Incontro con Carlo Alberto Romano

 

A Brescia "Carcere e territorio" è un’associazione

che ha rotto gli steccati e messo insieme tutti

 

(Realizzato nel mese di aprile 2003)

 

Perché solo lavorando insieme chi sta "fuori" può pensare davvero a trovare casa e lavoro a chi sta "dentro"

 

Carlo Alberto Romano è Docente di criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi di Brescia, ed è poi direttamente impegnato "sul fronte carcere" come vice Presidente dell’Associazione Carcere e Territorio di Brescia, una delle realtà più attive e vivaci in Italia proprio per la capacità "miracolosa" che ha avuto di coordinare un po’ tutti quelli che a Brescia hanno a che fare col carcere. Lo abbiamo "interrogato" nella nostra redazione, della quale è stato ospite, su tutte le iniziative che la sua associazione ha messo a punto sui temi del lavoro e del reinserimento di detenuti ed ex detenuti.

 

Vorremmo prima di tutto avere da lei informazioni sullo Sportello di integrazione e orientamento al lavoro di Brescia, perché anche qui a Padova tra i progetti a lungo termine rientra l’avviamento di un’attività simile.

 

Lo sportello formalmente nasce come un’iniziativa del privato sociale, convenzionato con la Provincia che eroga un contributo a questo specifico fine. Da un’idea originale è andato poi evolvendosi in un modo credo abbastanza intelligente, che ha permesso, attraverso una sinergia tra la Provincia e la nostra associazione, l’individuazione sia di spazi operativi sia di spazi concettuali necessari a un’opera di questo genere.

A questo punto l’associazione "Carcere e territorio", per non trovarsi a dover gestire una cosa più grande di quelle che erano le proprie possibilità, ha fatto secondo me un passaggio importante: si è convenzionata a propria volta con un consorzio di cooperative sociali, dal momento che le cooperative sociali gestivano già uno sportello di integrazione al lavoro, specialmente orientato sulle fasce svantaggiate. Da questo punto di vista c’era quindi una facilità a comprendere le esigenze dell’avviamento al lavoro di persone, che sono solitamente fuori dal mercato del lavoro o non facilmente inseribili o comunque più deboli. Gli operatori del consorzio gestiscono perciò per conto dell’associazione "Carcere e Territorio" lo sportello, sia quello direttamente connesso al Progetto Carcere della provincia di Brescia, che prevede una presenza fisica di operatori due mattine la settimana nei locali della Provincia dove vengono ricevute le persone interessate, sia attraverso l’operatività del loro sportello d’integrazione al lavoro.

 

Com’è organizzato invece lo sportello dentro al carcere?

Lo sportello all’interno ha un referente, più tutta una rete di volontari dell’associazione. Il referente è la persona che è stata incaricata dall’associazione della gestione dello sportello stesso, e che oltre a svolgere colloqui raccoglie tutte le segnalazioni che provengono dalla rete dei volontari ma non solo, perché oggi si lavora anche con le segnalazioni degli educatori penitenziari e del CSSA.

 

Sappiamo che avete coinvolto nell’attività di sportello anche i famigliari, può spiegarci come?

Ho citato prima il fatto che lo sportello esterno apre due mattine a settimana, e sostanzialmente l’apertura è voluta proprio per i famigliari. Da questo punto di vista devo dire che mi sembra che la strada tracciata sia assolutamente efficace, perché un punto di contatto esterno oltre a quello interno è ciò che permette un raccordo tra il detenuto e la famiglia, che la scarsità dei colloqui a disposizione in carcere non sempre garantisce.

 

Visto che a Venezia si sta tentando di fare uno sportello con il Comune e non ci sembra che sia così automatico da parte delle detenute capire come attivarsi in prima persona e utilizzare questo strumento, ci piacerebbe sapere se avete fatto una particolare "promozione" dello sportello, una campagna per farne capire l’utilità.

