Intervista Giuseppe Tuccio

 

Intervista a Giuseppe Tuccio, Garante a Reggio Calabria

Una figura che è un “ponte naturale” fra le

istituzioni pubbliche e la società civile

Reggio Calabria ha un carcere che è tornato quasi ai livelli preindulto,

ma dal 2006 per lo meno ha anche un “Garante dei diritti

del soggetto privato della libertà personale”

 

(Intervista realizzata nel mese di novembre 2007)

 

Intervista a cura di Marino Occhipinti

 

Giuseppe Tuccio, Magistrato di Cassazione con funzioni direttive superiori, ha esercitato attività giudiziaria in Sicilia ed in Calabria, particolarmente nelle sedi di Messina, Agrigento, Reggio Calabria, Palmi, Catanzaro. Dal 2006 è “Garante dei diritti del soggetto privato della libertà personale” per il Comune di Reggio Calabria. Lo abbiamo intervistato.

 

Dott. Tuccio, con che modalità è stata istituita la figura del Garante dei diritti del soggetto privato della libertà personale del Comune di Reggio Calabria?

È stata un’iniziativa del Comune di Reggio Calabria che, con delibera di Consiglio dell’agosto 2006, ha istituito la figura del Garante, approvando contestualmente apposito regolamento che ne disciplina l’esercizio delle funzioni, i requisiti e le modalità per l’elezione nonché i profili operativi inerenti la sua attività. L’attuale Garante è stato nominato con decreto del 3 ottobre 2006.

 

Cos’è riuscito a fare finora, come Garante, per migliorare la vivibilità degli istituti di pena?

L’attività fin qui svolta si è articolata prevalentemente in una serie di contatti con la realtà carceraria e le istituzioni locali e nazionali, ma anche e soprattutto con gli altri attori portatori di interessi comuni presenti sul territorio: il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria; la direzione dell’istituto penitenziario, l’Ufficio esecuzione penale esterna, l’ente locale, la magistratura, l’avvocatura; il Ser.T., la comunità terapeutica, le associazioni di volontariato e, più in generale, il Terzo settore. Nello scorso mese di dicembre è stata presentata, nella sala riunioni della Casa circondariale di Reggio Calabria, la prima relazione dell’attività che l’Ufficio del Garante ha svolto a un anno dal suo insediamento (cui si rimanda per maggiori approfondimenti: home page sito Comune di Reggio Calabria-Garante del soggetto privato della libertà personale) e si è posto l’accento proprio sulle tre linee direttrici che hanno caratterizzato l’attività di orientamento di questo primo anno:

approfondire l’analisi della realtà carceraria cittadina – problematiche e iniziative progettuali nell’attuale quadro normativo di riferimento;

favorire i delicati processi formativi finalizzati alla rieducazione ed alla risocializzazione dell’ex-detenuto (articolo 27 Costituzione), nel mutato assetto istituzionale che delinea una potestà normativa e attuativa autonoma degli enti locali, nel campo degli interventi dei servizi sociali (legge 328/2000);

favorire la positiva costruzione di un livello istituzionale di rappresentanza comune nella più avanzata interpretazione della disciplina vigente.

 

Quali progetti, attività, iniziative, ha sostenuto e promosso?

Sul versante delle iniziative progettuali, l’ufficio del Garante oltre ad avere sostenuto il Progetto pedagogico dell’istituto penitenziario di Reggio Calabria per l’anno 2007, ricco di attività trattamentali, formative, ludiche e lavorative, ha rivolto l’attenzione alla realizzazione di due progetti ritenuti prioritari. Il primo si chiama “A porte aperte – Studenti e carcere – Itinerari e percorsi nella cultura della legalità”, e si tratta di un’esperienza pilota da realizzare nel territorio di Reggio Calabria che si concretizzerà in una serie di attività cognitive ed esperenziali che coinvolgeranno gli studenti di alcune scuole del Comune, incontri e forum sul mondo del carcere. L’intento è quello di sollecitare una riflessione corale (studenti, docenti, operatori e detenuti) sulle problematiche sociali connesse alla gestione della devianza e della delinquenza, ivi incluse le questioni inerenti all’efficacia delle pene ed ai modelli sanzionatori possibili. Aspetto peculiare del progetto è, poi, lo scambio emotivo che deriverà da incontri programmati che gli studenti effettueranno all’interno della struttura penitenziaria di Reggio Calabria. Insomma, educare alla legalità, partendo dalla esperienza di vita di chi ha delinquito, constatando ed entrando nel vivo della risposta punitiva e dei limiti di libertà che essa ontologicamente impone.

