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Un
carcere “a misura di famiglie” di
Ornella Favero, Ristretti Orizzonti
Più
di un detenuto ha detto oggi: è molto più difficile per noi confrontarci con
gli studenti che stare in cella. Ecco, è proprio questo il senso di un carcere
diverso, di un carcere più aperto: un carcere aperto è più faticoso di un
carcere, come tanti vorrebbero, chiuso e lontano dalla società. Perché
l’assunzione di responsabilità a cui ti costringe un carcere più aperto e più
umano è molto diversa rispetto al sentirsi vittime, stesi in branda, chiusi in
cella a non far niente dalla mattina alla sera. Quindi quello che noi stiamo
proponendo non è un regalo per i detenuti, no, anzi forse parliamo di una pena
più faticosa, una pena che passa per la responsabilità invece che per la
deresponsabilizzazione. Per
quel che riguarda invece le nostre proposte per un carcere più umano, “a
misura di famiglie”, vorremmo dialogare con Lucia Castellano, perché alcune
cose a Bollate già si fanno, e noi vorremmo anche che queste diventassero le
proposte di tutte le associazioni di volontariato. Sono
proposte per le quali le persone detenute devono dire: io prima di pensare a me
e ai miei diritti, voglio pensare che ci siano dei diritti soprattutto per la
mia famiglia. Il
primo problema che solleviamo, che è una sorta di “buco nero”, è quello
dei trasferimenti,, guardate c’è un termine che la dice lunga,
“sballamenti”. La persona detenuta è una merce che viene sballata da un
carcere all’altro, se poi sei straniero è ancora più facile che ti succeda
di girare da un carcere all’altro, perché “tanto, non ha una famiglia
qui”, e quindi mandiamolo da un’altra parte senza farci troppi problemi. Allora
noi chiediamo all’Amministrazione penitenziaria più trasparenza sui
trasferimenti, e per esempio che non vengano trasferite le persone che stanno
facendo un percorso di studio o di lavoro, sappiamo che dovrebbe essere così,
ma spesso succede il contrario. I criteri dei trasferimenti dovrebbero essere più
trasparenti, e la persona detenuta dovrebbe in qualche modo sapere perché e
dove finirà. Chiediamo sostanzialmente una umanizzazione di quella che è la
cosa più disumana, appunto lo sballamento della merce-detenuto da un carcere
all’altro. Per
quel che riguarda i colloqui, sei ore al mese di colloquio sono veramente una
miseria, ma come si fa a dire che una persona può mantenere i legami
famigliari, “coltivare” gli affetti, in sei miserabili ore al mese? Sappiamo
che a Bollate molti detenuti fanno otto ore di colloquio al mese. Io credo che
già con questo Ordinamento penitenziario sia possibile dilatare le ore di
colloquio. Una richiesta poi che viene da molti, so che non farà piacere a chi
lavora in carcere però ragioniamoci su, è che anche la domenica sia giorno di
colloquio, perché alcune famiglie veramente hanno grandi difficoltà a venire
in altri giorni. Le
condizioni in cui le famiglie vengono accolte a colloquio poi sono spesso
indecenti: in molte carceri si fanno ore di attesa, ore senza uno spazio
decente, bisogna che almeno vengano costruite delle strutture, dei prefabbricati
con dei servizi, spazi in cui le persone che arrivano, bambini, anziani, possano
aspettare in condizioni dignitose. Oggi
c’è qui la mamma di Elton, è venuta dall’Albania e di solito può fare
solo un po’ di ore di colloquio, mi ha appena detto che, in 13 anni di
detenzione del figlio, oggi per la prima volta ha fatto una cosa cosi
emozionante, che è riuscire a mangiare assieme a lui. In
questo carcere una volta all’anno si organizza la festa del papà, che è
un’occasione per fare dei colloqui diversi. Non potrebbero allora essere
incentivate, aumentate queste occasioni per dare la possibilità ai detenuti di
mangiare con i propri famigliari? Guardate, sembra strano ma il rito del
mangiare insieme è un momento importante, cosa ci vuole per fare questo? io
credo che ci voglia molto poco. Però
ci vogliono delle indicazioni chiare da parte del Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria, perché queste iniziative non devono
essere sempre affidate, come dire?, al buon cuore di un direttore. Noi qui a
Padova abbiamo fatto un incontro in redazione con il direttore della Casa di
reclusione, che su questi temi si è dimostrato molto disponibile, ma perché
queste non devono essere delle indicazioni che riguardano tutte le carceri
italiane? “Umanizzare
le pene” perché oggi nelle galere di umanità ne è rimasta davvero poca Un’altra
cosa che chiediamo oggi, anche questa minima, è che vengano attrezzate delle
aree per dei colloqui più decenti: diamo cioè a queste famiglie, ai bambini,
il modo di vedersi in condizioni cha per lo meno assomiglino a condizioni
normali. Le
telefonate poi: finalmente l’Amministrazione ha recepito la richiesta di
chiamare ai telefoni cellulari, ci sono persone qui dentro che da anni non
parlano con le loro famiglie perché nessuno di loro ha un telefono fisso. Ecco
che una circolare ha introdotto questa straordinaria possibilità. Ma una
telefonata di dieci minuti alla settimana per alcune persone è l’unica forma
di contatto con le famiglie, ci vuole così tanto ad ampliare questa possibilità?