Voi sapete che in carcere le possibilità di divulgazione interna di notizie non sono estremamente sviluppate, c’è una necessità forte di far correre la voce. Io ritengo che sia molto importante da questo punto di vista tutta la rete del volontariato, che deve lavorare in modo attento ed efficace, e quando ha una segnalazione riferire subito all’operatore, che è quello che permette di coordinare meglio l’attività, mentre prima era ogni singolo volontario che si prendeva la briga di andare a cercare il posto di lavoro dal suo amico carrozziere piuttosto che dal suo amico artigiano, e così si andava avanti in modo improvvisato, sull’esperienza e sull’apporto personale. Creare un coordinamento serve per creare anche una buona prassi esportabile, ed io credo molto che l’esperienza positiva possa essere proposta anche in altre sedi, perché non ha senso se rimane solo l’esperienza di Brescia, che è già un’isola felice dal punto di vista dei rapporti con il carcere da parte del territorio.

La Provincia da questo punto di vista ci ha dato credito e ascolto e ha inserito questo progetto di integrazione al lavoro in un più ampio progetto, denominato "Progetto carcere", per il quale però non ho visto ancora una serie di iniziative altrettanto importanti dello sportello. Finora c’è stata infatti solo la firma di una convenzione con tutte le parti sociali, l’associazione industriali di Brescia, l’associazione degli artigiani e altre realtà, nella quale tutti si impegnano ad agevolare i progetti che prevedono l’inserimento dei detenuti. Su questo documento sono arrivate tutta una serie di convergenze, compresa quella del Tribunale di Sorveglianza. Il problema è, secondo me, che a questa convergenza di consensi non è conseguita una vera e propria presa in carico da parte dell’imprenditoria Profit, tanto è vero che, quando lo sportello ha bisogno di trovare i posti di lavoro per le persone detenute o ex detenute, deve rivolgersi sempre all’impresa sociale.

 

C’è forse una scarsa professionalità degli ex detenuti, riguardo ad una professionalità specifica richiesta dalle aziende?

No, non è questo il punto, tanto è vero che l’impresa privata ricorre spesso ai contratti di lavoro interinale, e quindi non va a cercare particolari professionalità.

 

È la mancanza di sgravi fiscali, di cui godono invece le cooperative, il freno al coinvolgimento degli imprenditori Profit?

Però la legge Smuraglia da questo punto di vista avrebbe dovuto garantire, incentivare, invogliare, ma probabilmente la Smuraglia è un ottimo strumento non sufficientemente conosciuto, altrimenti anche gli imprenditori privati avrebbero potuto essere "ingolositi", quantomeno dal credito d’imposta di 516 euro. La Provincia, consapevole di questo problema, mi ha chiesto allora di realizzare un vademecum dedicato al tema del lavoro penitenziario infra e extramurario, da distribuire agli imprenditori, in cui si dice quali possono essere i benefici dell’imprenditore profit che voglia assumere un detenuto, cosa che abbiamo fatto come associazione "Carcere e territorio"; siamo in attesa della pubblicazione.

 

Sappiamo che avete fatto anche una indagine su un campione di imprenditori bresciani, nella prospettiva di valutare le opportunità occupazionali che essi possono offrire a persone sottoposte ad esecuzione della pena. Ce ne può parlare?

Abbiamo fatto questa indagine intitolata Produttività e Solidarietà e l’abbiamo pubblicata su una prestigiosa rivista locale, "Civiltà Bresciana". Il problema è che dobbiamo assolutamente incentivare il numero delle persone che vengono assunte dalle imprese Profit, questo è lo snodo fondamentale, perché le cooperative hanno già saturato il numero di posti di lavoro che avevano a disposizione e che più o meno sono sempre coperti. Abbiamo bisogno dell’appoggio delle imprese dell’imprenditoria privata, perché senza di quelle non riusciamo a produrre un cambiamento. La Smuraglia era l’idea giusta, perché prevede che l’imprenditore venga invogliato dal punto di vista finanziario con il credito di imposta, ma sono passati quasi due anni tra l’entrata in vigore della legge e il momento in cui sono usciti i decreti attuativi e probabilmente non si è riusciti a far breccia nelle associazioni di categoria degli imprenditori. Se adesso riusciremo a diffondere questo vademecum, forse riusciremo a smuovere la categoria degli imprenditori, prospettando loro quali sono i vantaggi che derivano dall’assunzione di un detenuto, perché poi i bei discorsi sulla possibilità che, dando un’opportunità lavorativa a chi esce dal carcere, diminuisca la recidiva, all’imprenditore interessano fino ad un certo punto…

 

Non si potrebbe tentare la strada di creare non un canale diretto tra il carcere e l’imprenditoria privata, ma uno mediato attraverso le cooperative, così da far in modo che il datore si trovi ad assumere uno che ha già lavorato in cooperativa, e quindi ha superato la fase di "collaudo" ed è automaticamente "referenziato"?

