Discussione detenute

 

Non ci sono più le detenute di una volta

Sovraffollamento, ma anche tante donne che non sanno

“farsi la galera”, e poi una convivenza forzata piena di rischi

 

(Realizzata nel mese di settembre 2005)

 

discussione nella redazione del carcere femminile della Giudecca

 

Non ci sono più le detenute di una volta…

È un luogo comune anche questo, però come tanti luoghi comuni ha una buona parte di verità. A rimpiangere “le detenute di una volta” e il loro saper stare in carcere sono le donne stesse che vivono alla Giudecca in cameroni con otto-dieci letti e patiscono perché la convivenza con persone, che della galera non conoscono affatto le regole, è particolarmente pesante. Ne abbiamo parlato in redazione, per capire non solo che cosa sta davvero cambiando in carcere, ma anche e soprattutto come sta trasformandosi la società: una società che esclude un numero enorme di persone, e le manda sempre più “lontano dagli occhi”, perché c’è gente a cui dà fastidio lo spettacolo triste del disagio.

 

Ina: Io credo davvero che i reati che portano in carcere le persone negli ultimi anni siano cambiati. Vedo però che, per noi che stiamo dentro, il problema non è soltanto il sovraffollamento, ma anche la gente che viene arrestata. Il fatto è che è cambiato più che altro il modo di vivere fuori: per esempio una volta si finiva in carcere per furti, per rapine, per reati contro il patrimonio, adesso si entra molto di più per prostituzione e per spaccio.

Annamaria: Secondo me non è il tipo di reato che ti cambia il modo di vivere in carcere, caso mai sono le persone che possono cambiarlo. Sicuramente però c’era molta più complicità tra di noi, una volta. Giusto o sbagliato che fosse, se facevi qualcosa che non andava, ti acchiappavano sotto le docce per sistemare le cose. Adesso non c’è più complicità, non c’è più sincerità.

Ornella (volontaria): Ma secondo voi, perché succede questo? Che gente c’è dentro? Cos’e cambiato negli ultimi anni che rende così difficile la convivenza?

Paola: Molte donne credono che, stando dalla parte di chi ci deve controllare, si vada fuori prima o si abbiano delle facilitazioni. Da quello che vedo anche gli agenti preferirebbero però che le detenute facessero le detenute, secondo me rimpiangono le detenute vecchio stile.

Molto dipende dal fatto che c’è un sacco di ignoranza, il livello culturale delle persone che arrivano qui spesso è molto basso, e poi ci sono un mucchio di straniere che pensano che il carcere debba funzionare così. Credo poi che qualcuno incentivi un certo tipo di comportamento, anche con promesse non mantenibili peraltro, perché nessuno qui dentro può davvero decidere di darti la semilibertà, eppure ci sono detenute che pensano di guadagnarsi qualche beneficio mostrandosi molto solerti nell’informare tutti di tutto. Sappiamo benissimo che solo il Magistrato di sorveglianza può concedere queste cose, però magari puoi ottenere qualche facilitazione tipo: farti vivere meglio o avere un lavoro migliore, questo te lo possono dare. A lungo termine, però, io non so quanto paghi un comportamento del genere.

Ina: Io non ho esperienza di carcere, fortunatamente è la prima volta che ci entro e mi auguro sia anche l’ultima, però da quello che sento o che vedo, mi sembra che le persone compiacenti, bene o male, ci siano sempre state, solo che magari lo facevano in un modo meno eclatante.

non se ne vogliono andare, si prendono i fogli di via, così poi gli fanno un cumulo con tutti i fogli di via che hanno ricevuto e le arrestano

Paola: Adesso, questo tipo di comportamento si sta ritorcendo contro quelle persone che l’hanno creato, forse sta diventando una cosa incontrollabile. Succede anche che una detenuta vada a raccontare anche che la vicina di letto ha russato un decibel più del solito.

Ornella: Ma com’è la composizione delle celle qui dentro in questo momento?

Paola: Per quanto riguarda le celle, in una da cinque posti siamo in otto, ci sono tre letti a castello. Ci sono tantissime dominicane, c’è stato il boom della cocaina da Santo Domingo, tantissime Sinte, poi albanesi che prima non c’erano, rumene un vagone, veramente tantissime. I reati più diffusi sono i furti, la prostituzione.

