Incontro con Licia Roselli

 

È possibile "esportare" l’esperienza della Agenzia Solidarietà

per il Lavoro di Milano in altre città e in altre carceri?

 

(Realizzato nel mese di febbraio 2003)

 

A cura della Redazione

 

Ne abbiamo parlato con Licia Roselli, direttrice di Age.SoL, che è stata ospite nella nostra redazione

 

Vorremmo prima di tutto sapere come funziona a Milano Age.SoL, come operano gli sportelli di informazione, come sono stati impiegati i detenuti "sportellisti" all’interno del carcere.

Siamo nati nel 1998 su iniziativa di un gruppo di detenuti di San Vittore, quindi se abbiamo un "di più" rispetto ad altre esperienze è che la nostra non è stata calata dall’alto, ma è partita dalle esigenze dei protagonisti stessi, che si sono resi attori in prima persona, così da far in modo che questa struttura esistesse; poi ci abbiamo messo circa un anno per farla partire, per coinvolgere tutti. A San Vittore però si erano già formati, sin dal 1993, gruppi di detenuti che avevano attivato risorse e azioni sul tema lavoro: un questionario sulla formazione ricevuta, le attività lavorative svolte, le attese per il dopo carcere, elaborato e distribuito con la partecipazione stessa della popolazione carceraria, era stato compilato da ben 1041 detenuti su 2434 presenti a quella data (1995) a San Vittore, dandoci così un quadro chiaro e preciso della realtà nella quale andavamo a operare.

Il passo successivo a quel punto era cercare di coinvolgere non solo le cooperative e il volontariato, che in ogni modo erano già disponibili, ma anche le associazioni imprenditoriali e sindacali. A distanza di quattro anni, possiamo dire di averle coinvolte, ma non pienamente. Sulla carta questo è ancora un passo difficile da fare, qualcuno è un po’ più sensibile, altri meno, ma continuiamo a lavorarci e a sperare che anche loro vogliano svolgere un ruolo attivo.

Nel 1999 abbiamo realizzato Il Progetto Sportelli, anche nelle carceri di Opera e Monza, un’idea che mi è venuta dall’esperienza che avevo avuto con il Progetto Ekotonos a San Vittore, dove dal 1993 abbiamo sportelli di consulenza su vari argomenti, ma mancava lo "sportello lavoro".

Per gli Sportelli abbiamo avuto un primo finanziamento dalla Provincia di Milano, perché nel frattempo era entrata in vigore la legge Bassanini, che passava tutte le competenze del collocamento dal Ministero del Lavoro alla Provincia. In parallelo abbiamo organizzato un corso di formazione per detenuti sportellisti, "Meglio Fuori", perché avevamo pensato nella gestione a questa duplice figura, l’operatore "esterno" e i detenuti sportellisti interni. Ai detenuti sono stati affidati compiti chiari, precisi e ben delimitati, per evitare che un detenuto possa avere un ruolo preminente, "di potere", sugli altri, e in una struttura in cui ci sono già gerarchie di vario genere non era certo quello che volevamo dare noi. I detenuti sportellisti avevano il compito di comunicare informazioni, raccogliere le fatidiche domandine, organizzare le richieste provenienti dal carcere. Abbiamo realizzato questo corso in contemporanea su tutte e tre le carceri milanesi, e abbiamo selezionato circa una quindicina di persone per ogni istituto, sapendo poi che gli sportellisti veri e propri sarebbero stati due per carcere e non di più.

Si pensava comunque di fornire loro competenze utili, spendibili nel mondo del lavoro. Il corso durava 400 ore ed era strutturato come quelli dei Centri Lavoro della Provincia di Milano, con in più una parte dedicata al tema penitenziario. Si parlava di legislazione del lavoro, legislazione penitenziaria, c’erano lezioni d’informatica, sulla comunicazione, sulla relazione e l’ascolto ecc.

Poi hanno fatto uno stage in affiancamento agli operatori esterni e sono stati inseriti nello staff fino a giugno dell’anno scorso nelle varie carceri, assunti e pagati, anche se per poche ore alla settimana. Ora la maggioranza è uscita in misura alternativa o a fine pena, abbiamo ancora un detenuto in regime di articolo 21, per la gestione della segreteria del Progetto Orfeo attualmente in corso.

 

Fra le questioni affrontate dagli sportelli, c’è anche l’iscrizione al collocamento?

Da poco tempo è cambiata tutta la normativa e le procedure del cosiddetto "collocamento". Fino ad ora, si pubblicizzava il fatto che i detenuti potevano iscriversi al collocamento in carcere, o mantenere l’iscrizione, anche chi era addetto ai "lavori interni domestici". Di solito era l’ufficio matricola ad avviare le pratiche, ma ogni carcere si organizzava con proprie modalità. Ora c’è un decreto legislativo che afferma che non ci saranno più le liste di collocamento, rimane solo quella dei disabili e dei lavoratori dello spettacolo. Però questa legge demanda tutto a leggi regionali, quindi siamo bloccati finché le regioni non legifereranno.