Nella cooperativa nella quale sono personalmente impegnato, la Coop. Exodus di Capriano del Colle, in Provincia di Brescia, di fatto lo facciamo già, e agli imprenditori amici diciamo: "Hai un posto per una persona che ha già lavorato da noi, facendo già un certo percorso, che è andato bene, del quale quindi ti puoi fidare anche tu?", e così si liberano altri posti per far uscire altre persone dal carcere. È un percorso da perseguire assolutamente.

 

Qual è la sua opinione sulle borse lavoro erogate dagli enti locali?

Ma… sul discorso borsa lavoro, erogata dagli enti locali, non sono molto favorevole, lo ritengo un modo per pulirsi la coscienza: destinando una piccola somma a questa cosa e poi dicendo che il problema è stato affrontato. Personalmente preferisco che si faccia un intervento radicale con una progettazione di politica sociale, perché secondo me è più importante fare convenzioni, coinvolgere gli imprenditori. Perché poi comunque, finite quelle risorse messe precedentemente a disposizione, magari passata quella amministrazione, i problemi sono lì, punto e a capo. In secondo luogo abbiamo tralasciato tutta una serie di realtà che vanno oltre l’erogazione di un contributo, sono le necessità come l’alloggio, la rete delle relazioni, la ricostruzione del percorso previdenziale, delle quali l’ente locale deve farsi carico, le convenzioni con i patronati, con i sindacati, perché possano dare una mano da questo punto di vista. A me pare che l’utilizzo della borsa lavoro sia un modo per dare una risposta d’emergenza ad un problema, che invece necessita di un approccio molto più profondo ed integrato.

 

Per quanto riguarda invece la vostra esperienza con i detenuti stranieri, un datore di lavoro può ancora assumere un detenuto straniero extracomunitario, sapendo che sul suo capo pende la spada di Damocle dell’espulsione?

La situazione non è rassicurante, anche se, in un documento che abbiamo dedicato a questo tema, noi mettiamo in evidenza una cosa molto semplice, che dal punto di vista giudiziario per il cosiddetto "permesso di soggiorno ai fini di giustizia" non è cambiato nulla, perché la Bossi – Fini non si è espressa su questo punto; e quindi dovrebbe essere titolo per poter ambire a misure alternative e ad un posto di lavoro, in vigenza di un provvedimento d’esecuzione della pena. Purtroppo recenti testimonianze mi dicono che vi è stato un giro di vite anche su questo.

 

Non le sembra che nelle associazioni di volontariato ci sia un atteggiamento rinunciatario, rispetto ai problemi degli stranieri detenuti, e in particolare a questa disparità di percorso carcerario, che sembra assolutamente incostituzionale?

Credo che ci sia una sorta di riluttanza ad occuparsi del problema dei detenuti stranieri, probabilmente anche derivante da una scarsa capacità di comprensione della normativa, che è oggi ancora più complicata, anche perché in questi ultimi anni è andata stratificandosi. Dal punto di vista dell’impegno, sinceramente mi pare che ce ne sia abbastanza riguardo a questo problema, per cercare di affrontarlo seriamente, discuterlo, per farlo presente, anche se pesano gli umori dell’opinione pubblica, che non è completamente ostile, però rispetto a certi argomenti riguardanti la delinquenza del cittadino straniero è quanto meno superficiale, tende a dare risposte immediate e basate più sull’emotività che non sulla comprensione del problema.

 

Ci dà qualche informazione sul vostro progetto di "housing"?

Questa iniziativa è assolutamente collegata con il lavoro. Il ragionamento è nato da una constatazione, che spesso alcuni detenuti non potevano avere le misure alternative perché non avevano un alloggio, arrivavano in Camera di Consiglio e si sentivano dire: "Hai il lavoro ed è idoneo, purtroppo non hai un alloggio altrettanto idoneo, quindi non possiamo concederti il beneficio". Bisognava dare una soluzione a questo problema; la regione Lombardia ha erogato uno stanziamento triennale per il problema carcere, e noi siamo riusciti ad ottenere che alcuni di questi fondi fossero destinati ad alloggi per i nostri detenuti ed ex detenuti.

