Gabriella Straffi

 

Gabriella Straffi, direttrice delle carceri veneziane

intervistata dalle detenute della Giudecca

 

(Realizzata nel mese di ottobre 2001)

 

A cura della redazione della Giudecca

 

Un confronto tra come vivono la carcerazione le donne e come la affrontano invece gli uomini e poi, ancora, i reati delle donne, la nuova legge sulle detenute madri, la sessualità e l’affettività in un carcere femminile

 

Gabriella Straffi, direttrice delle carceri veneziane, ha ogni giorno a che fare con gli uomini detenuti a Santa Maria Maggiore e le donne detenute alla Giudecca: la persona adatta, quindi, per tentare un confronto tra come vivono la carcerazione le donne e come la affrontano invece gli uomini. L’abbiamo intervistata in redazione.

 

Ci può spiegare se ci sono differenze tra ciò che chiedono gli uomini detenuti e i problemi e le richieste che esprimono le donne?

C’è innanzitutto una popolazione diversa tra Maschile e Femminile: nel Maschile, almeno a Santa Maria Maggiore, c’è una elevata percentuale di extracomunitari, circa il 70%, che non hanno una grande conoscenza dell’italiano, per cui il rapporto è molto difficile. La richiesta principale, abbastanza secca e netta, è limitata all’attività lavorativa, probabilmente perché vedono in me, come Direttore, l’autorità massima, la persona che può risolvere nell’immediato quello che al momento è il loro problema principale, la situazione giudiziaria o il lavoro che manca.

Nel Femminile le cose non sono mai così nette, in genere le detenute che si rivolgono a me manifestano una maggiore propensione a parlare anche di se stesse, e questo aiuta in modo reciproco a conoscersi meglio. Siete più aperte e non vi limitate alla richiesta che si fa all’autorità, partite dai vostri problemi personali anche per evidenziare una serie di esigenze che poi sono le stesse, però il rapporto e l’approccio sono completamente diversi.

 

E comunque c’è diversità tra italiani e stranieri sulle cose che chiedono?

Lo straniero non ha il lavoro, che è importante per tutti ma per lui è determinante perché, non avendo aiuti all’esterno, è il mezzo per poter essere sullo stesso piano in cui stanno tutti gli altri.

 

E come tipo di reati? Sono diversi i tipi di reati per cui le donne finiscono in carcere?

Io fino a poco tempo fa dicevo che le donne, per quel che riguarda i reati, non sono mai organizzate, poi mi ha completamente disorientata quell’organizzazione paramafiosa di traffico di stupefacenti che faceva capo ad una donna, recentemente scoperta: non si era mai visto niente del genere, o meglio, forse al sud, ma non al nord. I reati in genere sono cambiati, anche perché, soprattutto con gli albanesi, è aumentato in modo massiccio lo sfruttamento della prostituzione, con situazioni drammatiche alla base. Anni fa si verificavano fatti analoghi, ma oggi si stanno affermando organizzazioni criminali particolarmente pericolose, non ancora conosciute completamente.

 

Qui alla Giudecca abbiamo discusso molto della questione dello sfruttamento della prostituzione. Ci sono posizioni molto diverse su questo tema: alcuni dicono che c’è un’alta percentuale (80 %) di donne sfruttate, portate qui senza sapere quello che sarebbero andate a fare; altri invece sostengono che la percentuale di donne che vengono in Italia senza sospettare che finiranno nel giro è molto più ridotta. La sua opinione qual è?

La mia opinione è che, se anche quest’ultima percentuale fosse bassissima, la cosa sarebbe comunque gravissima. Può darsi che ormai sia da sfatare il luogo comune, secondo cui da queste donne non sia conosciuta l’attività che si andrà a fare, ma in ogni caso bisogna vedere l’età, le condizioni di partenza. Se una persona si trova in condizioni di debolezza, o perché innamorata o perché pensa di trovare un mondo meraviglioso, anche se consapevolmente segue una certa strada, ma si trova poi ad essere sfruttata in mezzo ad una strada, questo mi sembra già grave di per sé, non starei poi tanto a guardare se vi sia o meno la consapevolezza iniziale, non credo che sia così determinante.

Tra l’altro, abitando a Venezia e andando poco in giro la sera, non mi rendo molto conto di quello che c’è fuori, vedo solo il gioco delle scatolette, dove ci sono gruppi di 5/6 uomini e qualche bella ragazza. La ragazza è sempre la stessa, bionda, carina, che fa da esca. Per cui si vede il gruppo maschile che è determinante e si nota che sono gli uomini che reggono il gioco, che controllano chi partecipa e chi non partecipa. E c’è questa ragazzina bionda e giovanissima, non la vedo tanto come la possibile organizzatrice del tutto, forse lei è più vittima, dentro ad un gioco molto più grande. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, rispetto a questo.

