Discussioni in redazione

 

La fatica di non essere “normali”

L’impossibilità di avere rapporti sessuali con una donna non significa automaticamente che ci siano molti più uomini che hanno rapporti tra loro. Ma quando succede, facciamo in modo di non restare attaccati a una certa “cultura” carceraria piena di disprezzo per gli omosessuali

 

a cura della Redazione, ottobre 2005

 

Forse qualcosa è cambiato anche in carcere, rispetto al modo di considerare gli omosessuali, ma non diamolo troppo per scontato: in realtà, circola ancora un atteggiamento di sospetto, e non a caso la discussione nella nostra redazione è nata quando due detenuti sono stati “trovati” a fare sesso, e gli altri detenuti, i “normali”, hanno voluto invece affermare la propria lontananza da fatti di questo genere. Ma in ogni caso l’occasione è stata buona per cominciare a parlarne e a rompere qualche tabù.

 

Elton Kalica: Vorrei aprire la discussione partendo da un episodio successo qualche giorno fa, quando due detenuti sono stati trovati mentre facevano sesso nella loro cella. Mi piacerebbe che riuscissimo a capire meglio il perché di questi comportamenti, e poi vorrei che emergesse il fatto che, a differenza di quello che il mondo esterno crede, qui in carcere storie così non succedono tutti i giorni, ma quando succedono se ne parla, magari si prendono le distanze, e però queste persone si cerca anche di comprenderle. È vero però che quello che hanno fatto è un’infrazione del regolamento carcerario, e quindi ci sarà anche una sanzione. E c’è il rischio che questi due prima o poi, oltre alla sanzione, possano prendere delle botte da qualcuno, perché ci sono anche parecchi detenuti che non tollerano questo tipo di comportamenti. Io personalmente faccio parte di quella categoria che tollera invece tutto dicendo: finché non mi vengono vicini possono fare ciò che vogliono.

Ornella Favero: Ma tu Elton, tu ti sei chiesto davvero perché vuoi che ne parliamo? Non è che vuoi “salvare l’onore” dei detenuti insistendo sul fatto che questi casi sono isolati?

Elton Kalica: Sì, un po’ sì, ma non è per salvare l’onore, è per rendere giustizia a quella che è la vera realtà carceraria. Sono otto anni che vivo in carcere e in questo posto non esiste questa omosessualità diffusa, ed è un argomento che ho affrontato anche con chi viene dall’esterno. L’idea sbagliata, da cui partono tante fantasie, è che in un luogo dove sono costrette a vivere molte persone dello stesso sesso sia naturale che tra di loro ci siano anche delle relazioni di tipo sessuale. Una persona libera può stare un anno ed anche di più senza avere rapporti sessuali con una donna, vuoi perché è sfigata vuoi perché si dedica ad altre cose, e nessuno dice niente. Invece un carcerato no, deve per forza fare sesso col suo compagno di cella. Io confesso che prima potevo anche avere un certo affetto per un uomo, un amico, ma oggi, dopo questi anni di galera dove ho conosciuto i loro pregi e i loro difetti, devo dire che ho finito per odiare gli uomini. Se fossi costretto ad innamorarmi di un essere che non sia una donna, di certo non sceglierei un uomo, piuttosto una bambola gonfiabile.

Ornella Favero: Non è che il fatto di vivere in costrizione e non poter avere un rapporto con una persona dell’altro sesso ti faccia diventare omosessuale: intanto distinguiamo l’omosessualità dalla scelta di avere rapporti sessuali con persone del proprio sesso, e chiediamoci se e quanto sia diffuso in carcere il praticare il sesso tra uomini o tra donne perché sei costretto a farlo dalle circostanze. Io noto una volgarità rispetto all’omosessualità che è molto pesante tra i detenuti e a volte forse anche tra gli agenti. Prima di tutto quindi voglio che prendiamo le distanze da questo atteggiamento, dalle prese in giro, dal fatto di voler far vedere a tutti i costi che si è maschi.

Altin Demiri: L’atteggiamento di ostilità che c’è verso queste persone dipende dal fatto che continuano a comportarsi come se non fosse successo nulla, come se fosse tutta una montatura. Gli omosessuali dichiarati, quelli non avrebbero simili problemi, perché tutti sanno già le loro preferenze sessuali e li lasciano tranquilli a stare tra di loro.

Elton Kalica: Io non ho nessun pregiudizio verso gli omosessuali. Ho già avuto un omosessuale nella cella di fronte alla mia, non siamo diventati amici ma di certo non l’ho mai odiato. Continuo però a rimanere critico verso tutti quelli che credono che il carcere sia come un luogo di orge e altre semplificazioni simili.

