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Una volta li chiamavano topi di biblioteca… ma i tempi sono cambiati
(Realizzata nel mese di maggio 2001)
A cura di Omar Ben Alì
Per catalogare libri e documenti, oggi bisogna diventare operatori informatici e lavorare in rete: in questo modo anche le biblioteche delle carceri potrebbero finalmente essere organizzate meglio
Di mestieri ne ho provati tanti ma di sicuro non mi sarei aspettato, mai e poi mai, di ritrovarmi con una qualifica di catalogatore bibliotecario. Se, oltre tutto, mi avessero detto che la professione l’avrei imparata in carcere… beh, mi sarei fatto certamente una grossa risata! Invece è successo proprio questo: quando Rossella, l’insegnante responsabile del Gruppo Rassegna Stampa, è arrivata in redazione a raccogliere le iscrizioni per il corso di formazione, l’orgoglio dell’ex studente modello mi ha spinto a cogliere l’occasione al volo. Così ho iniziato a frequentare le lezioni, imparando per prima cosa ad usare il software Winiride, che è il programma più diffuso per la catalogazione dei libri. Nella seconda parte del corso ho fatto un po’ di pratica, cominciando un progetto per riordinare i libri della biblioteca dell’istituto ed anche i fascicoli della Rassegna Stampa. L’esperienza non è consistita, però, solo nell’apprendere delle competenze tecniche, ma mi ha avvicinato ad un mondo, quello delle biblioteche e delle persone che ci lavorano, che prima era per me del tutto sconosciuto. Alla fine del corso mi è sorta la curiosità di chiedere agli insegnanti che impressioni hanno avuto realizzando, all’interno del carcere, un progetto di questo tipo, e ho quindi intervistato Marina Bolletti, bibliotecaria al Liceo Cornaro, e Marisa Trigari, della Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze.
Come è nata l’idea di realizzare un corso di catalogazione all’interno del carcere? Marina: Da circa un anno e mezzo tengo lezioni di catalogazione in carcere: sto lavorando con un gruppo all’interno del Centro di Documentazione, e abbiamo cominciato facendo il catalogo delle Rassegne Stampa. Il lavoro è molto interessante, ma abbastanza difficile, perché abbiamo previsto di rendere visibili le varie Rassegne non solo a partire dai loro titoli, ma anche dai loro contenuti specifici. Alla fine del primo anno, a me e a qualcun altro è venuto in mente che si sarebbe potuto allargare il discorso anche al catalogo della biblioteca: ma per questo occorreva formare un gruppo più vasto. Nel frattempo, il Provveditorato di Padova, che stava organizzando un corso per docenti bibliotecari scolastici, ha proposto di tenere il corso anche all’interno del carcere. Così è partita l’iniziativa. Marisa: A me è stata chiesta invece la partecipazione al corso come docente per una piccola parte e ho accettato volentieri: era una buona occasione di fare qualcosa nel campo della formazione degli adulti in una situazione non particolarmente favorevole e dove quindi i bisogni erano maggiori.
Come si è articolato il corso e quale preparazione specifica ha richiesto ai docenti? Marina: Il corso si è articolato in 11 lezioni, di cui la prima, introduttiva, tenuta da me, seguita da tre lezioni di Antonio Zanon, del sistema bibliotecario di Abano Terme, una lezione di Marisa Trigari e poi altre sei lezioni/esercitazioni pratiche tenute da me. In queste ultime abbiamo cominciato a lavorare sui libri della biblioteca. Marisa: La mia era soltanto un’unità in un tempo limitato e non ha potuto prescindere da un’impostazione piuttosto cattedratica, anche se poi c’è stato un dibattito. Un tempo maggiore avrebbe consentito una modalità di laboratorio, che considero più produttiva. Ho cercato di utilizzare materiali esemplificativi e di esercizio attinenti agli interessi prevalenti degli interlocutori. Dal punto di vista didattico, il corso richiedeva le capacità che richiede qualsiasi corso di formazione di adulti con diverse storie di vita e diversi background culturali, una situazione che si ritrova anche fuori dal carcere. È un terreno stimolante di confronto, che impegna allo stesso modo docenti e allievi.
