna offrire loro un'opportunità che li aiuti a superare una fase critica della loro esistenza.
In che modo ha reso concrete queste idee? In qualità di sindaco del Comune di Castellar dal 1999 al 2004 e di assessore ai servizi sociali della Comunità montana Valli Po, Bronda e Infernotto, ho colto l'opportunità offerta dalla legge regionale 45 del 1995. Dopo aver verificato che nei piccoli comuni di montagna vi è una forte esigenza di personale che curi il patrimonio ambientale, ho contattato la direttrice della Casa di reclusione "La Felicina" (che si trova vicino al mio comune) per tentare di avviare un progetto che coinvolgesse alcune persone in stato di reclusione e le nostre comunità. La direttrice, la dottoressa Costantino, ha da subito collaborato alla stesura del progetto, che è stato finanziato dalla Regione Piemonte e avviato nel mese di aprile di quest'anno.
Si può arrivare a far cadere i pregiudizi diffondendo un clima di fiducia nella possibilità di reintegrazione
Tra le vostre intenzioni c'è anche quella di sensibilizzare la gente sui problemi del carcere? Il progetto vuole dare concrete opportunità di lavoro a detenuti che possano usufruire della semilibertà o accedere al lavoro all'esterno. Ma accanto al positivo impatto sul percorso individuale delle persone recluse, riteniamo che in questo modo sia anche possibile stimolare l'attenzione della popolazione valligiana sulle problematiche del carcere. Osservando come aree di verde urbano e sentieri montani vengano sistemati e restituiti all'uso dei turisti e dei cittadini, si può arrivare a far cadere i pregiudizi verso chi sconta una pena in carcere, diffondendo infine un clima di fiducia nella possibilità di reintegrazione. L'inserimento lavorativo costituisce però la finalità fondamentale del progetto. Sulla base delle esigenze del territorio, anche grazie al concorso degli enti che realizzano l'iniziativa in collaborazione con questa Comunità montana, si sosterranno i detenuti nell'acquisire una professionalità e soprattutto una dinamicità personale, affinché siano in grado di individuare i luoghi e le agenzie del lavoro e di "saper stare" sul posto di lavoro accanto al "saper fare". Queste attività possono veramente rappresentare le premesse per intraprendere percorsi di inserimento lavorativo stabile presso le imprese locali.
Qual è la durata dell'iniziativa e quali enti, locali e privati, vi hanno aderito? La durata è di un anno e il progetto nasce dall'atteggiamento di accoglienza che il territorio della Comunità montana, composto da quindici comuni, intende esprimere nei confronti di persone in stato di reclusione. Alcuni comuni della zona - in particolare Castellar - hanno aperto anche ai detenuti iniziative rivolte alla popolazione locale (mostre, concorsi di poesia e altro). Per questi spunti di socializzazione è stata determinante l'attività dei volontari dell'associazione Liberi-dentro, che operano nella Casa di reclusione di Saluzzo. Inoltre il progetto vede la collaborazione del Centro servizio sociale adulti di Cuneo. L'intero gruppo di lavoro ha poi definito nuovi progetti e ideato momenti pubblici di sensibilizzazione, importanti per avvicinare il carcere ai cittadini.
Quali tipologie di detenuti potranno lavorare per conto dei comuni e chi li ha selezionati? I due detenuti-lavoratori sono stati individuati dal personale del carcere in base alla realtà sociale in cui avrebbero operato e alle esigenze lavorative dei comuni. Non erano richieste specifiche capacità professionali, anche se eventuali competenze di giardinaggio e carpenteria hanno costituito titolo preferenziale. L'aver seguito con profitto i corsi di formazione interni all'istituto carcerario ha quindi rappresentato una premessa al buon esito dell'iniziativa, così come il possesso della patente da parte di almeno uno dei detenuti per consentire loro di essere autonomi negli spostamenti. Un buon percorso di autonomia infatti, seppure in una situazione protetta, può incentivare un migliore inserimento di queste persone nell'attività produttiva e, di conseguenza, nel contesto sociale.
Quali lavori svolgono le due persone, come sono retribuite e qual è, per i comuni e per gli altri enti, l'esborso economico? I due operai sistemano e curano le aree verdi e i sentieri montani dei quindici comuni, e si occupano dell'area ecologica del territorio comunale di Paesana. I costi rappresentano un beneficio per tutta la collettività, perché il lavoro dei due operai, per la durata di un anno, grava sul bilancio per soli diciannovemila euro circa: quindicimila a carico della Regione Piemonte per gli stipendi (trentuno euro al giorno per ogni operaio, oltre ai contributi previdenziali) e quasi quattromila stanziati dalla Comunità montana per l'attrezzatura antinfortunistica, l'assicurazione e i buoni pasto giornalieri consistenti in sette euro e mezzo a persona.
L'esperienza verrà sicuramente ripetuta e pensiamo di coinvolgere in futuro un numero superiore di detenuti
Siete soddisfatti del lavoro dei detenuti e pensate di rinnovare il progetto? Dalle verifiche effettuate, il progetto risponde pienamente alle esigenze del territorio. Devo tuttavia rilevare che vi è stato un periodo iniziale di diffidenza, da parte di alcuni enti e realtà sociali, superato grazie all'impegno serio dei due detenuti-lavoratori, alla puntuale pianificazione degli interventi da parte del responsabile tecnico del progetto e alla stretta collaborazione con gli altri enti che partecipano al progetto. Sì, l'esperienza verrà sicuramente ripetuta e pensiamo di coinvolgere in futuro un numero superiore di detenuti, anche in attività diverse da quelle attuali.
Oltre a soddisfare le necessità delle varie amministrazioni comunali, ritiene che l'iniziativa possa diventare anche un buon percorso di reinserimento per chi sta scontando una pena? Le due persone coinvolte sono ben inserite nell'attività lavorativa e direi anche nelle comunità in cui operano. La gente apprezza il loro lavoro, ha superato la fase del pregiudizio. È anche per questi motivi che ritengo il progetto estremamente valido e interessante proprio per quanto riguarda il reinserimento di queste persone nella società.
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