Paolo Moresco: C’è da sfatare quel mito lì, sinceramente io ho trovato il carcere molto più “casto” di quanto lo immaginassi. Ma c’è da sfatare anche il mito di chi viene sorpreso a fare sesso e viene trattato come un lebbroso ed isolato da tutti gli altri.

Gianfranco Gimona: Neppure io ho dei pregiudizi nei confronti degli omosessuali, ma quando venni arrestato ricordo che ero preoccupato proprio perché sentivo quello che si diceva fuori del sesso in carcere. E poi la cosa brutta è che queste persone le abbiano messe alla gogna un po’ tutti.

Paolo Moresco: Una cosa che è successa nella mia sezione, e va nel senso totalmente diverso, è che ci sono state delle persone dichiaratamente omosessuali, tutti lo sapevano, tutti ne parlavano, tutti ne scherzavano senza mai esagerare. E queste persone erano abbastanza integrate, tranne due o tre volte che alcuni detenuti mezzi ubriachi le hanno aggredite verbalmente rinfacciandogli queste cose.

Gianfranco Gimona: Io ho riflettuto parecchio sulla sessualità, e mi ricordo che quando mi sono costituito mi chiedevo cosa avrei fatto senza una donna per sei anni, poi con il passare del tempo mi sono accorto che cala il desiderio e non c’è più quella morbosità nei miei pensieri. Gli interessi spingono su altre direzioni.

Ornella Favero: Il discorso di fondo è che l’impossibilità di avere rapporti sessuali con una donna non significa automaticamente che ci siano molti più uomini che hanno rapporti tra loro. Mi ricordo che anche con le donne detenute ne abbiamo parlato e loro dicevano che sono poche le donne che fuori avevano relazioni esclusivamente con uomini e in carcere hanno avuto una storia con una donna. Certo però qualcuno o qualcuna può anche scoprire nuovi interessi. Mi viene in mente un romanzo ironico e intelligente di uno scrittore americano, dove ci sono due genitori separati e il padre un bel giorno dice al figlio che vive con un uomo e che lo ama. Comunque sono d’accordo che c’è da sfatare l’idea che se un uomo non può fare sesso allora si butta su un altro uomo, e una donna con un’altra donna. Mi pare che la cosa sia molto più complessa. Io mi sento di condannare soltanto la violenza di chi impone a uno più debole di avere un rapporto sessuale, e questo succede qualche volta.

Elton Kalica: La verità è che qui in carcere in questi ultimi anni tutti stanno attenti al modo di comportarsi e ci si abitua a vivere senza pestare i piedi agli altri, poi certo ci sono anche quelli esaltati che appena vengono a sapere che uno è gay vanno e lo prendono a pugni. Ma questa è l’eccezione. La regola è il quieto vivere.

Flavio Zaghi: Ma davvero può esserci una denuncia per atti osceni in luogo pubblico? Di quale luogo pubblico si parla se la cosa è successa in cella?

Ornella Favero: Io non credo che li denunceranno, ma comunque la cella è considerata purtroppo un luogo pubblico e di conseguenza, se uno ha un rapporto sessuale in cella, può essere accusato di atti osceni in luogo pubblico.

Lorena Orazi (responsabile dell’area pedagogica): In realtà, non è facile decidere che via seguire, come si può configurare questo fatto, se come un reato oppure appunto come una semplice infrazione. Perché in realtà episodi del genere si sono verificati pochissime volte, e si è trattato per lo più di violenze, quindi si è configurato il reato di violenza carnale. Mentre in questo caso non si è rilevata nessuna violenza, perciò finora non si è fatta l’ipotesi di un reato.

Ornella Favero: Comunque l’aspetto penale interessa poco. Quello che più interessa è l’atteggiamento in carcere nei confronti di queste persone, ma è anche importante capire se il fatto che in carcere nel nostro paese non sono concessi colloqui intimi con le proprie compagne può spingere qualcuno ad avere rapporti sessuali con un altro uomo.

Paolo Moresco: C’è da aggiungere però che in carcere non arrivano adolescenti ma persone mature, che quindi si sono già formate in un certo modo e difficilmente modificano i loro comportamenti solo per le condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi.

Affrontiamo però anche un’altra questione: spesso si sente parlare di violenza in carcere, quindi è interessante capire se e quanto sia diffusa la violenza a fini sessuali.

Sandro Calderoni: Io giro per le carceri da vent’anni e vi dico che non ho mai visto episodi di violenza sessuale.