Noi ne abbiamo parlato, ma testimonianze ne abbiamo pochissime. In genere le donne riconoscono di essere venute in Italia coscienti di ciò che venivano a fare. Dopo si sono trovate forse in situazioni più grandi di loro, non avendo valutato attentamente i rischi che correvano.

Ci sono delle situazioni, e questo ve lo assicuro perché ho letto gli atti e qualche volta non sono nemmeno riuscita a finire di leggerli, che sono di una pesantezza estrema, storie di violenze ripetute e pesanti. Certamente non è soltanto fantasia, è una triste realtà. Ho visto anche poliziotti che stavano male, su questa cosa.

Probabilmente poi dipende anche dalla persona, c’è la persona più forte che sopravvive e che incomincia a far parte della organizzazione, e c’è la persona più debole che forse vorrebbe uscirne e non ce la fa più. Credo sia un campo di una delicatezza tale che, se io dovessi pensarci bene, condannerei principalmente il disgraziato che ci va, con queste ragazze, però su questo siamo d’accordo tutti, penso, specialmente se si tratta di una minore.

 

Parliamo invece del problema delle madri in carcere. Ci sembra che al nido i bambini ci siano come prima. Con la nuova legge non sta cambiando nulla?

Secondo me non cambierà nulla o quasi. Per prima cosa, le novità legislative riguardano principalmente le condannate. Seconda cosa, per la realtà che conosco io, le donne che entrano a Venezia sono donne senza fissa dimora, donne per le quali il reato non grave è diventato la loro professione. Per la nomade il furto non è considerato reato, ma una normale attività per sopravvivere. Quindi una persona che ha tante ricadute è difficile che potrà avere dal Tribunale di Sorveglianza una valutazione che possa dire "non commetterà più questo reato". E poi si tratta per lo più di donne in attesa di giudizio, e spesso anche in stato interessante: abbiamo avuto un aumento di persone che sono entrate al settimo - ottavo mese di gravidanza. Mi sembra pure che in certi casi la cosa sia un po’ strumentalizzata, purtroppo, perché l’unica possibilità per loro è avere la sospensione obbligatoria della pena. E questo, ripeto, mi sembra particolarmente grave. È difficile, per me, affrontare questo discorso, perché ritengo inaccettabile questo tipo di strumentalizzazione, che svilisce il senso proprio della normativa.

Per esempio, abbiamo avuto una situazione, con un Magistrato di Sorveglianza donna, di una detenuta al nono mese di gravidanza che stava per avere il suo bambino, e l’abbiamo portata in ospedale. La Giudice di Sorveglianza mi ricordo che disse: "Per me è inaccettabile che io lasci gli agenti di piantonamento al momento del parto". Ha tolto il piantonamento e la detenuta è scappata dopo un’ora.

Non posso nemmeno farne una colpa alla donna, credo che non fosse neppure in grado di valutare in un modo consapevole che tanto avrebbe avuto in ogni caso la sospensione della pena.

È una cultura completamente diversa: le nomadi sanno che, quando finiscono in carcere, devono portare i bambini con sé e poi andare con i bambini in braccio davanti al Giudice. Quando esce una legge come questa, difficilmente potrà essere applicata a loro. Può venire applicata a chi ha una posizione tranquilla, è al primo reato e verosimilmente non ne farà altri, però, in questa realtà, di persone in queste condizioni ne ho viste veramente pochissime.

 

Quindi le nomadi con i bambini resteranno sempre dentro?

Dovrebbero forse avere paura, in quel momento, di perdere i bambini, che per loro sono il bene primario. Se in quel momento, finché tu sei in carcere, il bambino viene affidato ad una comunità o ad una buona famiglia, forse... Però io sono sempre stata una di quelle che ha detto, anche in tempi passati, "Togliete, se necessario, i bambini, ma mai quando una donna è in carcere, perché togliete anche a noi, operatori penitenziari, la possibilità di dare una speranza di una attività trattamentale". Se a una detenuta togli anche il figlio, è finita. Margara (N.d.R.: Alessandro Margara è stato Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal 1996 al 1998. Nel 1998 è rientrato a Firenze, dove svolge le funzioni di Magistrato di Sorveglianza) una volta disse una cosa molto giusta: è un problema di tolleranza esterna, questo è il punto. Quante persone fuori tollerano, fin dove possono tollerare? Oggi all’esterno c’è tolleranza zero, anzi i piccoli reati sono diventati più gravi nella percezione del cittadino, nonostante i reati, tutti i reati siano diminuiti. Eppure la percezione primaria, la cosa forse su cui si sono anche giocate le elezioni, è l’allarme sociale".

