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Intervista a Nello Cesari, provveditore del Dap per l’Emilia Romagna Dal carcere progetto per riduzione consumi e uso di fonti rinnovabili In Emilia Romagna, con la collaborazione di diversi enti regionali, è attivo il progetto “Raee in carcere”. Un’iniziativa a tutela dell’ambiente che vuole offrire una opportunità di lavoro e di reinserimento per i detenuti
(Realizzata nel mese di settembre 2009)
intervista di Vanni Lonardi
Il carcere che lavora alla riduzione dei consumi e all’uso di fonti rinnovabili, fornendo anche risposte ai bisogni dei consumatori: succede in Emilia Romagna, con un progetto davvero innovativo, di cui abbiamo parlato con il Provveditore Regionale, Nello Cesari.
Come è nato questo progetto e chi ha coinvolto? Il progetto “Raee in carcere” nasce dall’iniziativa comunitaria “Equal Pegaso, processi plurali di rete per l’inclusione dei detenuti” (approvata con delibera comunitaria del maggio 2005 dalla Giunta della Regione Emilia Romagna) promossa da una partnership di 9 enti: Techne, Enaip Ferrara, Cefal Bologna, Provincia Forlì Cesena, Comune di Bologna, Comune di Ferrara, Università di Bologna, associazione Nuovamente, Enaip Emilia Romagna. L’iniziativa aveva l’obiettivo di operare per la crescita della “condizione di cittadinanza” dei detenuti, della opportunità di accesso al lavoro e per l’emancipazione dal contesto delinquenziale. Con la piena collaborazione del Gruppo Hera e dell’Amministrazione Penitenziaria regionale, Pegaso ha avviato studi di fattibilità per creare nuove opportunità di lavoro stabili per persone fortemente svantaggiate (in questo caso i detenuti) mediante la creazione di laboratori produttivi all’interno e all’esterno delle carceri, in particolare all’interno degli istituti di Bologna, Ferrara e, in sede esterna, con l’istituto di Forlì e gli uffici penitenziari competenti sull’esterno. Gli studi hanno convinto i partner a promuovere un intervento orientato al trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche – i Raee, appunto – anche al fine di favorire il riciclo e le altre forme di recupero, con conseguente riduzione dell’impatto ambientale nella loro gestione, e il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge. La collaborazione fattiva tra la cooperazione sociale e gli enti di formazione ha consentito infine di mettere a punto un progetto interprovinciale che comprendesse lo sviluppo di vere e proprie attività produttive di trattamento Raee nelle carceri a favore dei detenuti ospiti e, se all’esterno, con l’impego di manodopera “in esecuzione penale”.
Come funzionano esattamente il trattamento e la bonifica dei materiali? Del funzionamento del trattamento e della bonifica del materiale previsto dai vari accordi definiti presso ciascuna direzione degli istituti penitenziari di Bologna Forlì e Ferrara rispondono per competenza le cooperative che gestiscono l’attività presso ciascun territorio.
Da chi è coordinata la formazione professionale? La formazione professionale è stata mirata e realizzata con le aziende affiliate ai Consorzi che hanno preso parte al progetto.
Da chi pensate di ricevere le commesse? Dal 2008 va ricordato l’ingresso sullo scenario italiano Raee dei Consorzi di Produttori AEE, i quali sono necessariamente interlocutori positivi del progetto. A questo fine, la partnership ha coinvolto i referenti dei Consorzi più attivi sui territori, Ecodom e Ecolight, raccogliendo dagli stessi il sostegno al progetto e l’impegno alla collaborazione attiva, anche economica, sulle iniziative programmate.
Quante persone detenute potranno essere impegnate? “Detenute” è un termine parziale perché nel progetto possono essere inseriti anche soggetti in esecuzione penale non reclusi in carcere. In fase iniziale il numero di condannati impegnati nel progetto è di circa 10 unità per tutti e tre i laboratori, in futuro non si esclude l’ampliamento.
Chi impara il lavoro potrà avere qualche possibilità anche una volta terminata la pena? Già attualmente nel territorio di Forlì è previsto un laboratorio esterno all’istituto, pertanto l’attività risulta già inserita nel contesto sociale. Per i territori di Ferrara e Bologna la progettualità potrà prevedere altre opportunità di crescita.