Pensate sia possibile rendere più efficiente anche il servizio di biblioteca all’interno del carcere, grazie alle competenze trasmesse con il corso? Marina: Penso che la formulazione di un catalogo ben fatto sarebbe molto importante per la biblioteca, per poter scegliere all’interno delle risorse che ci sono già: ma per essere veramente un servizio importante, la biblioteca dovrebbe essere anche dotata di diverse strutture, e soprattutto utilizzabile dai detenuti con modalità di accesso diverse. Marisa: Un’organizzazione intelligente e standardizzata delle risorse librarie e non librarie del carcere non potrà che favorire la distribuzione e l’accesso alle risorse stesse. A questo fine sarà particolarmente importante, a mio parere, oltre alla catalogazione descrittiva, l’indicizzazione per soggetto e l’abstract (= brevissima sintesi del contenuto di un libro) o una piccola nota di contenuto. Su questa base si potranno costruire periodici fogli informativi a tema da far circolare fra tutti (che cosa potete trovare sul tal tema giuridico-legislativo, che cosa sul tema sociale, o psicologico, o storico... quale narrativa sul tema x, quale sul tema y... che cosa c’è per imparare la tal lingua etc. etc.).
Il programma di studio prestabilito ha dovuto essere adattato alle condizioni particolari che avete incontrato entrando in carcere? Marina: Non mi sono mai sentita molto vincolata nel mio lavoro. Ma un po’ di problemi esistono, in relazione, per esempio, alla mancanza di un computer in biblioteca, alla necessità di un po’ di bibliografia specifica per la catalogazione, e a un po’ di… turn over degli addetti. Per fare un buon lavoro bisogna insistere sulla continuità dell’impegno. Marisa: Organizzare un laboratorio non è stato possibile, come non è stato possibile l’uso di nuove tecnologie. Ma per me conta di più il rapporto con le persone, e quelle che c’erano erano interessate e partecipi, direi addirittura con una tensione in più rispetto a potenziali interlocutori esterni. Ho cercato di interpretare i loro bisogni di conoscenza, come avrei dovuto fare con qualsiasi interlocutore.
Secondo voi, dall’interno del carcere è possibile offrire un servizio di catalogazione a degli utenti esterni, per esempio alle biblioteche scolastiche, comunali, etc.? Marina: Sì, secondo me questo non solo è possibile, ma certamente si potrebbe fare con una certa facilità, una volta che siano acquisite competenze di un certo spessore. Questa idea è anche una parte fondamentale del nostro progetto per il prossimo anno. Vorrei quindi organizzare un secondo corso. Marisa: Penso che sia possibile. Consiglierei di preparare e diffondere una specie di port-folio, un fascicoletto con degli esempi di che cosa potreste offrire, dopo una preventiva analisi dei bisogni sul territorio. Un campo interessante, per scuole ed enti locali, è quello delle Rassegne Stampa e dell’indicizzazione delle riviste.
La qualifica di catalogatore bibliotecario offre, ai detenuti che l’hanno conseguita, concrete possibilità di occupazione all’uscita dal carcere? Marina: Penso di sì, anche se certamente bisognerebbe lavorarci su con una certa continuità. Marisa: Penso che l’orientamento potrebbe essere quello di costituire cooperative di servizi, cominciando sin da ora ad esplorare il mercato potenziale. Molte scuole, per esempio, hanno patrimoni non catalogati che non possono essere affidati alla gestione corrente e che potrebbero costituire "affidamenti" interessanti. Di fatto, si stanno già rivolgendo a cooperative di tecnici bibliotecari.
Ci potete raccontare un’impressione particolare sulla vostra esperienza d’insegnamento in carcere? Marina: Mi hanno molto colpito l’attenzione di tutti e la passione con cui venivano fatte le domande. Mi ha anche colpito l’intelligenza di tutti nel cogliere gli aspetti più difficili e interessanti del lavoro. Non mi era capitato di trovare in altri corsisti, al di fuori del carcere, tanta passione per un lavoro, che spesso è considerato difficile e noioso. Credo che i corsisti abbiano accettato di aderire all’idea che avevo proposto all’inizio, nella prima lezione. La catalogazione, dicevo allora, è un lavoro "alto": imparare a catalogare significa infatti dare un senso a un insieme di documenti, inquadrandoli in un ordine significativo, quindi accrescerne il valore per la comunità degli utenti. Mi interessa molto vedere come andrà a finire tutto questo! Marisa: Il rapporto sproporzionato tra i tempi di ingresso in carcere e di uscita e quelli effettivi di lavoro, insieme alla percezione del meccanismo onnipresente e ripetitivo del controllo, sono stati gli aspetti più frustranti dell’esperienza, anche se l’avevo previsto. Però mi ha impressionato il fatto di avere ritrovato intatto il piacere dell’insegnare/imparare anche in questi "ristretti orizzonti". Nella limitatezza della mia esperienza, mi è sembrato che abbiamo fatto insieme un buon lavoro, con persone interessanti, in un clima di reciproca attenzione ed interesse, e mi è venuto di pensare che i cervelli che lavorano per imparare, e imparano per poi poter fare, non hanno mai "ristretti orizzonti", e non stanno al di qua o aldilà di un muro.
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