 

Vorremmo parlare ora di un problema che riguarda tutte: i tempi necessari per la chiusura della sintesi…

 

Il problema è questo: noi possiamo fare una chiusura della sintesi e dire come ipotesi trattamentale "questa persona può frequentare corsi interni, può fare questa attività". La sintesi di osservazione è un percorso con un’ipotesi trattamentale. L’ipotesi può essere la misura alternativa, o il permesso premio, o semplicemente dire che la detenuta frequenta il corso di inglese, frequenta il corso di alfabetizzazione. Anche questa è una ipotesi trattamentale. Noi non facciamo questo tipo di sintesi, che invece dovrebbero essere fatte, non le facciamo perché non possiamo permetterci il lusso di farle, nel senso che sarebbe un lavoro inutile. A voi non interesserebbe, se io vi dicessi in una bella sintesi la vostra storia e sotto scrivessi: Ipotesi trattamentale - Si ritiene che la persona non è ancora pronta per fare questo, può fare invece quest’altro. Ma quello che voi mi chiedete è un’altra cosa. Voi chiedete la sintesi di osservazione con un’ipotesi trattamentale che dica "Puoi cominciare a uscire". Allora su questo posso dire che non c’è una particolare lentezza, nel senso che di volta in volta si valutano le persone e se si ritiene che la persona sia pronta per uscire, la sintesi si fa subito, là dove non si fa è perché questa decisione non è stata ancora presa.

Per la sintesi, sono tante le cose da mettere insieme, ma sono le informazioni esterne che pesano molto, a volte le informazioni delle Forze di Polizia possono pesare come macigni.

 

Ma se una persona è in carcere da tanti anni, che informazioni possono essere date dall’esterno?

Dipende dal tipo di reati: anche se sono persone da anni in carcere, le Forze dell’Ordine scrivono "Per il tipo di reato, non si può escludere che…", questa è la formula per dire che la persona potrebbe commettere ancora quel reato. C’è un Comitato di Sicurezza che spesso conclude così.

Io penso che ogni situazione dovrebbe essere valutata con le particolarità proprie, ma anche lì dipende dal "clima" del momento. Quando una persona deve uscire viene eseguita una valutazione generale. Soprattutto per certi tipi di reati si va in questo Comitato dove c’è il Sindaco, ci sono io, la Finanza, i Carabinieri, la Polizia di Stato ecc. Io porto la mia relazione e riferisco sulla situazione in carcere, poi ci sono le varie Forze dell’Ordine che esprimono le valutazioni di rispettiva competenza. C’è molto spesso un’informazione di questo tipo: la persona è stata presa con un grosso quantitativo di droga, o storie simili, il reato è grave e non si può escludere che... E il Comitato prende atto. Una volta ho fatto mettere anch’io a verbale quello che avevo da dire, sì, mettiamo a verbale, mi è stato risposto, e comunque la conclusione è rimasta la stessa. Ma poi dipende dalla Magistratura: se la Magistratura di Sorveglianza si dovesse basare esclusivamente su quello che dicono le relazioni dei Carabinieri, non uscirebbe nessuno. Invece no, una valutazione diversa la si fa. Diciamo che per le italiane è un pochino più facile, obiettivamente più facile, perché la valutazione sulla pericolosità sociale è più semplice. Il problema per le straniere è il rischio di fuga.

Proviamo ora ad affrontare un tema più "scottante". In una intervista, pubblicata sulla rivista Le Due Città (N.d.R.: si tratta della rivista del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria), lei ha affrontato anche l’argomento della sessualità, e di come la vivono le donne detenute. Noi volevamo conoscere meglio la sua posizione, che ci sembra sia molto tollerante, però questo atteggiamento tollerante non corrisponde sempre a un clima di questo genere dentro al carcere. In carcere ci sono delle forme di controllo anche sgradevoli: recentemente, per esempio, due di noi erano stese sullo stesso letto a guardare la televisione, semplicemente perché si vedeva meglio da quella posizione, e sono state richiamate pesantemente. Il clima che si respira in generale è di una molto minore apertura.

In quell’intervista io ho raccontato di una lettera di una detenuta francese, che era stata punita proprio per un atteggiamento non corretto mostrato insieme ad una sua compagna. Io ne ho viste tante di queste situazioni: donne normalissime, con famiglia e figli, e che poi si trovano a vivere una storia di innamoramento. La mia conclusione è che è qualcosa che io non riesco a capire, sono dall’altra parte e non vivo questa esperienza. Non riesco a capirla fino in fondo. Probabilmente è qualcosa che sfugge a chi non si trova in uno stato di detenzione.

 

È vero, ci sono queste realtà di innamoramento. Ma se queste realtà di innamoramento vengono manifestate, quale è la posizione del carcere?