Quali sono state le eventuali difficoltà incontrate e come intervenite? La natura dei rifiuti da trattare, ad esempio Pc e telefonini, poteva prestarsi, come è avvenuto in un caso, ad un loro improprio utilizzo con ripercussioni negative sulla vigilanza, che si preoccupa essenzialmente per la sicurezza. Nel rispetto degli impegni assunti, dal 2009 è stata istituita una Cabina regionale di monitoraggio del progetto – alla quale partecipano tra gli altri, il Provveditorato Regionale dell’amministrazione Penitenziaria dell’Emilia Romagna e i rappresentanti dei tre Assessorati regionali: Ambiente e sviluppo sostenibile; Scuola formazione professionale Università lavoro; Promozione politiche sociali e educative per l’infanzia e l’adolescenza, Politiche per l’immigrazione, Sviluppo del volontariato, associazionismo, Terzo settore – che ha finalità di “patronage” del progetto, complessivo e sui singoli territori. Lo sostiene in ogni sede idonea, istituzionale e privata, per favorire e promuovere l’avvio, la sostenibilità, la continuità, la visibilità e la valorizzazione sociale. A questi fini, la Cabina si attiva per condividere le verifiche delle attività in corso, per valutare e orientare gli interventi, per individuare le migliori soluzioni di percorso.
Il progetto potrebbe essere espandibile anche ad altre realtà? Il progetto, partito con Ferrara, Bologna e Forlì perché istituti coinvolti nel progetto Equal Pegaso, potrebbe essere riproposto in altri istituti, e potenziato negli stessi in cui si realizza. Si conta di realizzare un apposito prefabbricato all’interno delle aree verdi rimaste nel complesso penitenziario bolognese per elevare il numero dei detenuti addirittura di una decina di unità. Il valore pedagogico, oltreché trattamentale dell’iniziativa, è infatti rilevante.
Vuole aggiungere qualcosa che desidera comunicare ai nostri lettori? La particolare sensibilità delle istituzioni esterne al carcere, che si dimostrano con la pluralità dei soggetti coinvolti, è una prima risposta positiva delle stesse comunità bolognesi, ferraresi e forlivesi, ovviamente in una fase di crisi occupazionale e di tensioni sociali connesse alla crisi occupazionale, che non facilitano certo il loro sviluppo. Auspico da parte di tutte le istituzioni e della stessa società civile una maggior comprensione per le problematiche dell’esecuzione penale, che oggi sono più complesse di ieri, compreso il reperimento delle opportunità occupazionali di cui il presente progetto costituisce una prima, seppur non esaustiva, risposta.
L’assessore all’Ambiente della Regione Emilia Romagna, Lino Zanichelli, ci spiega il progetto
In questo progetto abbiamo due componenti. Da un lato quella sociale, che consiste nel dare un’opportunità a persone che devono partecipare a progetti di recupero, quindi non solo detenuti, e dall’altro c’è l’aspetto ambientale, che è quello di recuperare rifiuti che provengono dalle attività elettroniche e elettriche. Quindi una doppia funzione: quella di reinserire persone e quella di fare politica ambientale. Tenete conto che a partire dal 2005, con il decreto di recepimento della direttiva europea sui cosiddetti Raee, una strategia era quella di raccogliere i rifiuti provenienti da elettrodomestici, elettronica e quant’altro – tant’è che i cittadini pagano una quota quando acquistano un elettrodomestico. Quota che viene assorbita dai costruttori che hanno l’obbligo, attraverso consorzi volontari, di prelevare questo materiale, separarlo nelle diverse componenti che poi vengono re-immessi nei circuiti del recupero e del riciclaggio. Nel 2007 abbiamo raccolto pro capite circa 3 chilogrammi di rifiuti Raee, nel 2008 circa 4, e su scala nazionale siamo all’avanguardia, ma se guardiamo all’Europa, i cui cittadini in alcuni paesi arrivano a 10-15 chilogrammi pro capite, siamo ancora molto indietro. C’è un’enorme potenzialità di recupero di materiali di questo genere perché enorme è la quantità di tale materiale che viene consumato. Attraverso le operazioni di bonifica e smontaggio ogni anno recuperiamo circa 1000 tonnellate – circa 13.000 lavatrici e lavastoviglie – di materie prime e questo comporta un risparmio di 2 milioni di chilowatt/ore di energia elettrica, il riciclo di più di 660.000 chilogrammi di ferro, 10.000 chilogrammi di rame, 5000 chilogrammi di alluminio, 25.000 chilogrammi di plastica. C’è l’aspetto ambientale da una parte, che è quello di mia stretta competenza, e dall’altra c’è l’aspetto formativo: le persone detenute che lavorano in questo progetto fanno, prima di iniziare l’attività, un corso di formazione che permette loro di acquisire delle conoscenze utili e necessarie allo svolgimento del lavoro. Conoscenze che un domani sono spendibili sul mercato del lavoro. Fino ad ora l’iniziativa non è stata oggetto di critiche, anzi abbiamo trovato un certo interesse rispetto alla media delle iniziative