 

Il secondo progetto, invece, in cosa consiste?

Si tratta del progetto “ICATT – Istituto a custodia attenuata per tossicodipendenti”, un servizio di sperimentazione oramai supportato da risultati apprezzabili, sia in ordine al recupero psico-patologico del detenuto-tossicodipendente che al suo graduale reinserimento sociale. La scelta dell’adozione di un intervento trattamentale da attuarsi nell’istituto a custodia attenuata deve essere vista come una piattaforma culturale in continua sperimentazione, capace di coinvolgere la società civile, soprattutto, per quel che attiene l’inserimento lavorativo dell’ex-detenuto tossicodipendente che abbia deciso di intraprendere un percorso di cambiamento. Se a ciò si aggiunge che la legge n. 49/06 che ha modificato il Testo unico in materia di stupefacenti (D.P.R. 309/90) agendo sulla pena come deterrente ha rivoluzionato gli stessi equilibri dei centri di recupero, abituati piuttosto ad accogliere una maggioranza di persone “motivate” al cambiamento e una minoranza di detenuti che cercavano di evitare la galera, l’effetto positivo che va letto in questo nuovo equilibrio è quello di avere “smascherato” queste motivazioni. Di talché con il “contratto di adesione”, il detenuto si impegna a rispettare le condizioni del percorso trattamentale cui si sottopone all’interno dell’ICATT perché lo sceglie. Certo, si tratta di una scelta pur sempre “forzata” dalla contingenza, e che comporterà ricadute, scoramenti, recrudescenze, ma non è così per tutti?! Ciò che tenta, dunque, è di garantire, per tutti, la possibilità concreta, l’opportunità affidabile, di un percorso difficile, ma non più solitario, di cambiamento e di rinnovata fiducia in se stessi e nelle istituzioni.

 

Quali sono le difficoltà maggiori, i punti deboli, con i quali si trova a lavorare?

Le difficoltà maggiori riscontrate afferiscono tutte alla novità del ruolo istituzionale ricoperto dal Garante dei diritti dei detenuti che – come ben sa – è ancora a carattere territoriale, in attesa che si approvi la legge nazionale che ne delinei, compiutamente, organismi e poteri. Ciononostante, la società civile risponde positivamente all’istituzione di questa nuova figura, espressione di conquista civica, oltre che giuridica.

 

Nelle sue attività, riesce a coinvolgere la magistratura di sorveglianza?

Per quel che concerne i rapporti con la Magistratura di Sorveglianza vi è grande sintonia e coinvolgimento sia per quel che concerne le iniziative rivolte all’approfondimento delle problematiche penitenziarie, sia per quel che concerne i rapporti con la comunità esterna. Le richieste finora avanzate alla Magistratura di Sorveglianza sono sempre state esaminate con grande attenzione per i diritti costituzionalmente garantiti dei ristretti nell’istituto penitenziario, come degli affidati in misura alternativa.

 

E come sono i rapporti con l’Amministrazione penitenziaria?

I rapporti sono incentrati a uno spirito di una grande collaborazione sinergica – estesa anche e soprattutto all’ente locale – nell’ottica di un’esecuzione della pena che tenda alla rieducazione e al graduale reinserimento sociale e lavorativo del detenuto.

 

A un anno e mezzo dall’indulto, qual è la situazione nel carcere di Reggio Calabria?

A seguito della concessione dell’indulto l’istituto di Reggio Calabria, al pari degli altri istituti del territorio nazionale, ha conosciuto un decremento repentino della popolazione detenuta, in particolare dei soggetti “definitivi”. Da rilevare comunque che numericamente ben presto si è ritornati allo stesso livello, ad eccezione delle donne che sono 9 e dei semiliberi che da 18-20 sono passati a due. Attualmente – con una capienza tollerabile di 265 – i detenuti presenti in istituto sono 226, di cui 154 in attesa di giudizio di primo grado, e di essi 37 sono stranieri appartenenti a varie nazionalità (Albania, Egitto, Georgia, Croazia, Iraq, Lituania, Marocco, Romania, Tunisia, Turchia, ex Jugoslavia). I tossicodipendenti sono 26, sotto osservazione psichiatrica 5, semiliberi 2.

 

Quanto può influire in un prossimo sovraffollamento carcerario, o comunque in un aumento della popolazione detenuta, la legge ex-Cirielli, che inasprisce la pena e allo stesso tempo limita i benefici penitenziari per i recidivi?