A Brescia è stato assegnato un certo contributo, veicolato dal Comune, nel senso che sono i comuni che si fanno garanti che i soldi che la Regione stanzia per gli alloggi siano effettivamente utilizzati per questo scopo. Siamo riusciti a mettere in piedi un progetto che secondo me ha un buon valore, siamo andati dall’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare, e gli abbiamo proposto di darci degli alloggi in dotazione da ristrutturare, e i soldi del finanziamento regionale vengono utilizzati per la ristrutturazione. Dopo di che, i lavori di ristrutturazione vengono scontati sul canone di locazione, in modo che noi poi abbiamo un canone di locazione agevolato, che ci permetta di sistemare persone che non hanno grosse possibilità economiche. Noi abbiamo un contratto di cinque anni, 3 più 2, che ci assegna gli immobili; a nostra volta ci rendiamo garanti, e ovviamente l’Aler accetta che noi collochiamo soggetti detenuti o ex detenuti. L’affitto lo paghiamo noi, che poi chiediamo un contributo al soggetto che entra e che abbia la disponibilità di un lavoro. È un contributo assolutamente sopportabile, intorno ai 100,00 euro, comprensivo delle spese, e gli appartamenti sono molto dignitosi. Si tratta per ora di sei posti. Inoltre il Volca, che è il volontariato penitenziario della Caritas di Brescia, ha avuto a sua volta un altro finanziamento per degli alloggi, quindi in totale c’è stata una movimentazione di una quindicina di posti letto.

 

Preparando il convegno sul lavoro in carcere, che si terrà il 9 maggio a Padova, ci siamo posti il problema di discutere anche delle nuove forme di lavoro, come il lavoro interinale, e del fatto che le misure alternative sono molto rigide rispetto ad un mercato del lavoro, che è sempre più in movimento e dà sempre meno garanzie di posti fissi. Lei che cosa ne pensa, di questo problema del lavoro interinale?

Secondo me, già attualmente ci sono spazi, nella concessione delle misure alternative, per potersi adeguare alla flessibilità del mercato, sempre che il magistrato non abbia paura nel vedere scritto agenzia Adecco o Manpower; però il giudizio va dato sull’idoneità dell’agenzia interinale, così come prima andava dato sull’azienda che offriva un posto di lavoro.

 

Ma se il lavoro finisce e la persona in misura alternativa non riesce subito a trovare un’alternativa, non è pensabile una specie di "congelamento" della misura?

Il congelamento è poco probabile dal punto di vista giuridico, però dalla mia esperienza non è così immediata la revoca della misura alternativa, nel caso ci sia la perdita del lavoro, non derivata ovviamente da trasgressione del regolamento. Certo con la semilibertà è più difficile rispetto ad un affidamento, perché sulla semilibertà ci sono dei margini d’orientamento che sono un po’ più rigidi da parte sia della magistratura, sia dell’amministrazione penitenziaria, che ogni mattina deve sapere esattamente dove si trova la persona semilibera. Per l’articolo 21, dipende comunque dal direttore del carcere, perché tutto sommato se il direttore ritiene che l’agenzia del lavoro interinale sia seria, che comunichi il luogo dove il soggetto va a lavorare se termina il periodo di occupazione presso una ditta e ne inizia uno in un’altra, non vedo grossi problemi dal punto di vista giuridico.

Noi come associazione "Carcere e territorio" di Brescia ci siamo convenzionati con un’agenzia di lavoro interinale, devo dire però che non siamo molto contenti di come è andata la cosa, nel senso che dopo l’iniziale periodo d’entusiasmo, l’agenzia interinale si è scontrata con l’inevitabilità di ciò che noi prospettavamo, cioè che mentre loro generalmente hanno bisogno dei lavoratori praticamente da mattina a sera, noi non siamo in grado di reperirli perché, mentre viene fissata la camera di consiglio, viene notificata la misura e posta in esecuzione, viene firmato il piano di trattamento, passa un numero di giorni che vanifica di solito l’esigenza dell’agenzia di un contratto interinale.