ambientali, per le quali ci vuole il disastro ambientale prima che la pubblica opinione se ne interessi, e forse ha giocato a nostro favore la serietà di questo progetto, nel quale la Regione si è impegnata non solo sul versante ambientale, ma anche in quello sociale: se infatti faccio fare una cosa ai detenuti, e poi questo materiale separato finisce in qualche magazzino non abbiamo raggiunto tutti gli scopi: quello sociale magari sì, ma quello ambientale legato a quello economico no, e noi invece abbiamo tenacemente perseguito entrambi gli obiettivi. L’assenza di polemiche, l’accettazione del progetto da parte della società e il coinvolgimento di grosse istituzioni testimonia che, almeno dalle nostre parti, la questione delle carceri, non solo per i progetti ambientali ma anche rispetto ad altre tematiche sociali, culturali, di relazione con il territorio, sono viste come un problema in cui è necessaria una strategia preventiva e non solo una strategia di isolamento del male che va rinchiuso in un ambiente isolato dal resto del mondo. Io ho sempre pensato che sviluppo sostenibile significa tenere in sintonia l’economia, la società e l’ambiente. Se uno di questi tre pilastri si indebolisce, rischiano di indebolirsi anche gli altri. Se l’ambiente si deteriora anche l’economia si indebolisce notevolmente. Pensiamo solo al disastro di quest’estate ad Atene e al costo economico che tale disastro avrà. Lo stesso discorso vale per la società: se una società si indebolisce troppo frammentandosi, dividendosi, impaurendosi ognuno diviene più egoista, viene a mancare la solidarietà e anche la voglia e la capacità di rischiare per fare impresa. E questo è un danno per tutti. Per concludere, vorremmo che queste iniziative, come un po’ tutte le cose che tentiamo di fare noi, non fossero spot pubblicitari, ma iniziative che da un lato hanno una loro base di sostenibilità e quindi funzionino nel tempo e si radichino, e dall’altro devono rientrare in una visione complessiva che vede il carcere come un momento necessario ma compreso all’interno di una strategia più complessiva della società. Altrimenti si costituiscono problemi che rendono non più forte ma più debole anche la società.
Luigi Castagna, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Hera Bologna S.r.l., racconta il ruolo della sua azienda nel progetto
Come azienda abbiamo un ruolo di questo tipo: nelle nostre stazioni ecologiche riceviamo dei materiali elettrici e elettronici. Questi materiali vengono trasferiti nel laboratorio allestito dentro il carcere, dove è stato attrezzato un apposito locale. I materiali vengono smontati nelle componenti fondamentali – materiale ferroso, materiale plastico, schede elettroniche – e selezionati per tipologia. Ognuna di queste tipologie prende uno sbocco di recupero – la plastica nei consorzi plastica, il ferro in fonderia… Il nostro compito è raccogliere i rifiuti elettrici e elettronici, trasportarli al carcere e quindi trasportare i materiali di recupero verso le loro destinazioni. In ogni laboratorio si parte con un minimo di 4 o 5 persone detenute, però questo numero potrebbe essere ampliato, inoltre penso che ci possano essere delle buone possibilità di sviluppo, e le persone che imparano questo mestiere potranno accreditarsi presso aziende che già svolgono questa attività. Come in ogni lavoro, di difficoltà ce ne sono sempre, ma con l’impegno i problemi si risolvono. Certo le difficoltà non sono sempre facilmente comprensibili, visto che il progetto coinvolge più soggetti, e poi ci sono aspetti logistici ed autorizzativi: siamo in una istituzione, quella penitenziaria, che ha regole particolari di accesso. Insomma credo che abbiamo le stesse difficoltà che incontrano quelli che provano a portare attività lavorative in carcere. Non so quale livello di profondità abbia raggiunto l’informazione su queste attività. Noi abbiamo fatto una conferenza stampa per illustrare il progetto, ma non credo che un articolo sul giornale abbia lasciato grandi tracce. Credo che le reazioni siano positive per delle ragioni evidentissime: dare un lavoro, una professionalità, facilitare il reinserimento, migliorare le condizioni di sopportabilità del carcere, risponde agli obiettivi dettati dalla Costituzione all’articolo 27, e cioè che il carcere deve tendere alla rieducazione. Il lavoro in carcere è importante per la dignità, anche perché, come dice il sociologo Zygmunt Bauman, le carceri, come i campi profughi, sono un po’ delle discariche umane, e dare dignità a persone che sono in queste condizioni credo sia giusto. L’idea di fare iniziative che abbiano il principio fondamentale del recupero della persona che è stata segregata mi sembra condiviso dalla maggioranza delle persone. Per quanto ci riguarda noi siamo un pezzetto di questo progetto. Noi il nostro pezzetto lo faremo.
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