Si auspica che la controversa legge ex-Cirielli non influisca in maniera determinante nella paventata – e prevedibile – ipotesi di prossimo sovraffollamento carcerario. Invero, con la pronunzia della Corte Costituzionale n. 79/2007, depositata il 5.3.2007, l’impianto della ex-Cirielli subisce, dopo la recente sentenza n. 257 del 4.7.2006, una nuova incisione, questa volta sul piano delle modifiche introdotte nell’Ordinamento penitenziario, e precisamente sull’articolato sistema di preclusioni, ostative all’applicabilità di alcuni dei più importanti benefici penitenziari (quali l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà o la detenzione domiciliare), nei confronti dei condannati cui sia stata applicata la recidiva “qualificata” di cui all’articolo 99, comma 4 Codice penale.

La dichiarazione d’incostituzionalità fulmina ora l’articolo 58-quater, commi 1 e 7-bis, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario), nella formulazione introdotta dall’articolo 7 della legge n. 251/2005, nella parte in cui non prevedono che i benefici in essi indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, ai condannati che, prima dell’entrata in vigore della disciplina più restrittiva, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato alle misure richieste.

 

Che fare per evitare il ritorno alla situazione carceraria di invivibilità preindulto?

La prevedibilità di un nuovo fenomeno di sovraffollamento carcerario induce a soffermarsi su alcune considerazioni riguardanti uno degli aspetti relativi all’emanazione del provvedimento che ha suscitato le maggiori perplessità in gran parte dei commentatori. Ci si riferisce al fatto che il provvedimento di indulto non è stato accompagnato dalla programmazione di articolati interventi volti al sostegno e all’accoglienza dei soggetti dimittendi. Con ciò non si vuole trascurare la pluralità di interventi adottati dagli enti locali, dal privato sociale e dal volontariato per l’accoglienza delle persone dimesse. Si intende piuttosto sottolineare come tali interventi non siano stati il frutto di un’attività coordinata, consapevole delle caratteristiche delle persone dimesse e delle problematiche che avrebbero affrontato al momento dell’uscita, quanto piuttosto il risultato di sforzi di singoli o di realtà locali che hanno affrontato l’emergenza sulla base di diverse sensibilità e mezzi a disposizione. Inoltre, la maggioranza di tali interventi ha preso forma nelle settimane – quando non mesi – successive all’entrata in vigore del provvedimento.

l fatto è – purtroppo – che chi è stato in carcere ha meno timore di tornarci e nel contempo il carcere non mantiene le sue promesse rieducative. Bisogna quindi rendere sempre più efficace il sistema delle misure alternative – compatibilmente con le esigenze giudiziarie – nell’ottica di un futuro reinserimento sociale, raggiungendo l’obiettivo con il contributo determinante, ai fini dell’esito positivo della misura, della presenza di una rete di rapporti sociali di supporto. Così come bisogna attuare concretamente il regolamento 230/2000, in particolare per quel che concerne l’adeguamento degli edifici penitenziari, il principio di territorialità della pena e lo sviluppo del cosiddetto “circuito differenziato”. Infatti, prima dell’indulto, il numero dei detenuti per 100 mila abitanti – 96 nel 2004 – in Italia era in linea con i paesi europei, se non più basso.

 

C’è qualcosa che vuole comunicare ai nostri lettori’

Nonostante le difficoltà strettamente connesse ai sistemi di esecuzione delle pene – in Italia come nel resto del mondo – va evidenziato il grande sforzo in termini legislativi, progettuali e di risorse umane – meno entusiasmante invece il tema dell’impiego di adeguate risorse finanziarie nell’ambito della Giustizia – che, in particolar modo, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria profonde negli ultimi anni non solo per ciò che attiene il trattamento del detenuto intra moenia ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il graduale reinserimento sociale e lavorativo dell’ex-detenuto. In tutta Italia – e con alacre dinamismo situazionale anche in Calabria – l’Amministrazione penitenziaria lavora al fine di assimilare sempre più la problematica penitenziaria alle tante problematiche di ordine sociale che riguardano l’amministrazione pubblica e, in particolare, l’amministrazione locale (Comune-Provincia-Regione).

Nel nuovo quadro normativo di riferimento, caratterizzato soprattutto dall’ampliamento dei cosiddetti “poteri sussidiari” a seguito della riforma del Titolo V della Carta Costituzionale – gli enti locali assumono un ruolo ed una funzione sempre più determinante per la risoluzione dei problemi dei cittadini e per l’erogazione di servizi sociali – endemicamente – in continua sperimentazione. La figura – nuova – del Garante dei diritti dei detenuti può e deve svolgere una funzione di “ponte naturale” fra le istituzioni pubbliche e la società civile, pur tuttavia restando al detenuto il “pallino” della scelta di imboccare la via del cambiamento.

 

 

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