C’è la legge 223, che afferma che per i disoccupati di lunga durata, in altre parole iscritti al collocamento da più di due anni, il datore di lavoro ha diritto agli sgravi fiscali, ma con questo nuovo decreto dobbiamo capire come si recupera l’anzianità di disoccupazione.

 

Questo può essere un tema importante per il convegno sul lavoro che stiamo organizzando. Per quanto riguarda invece i vostri progetti, a che cosa state lavorando ora?

Adesso stiamo gestendo un Progetto Multimisura con i fondi dell’Unione Europea e non siamo più da soli, abbiamo formato una Associazione Temporanea di Scopo con altri 5 consorzi e con la Provincia di Milano, quindi gestiamo gli sportelli per l’orientamento e l’inserimento al lavoro con la Provincia, che non è più uno sponsor esterno ma è parte attiva nel progetto.

I progetti Multimisura, molto in sintesi, si occupano di sperimentare nuove strumentazioni per portare al lavoro categorie svantaggiate. A Milano e in Lombardia ne hanno progettati tanti, il nostro è stato l’unico rivolto a una sola tipologia, e alla Regione Lombardia è piaciuto, tant’è vero che forse darà indicazioni nel prossimo bando (che dovrebbe uscire in primavera), di preferenza proprio a quelli che presenteranno progetti mirati su una categoria precisa.

 

Quali sono le finalità di questa Associazione Temporanea di Scopo?

Ci siamo messi insieme perché come Age.SoL abbiamo fatto la scelta di privilegiare il lavoro di rete e di mantenere una struttura operativa leggera. Inoltre l’utenza detenuta ha raggiunto livelli quantitativi molto alti, circa 4000/4500 persone ristrette, pertanto i progetti integrati necessitano di numerosi professionisti con esperienze diverse, infatti adesso operiamo con quasi una ventina di operatori a tempo parziale, tra orientatori nelle carceri, quelli che sensibilizzano le imprese, quelli che fanno i tutor: siamo diventati veramente tanti. Abbiamo creato l’A.T.S. con altri Consorzi che facevano già inserimenti lavorativi, quindi potevano contare su operatori già formati, e siamo così riusciti a rendere veramente concreto il concetto di rete, tra l’altro anche con i funzionari della Provincia, perché da quest’anno la Provincia ha in carico anche la formazione professionale, e quindi tutto l’orientamento alla formazione è rientrato dentro questo progetto per l’inserimento lavorativo.

Si comincia con l’orientare i detenuti verso la formazione, li si indirizza in percorsi formativi, e in sequenza o in parallelo li orientiamo al lavoro, e dove è possibile li portiamo fuori per colloqui di lavoro e poi li seguiamo nelle misure alternative oppure a fine pena.

 

Quanti detenuti avete collocato complessivamente?

Nel periodo in cui abbiamo fatto la sperimentazione, tra il 1999 e il 2000 come Age.SoL, abbiamo collocato 117 persone e ne abbiamo prese in carico 651.

In seguito con il Progetto "Cercare lavoro" in A.T.S., dal 2001 al 2002, ne abbiamo sistemati in un anno nelle lavorazioni interne 112, 72 esterni e in più abbiamo 37 persone con già la lettera d’assunzione in tasca, però siamo in attesa che il magistrato firmi il provvedimento.

 

Ora vorremmo affrontare un altro tema, quello dei tutor. La funzione del tutor qual è? È una garanzia per l’azienda o è una tutela per il detenuto? Il fatto è che, se un detenuto esce dall’esperienza della galera dopo una lunga detenzione, è pesante per lui avere ancora gli occhi addosso di qualcuno che lo controlla costantemente.

La funzione del tutor è quella di accompagnamento a tutto tondo. Il tutor agisce su due fronti, quello aziendale e quello verso il detenuto, su tutte le problematiche che insorgono nei due versanti per facilitare al meglio l’inserimento. Perché, a parte le cooperative che possono conoscere bene la situazione dei detenuti, le aziende invece non sanno prendersi in carico uno che ha orari rigidissimi, regole imposte, controlli della polizia, e hanno bisogno di essere aiutate ad occuparsi di tutte queste pratiche. E il detenuto ha tempi e modalità diverse di adattamento al posto di lavoro.

Noi abbiamo nel progetto parecchie ore di tutoraggio, per 85 adulti detenuti e 12 minori, la durata varia da persona a persona; il tutor per esempio si presenta al lavoro, contatta l’imprenditore e il lavoratore, verifica l’andamento del percorso e agisce per rimuovere qualsiasi ostacolo o impedimento, sia l’uno che l’altro possono contattare il tutor per qualsiasi cosa, per informazioni o per problemi. Un piccolissimo esempio, che ci è capitato recentemente, è di una persona che si trovava in carcere da diversi anni, e se non ci fosse stato il tutor ad accompagnarlo sul posto di lavoro si sarebbe perso; non sapeva che mezzi pubblici prendere, gli euro non li aveva mai visti, era totalmente disorientato, anche ad affrontare cose che sembrano banali!