Lorena Orazi: Ma un conto è la violenza vera e propria, e un altro l’uso di forme diverse di pressione o di persuasione. Io ricordo di aver sentito che, negli anni Settanta, c’erano persone in carcere che si passavano tutti i nuovi arrivati. è certo che si sono verificate anche situazioni, dove il rapporto sessuale nasce come oggetto di scambio: in realtà in questi casi non c’è violenza fisica vera e propria, ma “persuasione”. Se tu non hai niente altro da dare in cambio, può anche succedere che uno dia delle prestazioni sessuali, e non credo che in questi casi si parli di omosessualità nel vero senso della parola.

Elton Kalica: Ma io penso che anche in quei casi comunque si tratta di omosessuali, perché se uno compra le sigarette a un altro per avere delle prestazioni sessuali, un po’ dell’omosessuale c’è in lui, sicuramente è qualcosa che si porta da fuori. Per esempio io non cercherei mai di pagare un altro uomo così, anche perché c’è un fatto fisiologico da considerare: a me è la donna che dà certi stimoli. Perciò, se uno riesce ad avere un rapporto significa che è attratto da persone dello stesso sesso.

Marco Rensi: Una volta nelle carceri la regola era semplice e chiara: se uno faceva una cosa del genere veniva picchiato e mandato via dalla sezione. Ma anche fuori gli omosessuali erano visti male. Oggi il carcere è cambiato nello stesso senso della società fuori. L’omosessualità non viene vista più con la tragicità di una volta, proprio perché anche chi entra in carcere adesso ha un’altra mentalità. Non fa più parte della vecchia malavita e non conosce le vecchie regole.

Ornella Favero: Io non sono d’accordo che la società fuori corrisponda del tutto a quella dentro. Prima di tutto perché qui si tratta di una società maschile, anzi forzatamente maschile. È vero che trovi le persone tolleranti e quelle non tolleranti sia fuori che dentro, ma l’ambiente conta molto, e qui ci sono solo uomini. Un’altra considerazione la faccio sulle differenze culturali. La differenza tra la mentalità del nord e del sud Italia è evidente, soprattutto in carcere. Uno dei primi numeri di Ristretti nel 1998 era dedicato all’affettività, e ricordo che in redazione c’erano tante persone del sud che sostenevano che in carcere l’omosessualità non esiste, e queste cose tra uomini non succedono. Ecco, anche Elton ha proposto questa discussione dicendo di approfittare di questo insolito episodio, successo qui tra due detenuti, per far capire a chi ci legge che sono solo casi isolati. Forse perché in paesi come l’Albania c’è un modo di vedere l’omosessualità che assomiglia a quello che c’era e in parte c’è ancora soprattutto nel nostro sud.

Elton Kalica: In Albania, durante il comunismo l’omosessualità era reato, quindi nelle carceri loro, gli omosessuali, ci sono sempre stati. Inoltre nelle carceri albanesi c’è sempre stata una forma detentiva che non separava i detenuti, un sistema creato nell’ottica dello Stato proletario che recupera i devianti attraverso il lavoro. Perciò non vi era una distinzione tra detenuti comuni, collaboratori di giustizia, violentatori e omosessuali, ma andavano tutti a lavorare insieme dove erano assegnati: miniera, agricoltura, costruzione di strade. Mentre una certa discriminazione vi era nella vita normale, cioè fuori dal carcere, dove la nuova società escludeva gli omosessuali in quanto li considerava contagiati dai vizi tipici dei feudatari ottomani, che avevano i loro harem di ragazze e ragazzi: una morale del tutto contrastante con quella rivoluzionaria. Certo oggi può giocare un ruolo fondamentale la differenza culturale. Nell’ambiente carcerario qui in Italia se uno va con un uomo o lo costringe con la forza e poi dice di non essere omosessuale, non gli crede nessuno. Agli occhi di tutti rimarrà un frocio. Mentre non è così nei paesi anglosassoni: ho letto di recente che nelle carceri americane dei criminali incalliti, e molto rispettati nell’ambiente della malavita, violentavano i nuovi arrivati però non si consideravano omosessuali e non c’era nessuno che gli andava a dire niente.

Paolo Moresco: Io sto riflettendo un attimo e mi dico: è il carcere che concentra delle culture di questo genere o che cos’è? La liberazione sessuale in Italia c’è stata 25-30 anni fa, parlo di cambiamenti culturali importanti, ciò non significa che ognuno abbia davvero vissuto questi passaggi, e che non ci siano ancora aree di arretratezza. Quello che mi chiedo è se qui in carcere non si trovino maggiormente che fuori atteggiamenti più arretrati, di gente che la pensa in maniera così rigida. Ma è una mia sensazione o è veramente così? Perché se è così vuol dire che probabilmente ci sono una serie di caratteristiche delle persone che commettono reati, che indicano una cultura chiusa, ancora legata al passato.

 

 

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