Attenti al libro

 

La sorgente dalle pietre rosse

 

Recensione a cura di Stefano Bentivogli

 

È una storia piccola quella che Annino Mele dipinge nella “Sorgente dalle pietre rosse”, piccola come è piccolo il suo mondo di giovane pastore. Un mondo fatto di poche persone, degli animali, degli oggetti e delle piante che la terra sarda ospita e battezza con nomi suoi.

Per Annino questo è uno di quei momenti in cui le cose, i fatti, le persone, riempiono di significati la vita. È la scuola vera di Annino, i suoi amici ed i suoi maestri, che non sono quelli scolastici ma quelli di vita, quelli ai quali ti affidi per capire come affrontare il mondo che ti si rivela davanti ogni giorno. Un viaggio intimo nella conoscenza di cosa e di chi ci circonda, condotto attraverso l’esperienza. L’intimità del raccontare gli incontri con il mondo esterno e con quello interiore trasforma delle apparenti ovvietà in indispensabili ed elementari gocce di saggezza.

Questo mondo è dipinto, sullo sfondo della Sardegna dell’autore, senza l’ossessione del giudizio sulle cose e sulle persone.

Il racconto di un’esperienza come quella narrata nel libro non ha pretese, non vuole spiegare niente, anzi richiede l’umiltà di chi legge, una dote rara in tanti lettori sempre alla ricerca di significati e verità profonde. È solo un invito a rifare insieme un viaggio importante, dove è necessario ritornare con lo spirito e la curiosità di un bimbo, essere per un po’ come era Annino nell’affrontare il mitico viaggio nel Supramonte.

Sullo sfondo il carcere, i latitanti, i furti di bestiame, le faide, che con gli occhi di Annino diventano storie di uomini, sentimenti, umanità, tanto di ben diverso da quanto siamo abituati ad avere dall’informazione.

Questo non cambia niente della dura realtà di questa terra, se non che si popola di un’umanità che siamo troppo abituati a dimenticare, forse perché non riusciamo più a guardare con gli occhi liberi e curiosi di un bambino che, pur piccolo, si confronta subito con la cruda realtà di un mondo che lo vuole predestinato ad un futuro che è difficile da cambiare.

Annino sta scontando l’ergastolo, ma non è di ergastolo che si racconta in questo libro. Credo però che il suo lanciare questo racconto fuori dalle sbarre della galera abbia maggior potenza di qualsiasi discorso intellettuale. Questo perché ci allontana da inutili e strumentali discussioni sulla durezza o l’entità delle pene da scontare, e ci riavvicina invece alle persone con le quali abbiamo a che fare, ai loro sentimenti di bambini e poi di uomini, alla loro storia, che non si chiude solo con il loro arresto e la loro condanna. Ma resta nella logica di un legame che ci unisce tutti in una vita di ricerca comune di senso, dalla quale nessuno dovrebbe essere mai lasciato fuori. Una persona non dovrebbe mai, in nessun modo, essere trasformata in un simbolo che serva a dimostrare a tutti… non si sa poi che cosa. Tanto meno in nome della sacralità della vita umana.

 

Annino Mele ha 56 anni. La sorgente dalle pietre rosse, Edizioni Sensibili alle foglie, è un libro autobiografico che narra della sua adolescenza in Sardegna. Ha pubblicato per la GIA Editrice nel 1996 Il passo del disprezzo e, per Sensibili alle foglie, nel 2001 Sos cammino della differenza; nel 2005, Mai. L’ergastolo nella vita quotidiana.

 

 

Detenuti incontrano gli studenti delle scuole medie inferiori

Ve lo spieghiamo noi, il progetto…

“Se sbagli… ti cancello” è un libro che mette a confronto i ragazzi delle terze medie con i detenuti in un percorso di confronto sui comportamenti a rischio delle giovani generazioni

 

“Se sbagli… ti cancello” è il titolo di un nuovo libro di “Ristretti Orizzonti”, che riporta le testimonianze di detenuti e di insegnanti, genitori, studenti delle scuole medie inferiori, che si sono “appassionati” al progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”. E usiamo il verbo “appassionarsi”, perché ogni volta che leggiamo le riflessioni degli studenti su questo percorso di avvicinamento tra scuole e carcere, restiamo sbalorditi dalla capacità di ragazzi giovanissimi, tredicenni e quattordicenni, di cogliere gli aspetti più stimolanti e il senso più profondo del progetto.