Secondo me comunque ci sono dei margini di lavoro, perché non tutte le esigenze degli imprenditori che si rivolgono alle agenzie di lavoro interinale sono dettate dall’emergenza quotidiana, ci sono anche delle esigenze che possono essere programmate, e su questo si potrebbe lavorare, con la collaborazione della magistratura e dell’amministrazione penitenziaria.

 

Non si potrebbe immaginare che sia il carcere a creare uno sportello che funzioni come agenzia interinale?

Attenzione però, che la collocazione dei lavoratori con il contratto di lavoro interinale per legge è riservata a delle agenzie che devono avere delle prerogative particolari. Non è facile però, perché occorre un riconoscimento dal Ministero del Lavoro, altrimenti si creano quelle finte cooperative, che altro non fanno che procacciare lavoro interinale in violazione della legge, che giustamente prescrive determinate garanzie, piuttosto rigorose, tra le quali un investimento consistente e la rappresentanza in almeno quattro regioni.

 

Si potrebbero forse creare dei gruppi di detenuti pronti per l’articolo 21, sempre in riferimento alle agenzie interinali, che chiedono costantemente la disponibilità di personale. Così facendo si avrebbe un serbatoio, deve attingere detenuti come forza lavoro.

 

Servirebbe però un direttore disponibile a creare un gruppo di detenuti da utilizzare con l’articolo 21, mentre di solito i direttori concedono con parsimonia questa misura, evidentemente non è uno strumento in cui molti credono realmente.

 

Lo sportello di avviamento al lavoro si occupa anche di altre pratiche, ad esempio il riconoscimento della pensione, il rinnovo della patente, ecc.?

Noi per queste pratiche abbiamo due patronati che entrano in carcere. Siamo stati noi che li abbiamo chiamati in associazione, informandoli che c’era questa necessità e chiedendo loro di trovarci un referente che entrasse in carcere periodicamente per varie necessità di tipo previdenziale, pensionistico, e comunque anche per orientamento nei problemi di carattere amministrativo.

 

Voi avete una rete estesa di volontari, ma si tratta di un volontariato realmente coordinato?

Il nostro si! Da quando è sorta, nel 1997, per volontà del presidente dottor Zappa, l’associazione "Carcere e Territorio" ha fatto una scelta ben precisa: cioè, pur nascendo come associazione di volontariato, "Carcere e Territorio" non opera direttamente, ma è un ente di secondo livello nel quale confluiscono tutte le realtà che a loro volta operano sul carcere. Vi cito degli esempi: Associazioni di promozione sociale tipo U.I.S.P., Associazioni di volontariato, come il citato VolCa, Cooperative tipo A che gestiscono comunità per tossicodipendenti, come la Cooperativa di Bessimo, Cooperative tipo B di inserimento lavorativo, come la Coop. AMICI, la Provincia, i Sindacati, l’ordine degli Avvocati di Brescia, sono soci di "Carcere e Territorio", partecipano, mediante i loro rappresentanti all’assemblea o addirittura al consiglio direttivo se eletti, in modo che, e per quanto possibile, ogni iniziativa venga presa in modo congiunto. Vi sono poi prestigiosi soci singoli, Consiglieri provinciali, Consiglieri comunali, operatori penitenziari e professionisti di rilievo del tessuto cittadino.

Il consiglio direttivo si riunisce una volta al mese, ogni consigliere che abbia a cuore un’iniziativa la porta in consiglio e la discute. Il progetto di housing senza "Carcere e territorio" sarebbe stato impensabile, perché ci sarebbero state tante realtà e nessuno avrebbe agito nel modo coordinato che era necessario per potersi presentare come valido interlocutore all’Aler.

Ma oggi sarebbero impensabili tutte le iniziative importanti di progettazione di politica sociale, senza un vero coordinamento di tutte le realtà che si occupano di carcere. Per questo auspico che il nostro esempio possa essere ripercorso da altre realtà cittadine, e, ulteriormente, ci si possa davvero compattare a livello regionale e magari nazionale. Altrimenti per ogni strategia legislativa, che riguardi l’esecuzione penale, sia infra che extramuraria, continueremo a stare alla finestra mentre altri, magari privi delle nostre specifiche esperienze e competenze, decideranno anche per noi.

 

 

 

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