Ornella: Prostituzione cosa vuol dire? Non è mica reato.

Annamaria: Beh, lo sfruttamento e il favoreggiamento sì. Poi ci sono donne dentro per importazione di clandestini e altre cose del genere. Sono aumentate le rumene e le albanesi che prima non c’erano. Alcune donne invece sono finite in carcere per violazioni ripetute della legge sull’immigrazione: non se ne vogliono andare, si prendono i fogli di via, così poi gli fanno un cumulo con tutti i fogli di via che hanno ricevuto e le arrestano.

Ornella: Ho notato anch’io che gli effetti della Bossi-Fini sul carcere si cominciano a sentire adesso che arriva gente con tutte queste piccole condanne che poi si ritrova con due-tre-quattro anni di galera addosso. Quanto ai reati legati alla prostituzione, in tutti questi anni, e ormai sono molti che entro qui, è la prima volta che sento che ci sono parecchie donne dentro per questo motivo. Quindi è cambiato qualcosa fuori anche in quello che fanno le forze dell’ordine: per esempio, rispetto alla prostituzione, non riesco a capire cosa stia succedendo, a me pare che stiano favorendo in tutti i modi la prostituzione da ricchi, cioè quella nelle case, e che stiano sbattendo dentro praticamente solo quelle che sono sulla strada.

Paola: No, ci sono anche donne che facevano lavorare le ragazze in casa. Poi ti denuncia una di loro e tu paghi per lo sfruttamento. Poi ci sono parecchie ragazze che hanno capito che, denunciando chi le ha fatte venire qui, possono ottenere magari di andare da don Benzi e allora fanno questo tipo di cose, per cui denunciano chi le ha portate in Italia, chi ha presentato loro il tipo che le metteva in strada…

Ornella: Quindi la tendenza a denunciare che trovi dentro arriva da fuori, in un certo senso. E tu Sonia, che è da poco che sei qui, che impressioni hai?

Sonia: Veramente non ti puoi fidare di nessuno, neanche della tua ombra; sarà che io sono una che dà fiducia al primo che capita, come carattere intendo, però qui non ti puoi confidare con una persona, non esiste, ognuno salva il suo culo e basta.

Paola: Io posso dire che non è per tutte così, cioè io non credo che sia esattamente così, poi ci sono antipatie e simpatie. Io per esempio non sono simpatica a tutte e comunque a me non sono simpatiche tutte, io do confidenza a pochissime persone, saluto quasi tutti, però confidenza no, la battuta la faccio con tutti, ma mi faccio molto gli affari miei. Anche perché ho la fortuna di poter venire qui alle aule a studiare, e qui sto bene perché sono sola. Però il problema è che prima di fidarti devi tastare bene il terreno, ma questo io credo che avvenga dappertutto, anche fuori. In un luogo chiuso come il carcere però è tutto più “malato”, e io infatti sto trattenendomi perché so che tra tre giorni vado fuori in permesso e comincerò a ragionare in un altro modo, perché, bene o male, per quanto tu cerchi di stare al di fuori e di vedere le cose con obiettività, il carcere ti entra dentro, ti condiziona.

Quando ci sono dei problemi, anche fra di noi ne parliamo in continuazione, la cosa diventa talmente martellante che mi viene l’angoscia solo a pensarci. È per questo che qualche volta mi dico: aspetta un attimo, aspetta che passino questi giorni, poi vai fuori e cerchi di toglierti di dosso il carcere, perché altrimenti ti penetra dappertutto, per cui tu ti senti di essere all’interno di questa gabbia e di non poterle sfuggire in nessuna maniera. Tu vorresti essere obiettiva, vorresti rimanere al di fuori, vorresti vedere le cose in modo lucido, invece sei proprio intrisa, come la carta assorbente, come uno scottex, non riesci a uscirne fuori e questo clima rovina poi anche i rapporti fra le persone, pure con quelle che potrebbero fare qualcosa di buono.

