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Intervista al Gruppo Consiliare Radicale Piemontese
(Realizzata nel mese di novembre 2003)
Il Gruppo Consiliare Radicale Piemontese, ha inviato una lettera a tutti i 164 tribunali italiani in cui dovrebbero essere istituiti i Consigli di Aiuto Sociale, previsti dall'Ordinamento penitenziario, chiedendo al Presidente del tribunale notizie in merito.
Com’è nata l’idea di svolgere questa ricerca? Abbiamo svolto una ricerca sull’illegalità nelle carceri italiane, essendo questo un capitolo del dossier sul "Caso Italia", che Radicali Italiani ha redatto quest’anno per evidenziare, appunto, l’illegalità in cui vivono le istituzioni italiane. Inoltre, svolgendo numerosissime visite ispettive nelle carceri piemontesi, in attuazione del mandato di consiglieri regionali, abbiamo constatato che parti cospicue della legge Gozzini, nonché dell’Ordinamento Penitenziario, sono rimaste colpevolmente inapplicate. In occasione di convegni ed incontri fra gli operatori del settore, abbiamo sempre sentito ripetere che uno dei problemi principali è quello di creare una rete di collaborazione fra i vari soggetti che operano nel pianeta carcere: magistratura a vari livelli, enti locali, amministrazione penitenziaria, personale sanitario, enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale, associazioni di volontariato, rappresentanti del mondo del lavoro. Questo "tavolo di concertazione" si chiama Consiglio di Aiuto Sociale (artt. 74 - 77 della legge 354/75); così è emersa la necessità di svolgere un monitoraggio presso i 164 tribunali in cui devono essere istituiti i Cas, per verificarne l’operatività. I risultati sono noti.
Avete rintracciato dei detenuti, o ex detenuti, o famigliari di detenuti, che abbiano ricevuto una qualche forma di sostegno dai Consigli di Aiuto Sociale? No. Non solo, alla richiesta di fornire dati sull’attività svolta dai Cas, i presidenti dei tribunali rispondono che il Cas non ha mai svolto alcuna attività.
Secondo voi i detenuti sono al corrente della possibilità di chiedere il sostegno ai Consigli di Aiuto Sociale? No. Anche perché la legge non prevede che sia il detenuto a fare richiesta di aiuto al Cas, il meccanismo è inverso; infatti, la legge dispone che sia il CAS a svolgere le attività di monitoraggio che portano all’acquisizione di tutte le informazioni sulle necessità del detenuto e della sua famiglia.
Guardando alle date di cessazione delle attività dei Consigli di Aiuto Sociale dei vari capoluoghi circondariali si ricava che, all’entrata in vigore della legge 354/75, in tutti i tribunali furono costituiti i relativi Cas. Non vi è stato possibile trovare delle notizie sull’attività svolta dai Cas dal 1975 al momento della chiusura? No. I tribunali non ci hanno fornito notizie in merito. È ragionevole pensare che, dati i tempi "biblici" che la pubblica amministrazione impiega per dare attuazione alle leggi, l’entrata in vigore del Dpr n° 616 del 77 (che trasferiva alcune competenze), a soli due anni dall’entrata in vigore della legge n° 354 del 75 che istituiva i Cas, ha impedito alla stragrande maggioranza dei Consigli di attivarsi concretamente. Infatti, anche i tribunali che dichiarano costituito, attualmente o nel passato, il Cas, affermano che il medesimo non è mai stato "operativo".
Quali sono state le modifiche normative che hanno trasferito le competenze sull’assistenza ai dimessi dalle carceri dai C.A.S. ai servizi sociali territoriali? Le modifiche normative che hanno trasferito in parte le competenze sono il Dpr n° 616 del 24.07.1977 al Titolo III artt. 17 – 22 – 23, promulgato in attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge n° 382 del 22.07.1975 in materia di "Norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione".
Per quanto avete potuto capire la trasmissione delle richieste di assistenza, dai Cas ai servizi sociali territoriali, viene fatta con rapidità? Per quanto detto sopra, questa trasmissione di dati non avviene e basta.