Dal momento che il carcere è considerato luogo pubblico, basta una persona che dica o faccia percepire che quella situazione dà fastidio, e quella persona va tutelata. In quella circostanza, a cui accennavo prima, quella detenuta mi scrisse non tanto per il consiglio di disciplina cui era seguita una punizione, ma per farmi capire tutta la storia come l’aveva vissuta lei, e io ne ho preso atto. E devo aggiungere che da quella volta dico che è una cosa che non capisco, ma che devo rispettare.

La tolleranza e la non tolleranza è un altro discorso. Io esercito una funzione pubblica. Non posso dimenticare di fare il direttore. La sfera umana e sentimentale e la sfera professionale non stanno sullo stesso piano. Se su dieci persone capita che una sia infastidita da certi atteggiamenti, io devo tutelarla.

 

Però ci sono delle situazioni che vengono viste con malizia.

 

Sono soprattutto situazioni che creano imbarazzo anche fra il personale, sono argomenti che trattiamo anche con loro perché non sanno fino a che punto e cosa devono fare e la questione diventa imbarazzante per tutti. Quando sono stata pesante, anche con trasferimenti, non era per il fatto in sé, ma perché il fatto ha creato una situazione grave, non riferita alla coppia soltanto: a volte per esempio c’è la persona debole che non regge questo tipo di rapporto, lì bisogna dividere. La cosa non è così netta come con gli uomini, tra i quali sono state commesse anche delle violenze. Lì non c’è nulla da dire, è una violenza e basta, per cui come pubblico ufficiale ti comporti come sempre di fronte ad una violenza, qui invece non siamo in una situazione di violenza, per certi aspetti, ma in certi momenti diventa una violenza più sottile, di questo mi dovete dare atto.

 

A volte però ti senti molto umiliata, sei con una amica e c’è l’agente che ti richiama per qualche manifestazione semplicemente di affetto, di confidenza.

 

Questo dipende dai rapporti personali, più di cercare di parlarne non saprei che cosa dire, ma vorrei che sotto questo aspetto si valutasse soltanto qual è l’intervento che viene fatto. Allora, gli interventi che vengono fatti a livello istituzionale in questi casi vengono fatti solo ed esclusivamente, e questo il personale lo sa, quando è a rischio il benessere delle persone. Non è facile da capire come si deve agire: di fronte puoi avere la persona più giovane, più influenzabile, e poi la persona meno giovane, con le sue idee ben precise nella testa. Questo per dirvi come la vedo anch’io personalmente, con molta cautela perché è un argomento difficile, soprattutto al Femminile.

 

Perché al Femminile?

Perché, per esempio, è difficile pensare di vedere al maschile due uomini che si abbracciano affettuosamente in cella. O per lo meno non si fanno vedere facilmente, altrimenti l’avrei recepito. Negli uomini è un argomento che probabilmente non si tocca. Qui c’è di mezzo la mascolinità, è il loro concetto dei rapporti affettivi che è del tutto diverso.

 

Ma nel Maschile succedono spesso episodi di violenza?

Non me ne sono capitati molti. Però non ho l’esperienza dei penali, ho l’esperienza dei circondariali, di gente che rimane poco in carcere. Nei penali, me lo dice il personale che ci lavora, queste situazioni a volte succedono. In un circondariale mi è capitato poco, ma quando mi è capitato era molto pesante, era davvero una violenza.

 

Vorremmo, per finire, trattare un argomento più "futile": perché, per la spesa, c’è un limite dentro al limite, cioè noi non possiamo decidere di spendere la cifra consentita come vogliamo, per esempio per un profumo o una crema particolarmente costosi?

Perché viene posto un limite? Perché in carcere si deve cercare di garantire un livello di parità e uguaglianza, allora il "lusso" è un po’ contrario a questo principio. Se una persona mi dice che vuole l’aragosta ed io le rispondo di no, la sua domanda è: "Ma io me la posso permettere, se è nei limiti di spesa perché me lo vieti?". Perché è un discorso di opportunità e di equità. E allora è stata data una regola.

 

Ma succede anche fuori che una donna, per esempio, cerca di limitare le spese, mettere da parte qualcosa e poi alla fine dell’anno si fa un bel regalo. Lei cosa ne pensa?

Penso che se me lo dice singolarmente va bene, ma se le cose vengono viste complessivamente, può non andare bene. C’è una grossa fetta di persone che spendono per spendere. Ora è vero che noi non dobbiamo stare ad insegnare più di tanto su questo, però non possiamo nemmeno tollerare disparità così notevoli. Si farà poi anche un regolamento interno per questo Istituto, che dovrebbe disciplinare, i beni che si potranno comprare e in che quantità, e allora sarà tutto più chiaro.

C’è da dire però anche che più si regolamenta e più aumenta il rischio di diventare ingiusti con la singola persona, perché non si riesce più, se una materia è disciplinata molto, a dire "Beh, forse con questa persona possiamo fare una differenza, perché ha effettivamente risparmiato tutti i mesi per poi farsi un regalo".

 

 

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