Quelle che seguono sono le loro riflessioni, che appaiono davvero più efficaci di qualsiasi spiegazione dettagliata dell’iniziativa, e poi le impressioni di detenuti, insegnanti, genitori, perché questa è stata davvero un’esperienza “corale” (realizzata dalla redazione di “Ristretti Orizzonti” e dai Servizi sociali del Comune di Padova in collaborazione con i Servizi scolastici del Comune e il Centro di Servizio per il Volontariato della Provincia di Padova).

 

“Vorrei vedere con i miei occhi e sentire con le mie orecchie per scoprire la verità e non dare per certe tutte le “balle” che dice la televisione”. (Giulia, scuola media Don Minzoni)

 

“Io non sono brillante in niente, anzi sono manesca e a volte prepotente, ma ora mi tratterrò, perché grazie ai vostri discorsi, che hanno avuto più effetto di quelli della mamma, ho capito finalmente che è sbagliato. Quindi voi avete fatto un doppio lavoro: oltre a prevenire i comportamenti a rischio, ci avete dato anche conoscenze che senza di voi non avremmo mai saputo, che neanche i nostri genitori sanno. Per questo io credo che il progetto deve continuare e magari espandersi in altre zone dell’Italia o degli altri Stati”. (Marta, scuola media Petrarca)

 

“Ritengo che questa sia un’esperienza da far condividere ad altri ragazzi della nostra età, perché ci fa crescere e anche capire che al mondo non esistiamo solo noi, persone cosiddette “normali”, e che i nostri problemi sono davvero minimi rispetto a quelli che molte altre persone devono risolvere e per i quali il più delle volte non c’è una soluzione”. (Aguilar, scuola media Levi Civita di Camin)

 

“È stata proprio un’esperienza unica, non ci capiterà altre volte di trovarci faccia a faccia con queste persone. Ho capito che prima di compiere qualsiasi azione bisogna pensarci più volte. La vita è un dono prezioso, bisogna viverla al meglio anche perché, purtroppo, abbiamo solo una possibilità”.

(Laura, scuola media Levi Civita)

 

“Penso che aderire a questo progetto sia stato utile e, ad essere sincero, all’inizio provavo un senso di disprezzo verso il carcere e chi ci stava dentro, ma adesso, riflettendoci, ho scoperto quanto è facile commettere un errore, che ti può stravolgere la vita e portarti un rimorso molto pesante per sempre”. (Edoardo, scuola media Levi Civita)

 

“Tra tutte le proposte che mi ha fatto la scuola questa è stata l’unica che mi ha coinvolto completamente, in cui ho ascoltato con attenzione dall’inizio alla fine.

È stata un’esperienza unica che secondo me ci ha fatto crescere, rendere più maturi verso tutte le problematiche del mondo, non solo quelle concernenti la legalità”. (Davide, scuola media Levi Civita)

 

“La professoressa ci ha letto in classe una lettera scritta, dopo l’incontro, da un detenuto: a loro è sembrato di fare nuovamente parte di una società, dialogando con noi ragazzi. Ora io voglio rispondere loro dicendo che il nostro incontro è stato per me un privilegio, raro e molto significativo, che solo pochi studenti hanno la fortuna di provare: noi ragazzi abbiamo aiutato degli adulti! Sembra impossibile, il nostro scopo era conoscere una realtà, diversa da quella a cui apparteniamo, eppure siamo riusciti, lavorando assieme, a creare una dimensione nuova, nella quale ogni uomo, giovane o adulto che sia, ha il diritto di essere considerato umano, indipendentemente dal suo passato”. (Martina, scuola media Falconetto)

 

 

Ogni volta ci viene posta la fatidica domanda: “Ma tu perché sei dentro?”

 

di Graziano Scialpi

 

Andare a parlare nelle scuole, con ragazzi giovani, è sempre estremamente difficile e faticoso. Purtroppo non è possibile (come un po’ speravamo all’inizio del progetto, ormai quattro anni fa) presentarsi in una classe e spiegare asetticamente come funziona il carcere, quasi fossimo dei semplici “esperti della materia”. Ogni volta ci viene posta la fatidica domanda: “Ma tu perché sei dentro?”. E forse è naturale e giusto che sia così, che i ragazzi vogliano sapere chi hanno di fronte. A tal punto che ormai stiamo pensando di dirlo subito noi, all’inizio dell’incontro, senza aspettare che ci venga chiesto. Senza costringere i ragazzi a esporsi in quella che potrebbe apparire una curiosità morbosa.