A questo punto, che ne dite di fare un’indagine sull’attività dei servizi sociali territoriali a favore dei detenuti, ex detenuti e loro famiglie? Anche se non ancora sistematica, questa indagine da parte nostra è già iniziata. Intrattenendo una fitta corrispondenza con i detenuti delle carceri piemontesi, spesso capita che, una volta usciti, alcuni di loro si rivolgano a noi per sapere quale percorso intraprendere per riuscire a sopravvivere in una situazione che li vede sprovvisti di tutto: casa, lavoro, soldi. Oppure si rivolgono a noi i familiari, le mogli senza lavoro con figli piccoli, etc., etc.. Così mi è capitato di accompagnare queste persone nel disperante "giro dell’oca" da un servizio sociale all’altro, da una associazione di volontariato all’altra, dal Ser.T. al Cssa e ritorno, senza mai giungere a nessun traguardo. Si entra nel circolo vizioso dello scarica barile fra i sevizi. Es: il servizio sociale territoriale competente per elargire un sussidio aspetta il programma dal Ser.T. che aspetta il rapporto del Cssa che aspetta la sintesi dell’educatore e mentre si aspettano a vicenda i detenuti e le loro famiglie sono travolti dall’indigenza.
Se avete altre osservazioni da aggiungere fatelo pure liberamente…
Aggiungerei che, se alcuni tribunali stanno convocando i Cas, come ad esempio quello di Torino, significa che:
Basta leggere quanto prevede la legge circa le finalità dei Cas per rendersi conto della loro utilità. Le persone che hanno avuto problemi di detenzione sono portatrici di disagi multipli che richiedono competenze e interventi specifici; ma per non cadere nella frammentazione di tali interventi occorre coordinare le varie "figure" che a vario titolo entrano in contatto con il detenuto e il liberando, perché l’integrazione dei vari interventi qualifica l’azione di tutti i soggetti e sviluppa sinergie. Noi Radicali riteniamo che una grande "rivoluzione" nel sistema penitenziario italiano, sarebbe già quella di ottenere l’applicazione delle leggi vigenti. Se fosse stata applicata la Gozzini non ci sarebbe stato bisogno del cosiddetto "indultino": i benefici di legge previsti, sarebbero più che sufficienti a mantenere i numeri dei "ristretti" in dimensioni più ragionevoli.
Vorrei aggiungere anche qualcosa sulla Cassa delle Ammende (artt. 123 - 130 del Dpr n° 230 del 2000). Il Dpr n° 230 del 2000, l’ultimo decreto attuativo dell’ordinamento penitenziario, ha rivisitato l’istituto della Cassa delle ammende attribuendole nuove e più specifiche finalità per consentire all’amministrazione penitenziaria di ampliare le forme di intervento in materia di lavoro penitenziario, nonché finanziare progetti di sostegno ai detenuti ed alle loro famiglie; specifico che la cassa è un ente in cui confluiscono molti soldi, senza entrare nel dettaglio diciamo dalle pene pecuniarie ai beni sequestrati alla mafia. Il consigliere del Dap, dott. Turrini ha dichiarato pubblicamente che le risorse disponibili della Cassa ammontano a 80 milioni di euro, cifra assai considerevole che potrebbe essere utilizzata per finanziare molteplici iniziative. Per sapere quanti e quali progetti abbia finanziato la Cassa, sono state presentate due interrogazioni, una dal senatore Del Pennino ed una dal deputato Enrico Buemi; il ministro Castelli ha risposto che questi tre anni sono serviti per realizzare un nuovo schema di bilancio della Cassa e per emanare un regolamento interno per la disciplina delle modalità di presentazione dei progetti e delle relative attività istruttorie. Allo stato sono in via di espletamento le attività istruttorie per l’approvazione di più progetti presentati, ma finora la Cassa non ne ha finanziato alcuno (!) Sabato 22 novembre abbiamo tenuto un convegno a Torino su questi argomenti a cui hanno partecipato: l’avv. Alberto Goffi, in vece del sottosegretario Vietti, il Consigliere Riccardo Turrini Vita, in vece del capo del Dap Tinebra, Pietro Buffa direttore del carcere delle Vallette, Enrico Buemi ed Antonio Del Pennino, Rita Bernardini, Tesoriere di Radicali Italiani, i consiglieri regionali radicali Carmelo Palma, Bruno Mellano, Jolanda Casigliani, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e Claudio Maria Capotti, della giunta nazionale dell’Associazione Giovani Avvocati, nonché molti operatori del settore. Presto
saranno disponibili gli atti del convegno, ma poche osservazioni vorrei farle
subito.
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