 

Che cosa fate per allargare l’area di chi ha disponibilità a dare lavoro ai detenuti oltre le cooperative sociali, che sono importanti ma non riescono a far fronte a tutte le domande che arrivano dal carcere?

Potrei dire che le abbiamo provate davvero tutte. Abbiamo degli operatori che chiamiamo "operatori di sensibilizzazione delle aziende" e fanno solo quello.

Comunque qualche azienda siamo riusciti a coinvolgerla, ma il fatto è che noi a Milano abbiamo un mercato del lavoro molto variegato e particolare, le aziende hanno bisogno di figure molto professionali, ad esempio vogliono i saldatori, se tu ne hai uno disponibile lo prendono subito, anche se detenuto per grave reato; ma i nostri utenti spesso sono abbastanza anziani e non hanno professionalità specifiche, perché in carcere hanno fatto solo dei corsi generici, quindi bisogna prima di tutto indirizzare diversamente la formazione professionale. Infatti, quest’anno, per esempio, partiamo con un corso a Bollate per dare il patentino di conduttore d’impianti a vapore, che al momento sono richiesti, e poi se possibile tenteremo anche un corso per saldatori.

 

La vostra esperienza di Age.SoL per promuovere il lavoro ai detenuti è unica in Italia, voi pensate che sia "esportabile"? E come siete riusciti in concreto a far lavorare assieme le cooperative, le associazioni, gli enti locali?

Questa iniziativa è senz’altro mutuabile ma non esportabile così come è a Milano. Prima di implementare un’attività del genere si deve fare una mappa del territorio, e vedere le risorse che sono presenti e da lì partire a progettare lo strumento operativo.

Ormai è condiviso il concetto di fare rete, a Milano molti soggetti che si occupano di carcere hanno capitalizzato questo "guadagno", nella consapevolezza che quando prendi in carico un detenuto ti presenta problemi di diverso tipo, noi ci occupiamo del lavoro, poi c’è chi si occupa della casa, chi si occupa dell’accompagnamento ai servizi, chi delle questioni legate alla tossicodipendenza, sono tutti nodi della rete, dei quali dove non esistono si sente (e di molto) la mancanza e cala l’efficacia dell’intervento di tutti.

Certo per arrivare a questa consapevolezza collettiva ci abbiamo messo tanti anni, abbiamo creato già nel 1994 il Comitato Carcere, Lavoro e Territorio di Milano (denominato Osservatorio), all’inizio eravamo un po’ diffidenti, ma se ti frequenti costantemente e capisci che serve a tutti, poi si riesce a far lavorare insieme le realtà più diverse. Nella prima fase di aggregazione "tirare" il coordinamento di Milano è stato come tirare un carro senza ruote, ci sono stati dei momenti di cadute verticali di partecipazione, in cui ci trovavamo in 3 e sinceramente volevo mollare! Ora lo spazio non ci basta più, quando ci riuniamo dobbiamo prendere una sala del Comune, anche a Palazzo Marino, perché finalmente tutti hanno capito che è giusto esserci, grazie anche al fatto che il Comune è diventato parte attiva dell’Osservatorio e funge da luogo di raccordo e di coordinamento.

 

Un’agenzia come la vostra opera anche"da garante", per esempio verso i magistrati di sorveglianza, sulle ditte che offrono posti di lavoro?

Noi non abbiamo mai avuto contatti ufficiali con la Magistratura di Sorveglianza, però ora ci siamo accorti che le proposte di misure alternative presentate dal nostro servizio vengono accolte "favorevolmente", ci siamo guadagnati una fama di serietà "sul campo" lavorando in tutti questi anni con precisione e costanza, proponendo cooperative e imprese che si sono sempre dimostrate "sane", e questa è una garanzia di fatto. Su questo, siamo stati molto rigidi, ci sono capitati casi di detenuti che si presentavano allo sportello già con il posto di lavoro, magari da un amico o da un parente, abbiamo sempre risposto di no, che non facevamo da "copertura", perché i posti di lavoro li cerchiamo e li verifichiamo noi, ma se questo amico o parente è disposto a dar lavoro a detenuti, possiamo fare un sopralluogo e valutare la serietà dell’azienda e la concretezza della proposta lavorativa. Infatti i nostri "operatori aziende" non solo cercano di sensibilizzare gli imprenditori verso la loro funzione sociale e non solo economica, ma vanno anche nelle aziende e verificano che ci siano le necessarie garanzie, prima di accettare eventuali offerte di lavoro.

 

Concludiamo questa intervista con una frase di Licia Roselli, che spiega nel modo più efficace perché dare lavoro ai detenuti conviene a tutti: "Un detenuto o ex detenuto, che riesca, grazie al lavoro, a stabilizzare la propria vita in circuiti di legalità, non costituisce più motivo di allarme sociale, quindi… lavorare vale la pena.

 

 

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