Ma quanto è difficile… come è faticoso cercare le parole giuste per raccontare le nostre storie senza far sembrare che vogliamo trovare una giustificazione ai nostri comportamenti. Ogni volta è una sofferenza: cosa gli dico? Come glielo racconto? Riuscirò a far comprendere quello che voglio dire? Riuscirò a raccontarlo senza far apparire che voglio giustificarmi?

Una comunità capace di ascoltare e accogliere

 

di Agnese Solero

 

Insegno in una terza media, ai genitori ho scelto di presentare il progetto partendo dall’idea che sarebbe stato più vantaggioso per i ragazzi avvicinarsi al problema della delinquenza affiancati da un adulto responsabile, piuttosto che da soli. Per dirla in parole povere: “Caro genitore, dal momento che si dice che il quartiere (e la città) sia pieno di delinquenti e di bulli appena più grandi se non coetanei di suo figlio, è meglio guardare in faccia il problema, parlarne assieme piuttosto che incontrarlo dietro l’angolo quando meno te lo aspetti”. Questo è stato l’inizio.

Il passaggio successivo, difficile ma inevitabile, è stato: abbiamo bisogno di conoscere il mondo del carcere perché potrebbe capitare anche a noi. E abbiamo bisogno di farlo insieme,
adulti e ragazzi, professori, genitori, alunni, perché lo sguardo sia quello disteso di una comunità capace di ascoltare e accogliere e non dell’individuo singolo che volta le spalle e si rifiuta di sapere.

La sfida è stata vinta, il premio è stato molto alto: con i ragazzi della mia terza media ho fatto un percorso di conoscenza che difficilmente dimenticherò perché è stato anche mio. Non solo calato
dall’alto, ma vissuto insieme. Una volta ancora, conoscere le vite degli altri, senza pregiudizi, senza spiarle dal buco della serratura è la chiave per vincere la paura, la diffidenza, il disprezzo.

Un’opportunità di riflessione comune tra genitori e figli

 

di Ilaria Bisaglia

 

Sono madre di Giulia, una quattordicenne che con la sua classe (terza media Scuola Falconetto) ha partecipato a questo progetto. L’esperienza ha avuto un effetto dirompente non solo nella nostra famiglia – dove di carcere si parla abbastanza quotidianamente, vista la mia professione di assistente sociale – ma soprattutto è stata un’esperienza molto coinvolgente per alunni, insegnanti e genitori. È stato interessante vedere come stereotipi e paure siano stati affrontati nel corso di incontri spontanei tra i genitori, non senza qualche preoccupazione da parte di chi vedeva i propri figli a contatto con tematiche importanti, che di solito difficilmente anche un adulto si trova ad affrontare. Ma forse vale la pena che i nostri ragazzi sappiano che possiamo sbagliare tutti e che dunque non esistono mostri che vivono in mondi fantastici e che ad un certo punto si svegliano e commettono un reato, ma che l’errore può essere commesso da tutti in determinate circostanze della vita, per cui anche per un giovane capire questo è estremamente utile per creare e mantenere un equilibrio fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

L’importanza delle scelte responsabili, orientate dai valori che il ragazzo e la sua famiglia considerano fondamentali, è stata sicuramente una riflessione significativa attorno a tanti tavoli durante le cene in famiglia. I confronti scaturiti con i ragazzi hanno rappresentato un’opportunità di riflessione comune tra genitori e figli di fronte a stimoli nuovi e profondi, per niente ovvii, che ci hanno obbligato a superare le eccessive e sbrigative semplificazioni che a volte fanno parte anche dei dialoghi all’interno delle famiglie.

 

Nel prossimo numero di “Ristretti Orizzonti” presenteremo il secondo libro, “La pena raccontata ai ragazzi”, che riporta le testimonianze di detenuti e di insegnanti, genitori, studenti delle scuole medie superiori di Padova e provincia, coinvolti nel progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”

 

 

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