Per esempio anche quando stiamo facendo delle cose per noi detenute, ci stiamo informando, stiamo cercando notizie per il nostro giornale, ci sono delle persone che guardano tutto con sospetto, che non capiscono, non capiscono proprio, che vivono solo nell’idea che bisogna “riferire” a qualcuno chissà cosa. Perché qui c’è tanta ignoranza, a livelli indicibili. Io ci vedo una forma di cattiveria, non dovuta al fatto che uno nasce cattivo, ma piuttosto perché tante persone che arrivano in carcere ora sono nate e cresciute in climi estremamente violenti e di sopraffazione, per cui loro continuano a pensare che, per sopravvivere, devono schiacciare gli altri per non essere a loro volta schiacciate.

Ornella: Mi ricordo che sei-sette anni fa non è che non ci fossero straniere, però mi sembrava che il clima fra italiane e straniere fosse diverso, con più complicità, più confidenza.

 

Se tu ti vesti bene e ti curi, diventi l’obiettivo di critiche

 

Annamaria: Forse le tensioni e le insofferenze attuali dipendono dal fatto che, adesso, la maggior parte degli stranieri si comporta in questo modo perché pensa che così si esca prima o si abbiano dei benefici. Poi ci sono quelle che guardano male le altre perché dicono che vanno a piangere per avere un lavoro. Quello che comunque non manca mai è tutto questo parlare alle spalle, questa mancanza di sincerità.

Paola: Anch’io sono andata dalla comandante a chiederle se mi metteva a lavorare, perché mi trovavo veramente in difficoltà economiche, non vedo in questo cosa ci sia di male. Però, le persone malvagie e invidiose parlano male anche se una fa una cosa del genere. Esiste una gelosia che non si cura in nessun modo, è proprio un classico delle donne.

Ornella: Mi sembra che molte di voi sostengano che queste caratteristiche, di essere disposte a fare qualsiasi cosa per la sopravvivenza, siano più frequenti nelle donne dell’Est. Perché, secondo voi?

Natasha: Perché spesso nei loro paesi non hanno mai vissuto una vita normale, non hanno avuto mai niente. Pure io fuori ho passato periodi in cui ho avuto tanto e altri in cui ho avuto poco, ma io, qui dentro, rimango sempre me stessa, perché questo è il mio modo di essere. Anche a me, sicuramente, sarà capitato di sbagliare o di dire qualcosa di male, ma poi ho avuto anche l’umiltà di chiedere scusa.

Paola: Qui dentro è così, c’è sempre qualcosa da dire su tutto e su tutti; se tu vai a scuola, fai corsi o qualsiasi altra attività, se tu ti vesti bene e ti curi, diventi l’obiettivo di critiche, perché una che cerca di uscire un po’ da quello che è il solito comportamento viene vista con invidia o con sospetto. Ma se ci sono discussioni persino sui vestiti che dà la suora! “A quella ha dato una maglia in più, a quell’altra ha dato un paio di scarpe nuove, a me invece…”. Qui è tutto così, perché le persone non hanno niente di meglio da fare o da pensare. Hanno troppo tempo da passare senza fare niente, e poi siamo in troppe in un ambiente chiuso, e questo crea una miscela esplosiva. Se tu passi le giornate avanti e indietro per i corridoi a fare il nulla più assoluto, a qualcosa dovrai pur pensare, e se queste persone non hanno voglia di pensare a qualcosa di serio, possono pensare solo alle magliette che dà la suora, a quello che ha detto una, a quello che ha fatto l’altra, ed è una catena infinita di cose inutili.

Ina: Qualcuno prima diceva che anche fuori è così, su questo sono d’accordo, però fuori ad un certo punto chiudo la porta e me ne vado a casa mia, qui non è mai finita. Le cose che cominciano in corridoio non finiscono lì, continuano anche nelle celle perché siamo in 8-10 persone, ognuna con il proprio modo di fare, le proprie abitudini. Ci sono sempre quelle che hanno da dire anche sul fatto che noi veniamo qui al giornale. Allora io dico: ma perché non venite anche voi, perché non andate anche voi a scuola o a danza? Le attività ci sono, perché non ci andate?

 

 

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