Ci sono un sacco di Paesi in cui si telefona liberamente dal carcere, allora ci
vuole davvero così tanta fatica ad aumentare almeno i tempi delle telefonate?
Se una persona detenuta i minuti che ha per telefonare potesse gestirseli come
vuole, sarebbe già un passo avanti, perché magari uno ha bisogno di chiamare a
casa oggi, e non domani, se ha un figlio che sta male e vuole avere notizie sul
suo stato di salute. Ampliare la durata delle telefonate e permettere di
gestirle in modo un po’ più libero è allora la nostra richiesta. Ultima
questione, i rapporti tra l’Amministrazione penitenziaria e le famiglie. Negli
uffici pubblici oggi c’è un servizio d’informazione che si chiama URP
(Ufficio Relazioni con il Pubblico), non è pensabile allora che
l’Amministrazione capisca che per esempio i famigliari non sono persone che
devono essere punite con il carcere, ma sono delle persone che hanno dei
diritti, fra i quali anche il diritto di avere delle risposte gentili, delle
risposte almeno? Vi
chiediamo allora: istituite qualcosa di simile, fate in modo che i famigliari
possano avere delle notizie e delle risposte e che ci sia una faccia diversa
dell’Amministrazione nei confronti delle famiglie, date modo alle persone che
stanno male e che sono ricoverate, come è successo a Stefano Cucchi, di vedere
i propri famigliari. Oggi
fa quasi impressione parlare di “umanizzazione” delle pene, perché
l’altra faccia di questa frase è che siamo disumani nel trattare le persone,
cioè se chiediamo una umanizzazione è perché ci sono degli aspetti di
gestione di questi problemi che non sono da esseri umani, facciamoli diventare
allora tali. Per
ultima, tiriamo fuori la nostra vecchia proposta di una legge sull’affettività
e sull’intimità che io credo sia fondamentale, una proposta sulla quale il
volontariato ha sempre dimostrato troppa timidezza. È ora invece di smetterla
di aver paura di parole come “colloqui intimi, sesso”, e di dire le cose
come stanno: intimità, sesso, sono momenti fondamentali anche della vita
famigliare, che famiglie si possono salvare se non si permette loro di avere una
qualche forma di vicinanza vera? Ecco
queste sono forse le uniche cose in grado in questo momento di alleviare le
condizioni pesanti del sovraffollamento e i rischi altrettanto pesanti di
suicidi, speriamo che le nostre richieste trovino rapidamente delle risposte da
parte dell’Amministrazione.
È
la legge che ci dice che dobbiamo rinsaldare i rapporti dei detenuti con le loro
famiglie
di
Lucia Castellano, Direttrice del Carcere
di Bollate
Mi
avete “promosso” capo del Dipartimento, in realtà io non posso rispondere
che per la periferia in cui lavoro, per cui mi avete fatto una serie di domande
come se io stessi a Roma e avessi qualche potere decisionale, io purtroppo o per
fortuna sto a Milano e potere decisionale ne ho soltanto nell’ambito della mia
cinta muraria, per cui rispondo di quello che cerchiamo di fare a Bollate. I
problemi che avete posto sono problemi diversificati, perché in alcuni casi
c’è bisogno dell’intervento del legislatore, per cui sicuramente la legge
sull’affettività non c’è in questo momento e quindi aspettiamo altre
competenze che non sono le nostre. Però
anche su questo ci sono altri modi per garantire l’affettività, per esempio i
permessi premio che sono un modo molto più dignitoso se vogliamo, che non
consumare le ore d’intimità all’interno di un carcere. Per altro se si
considerano le condizioni delle nostre carceri mi riesce difficile di
immaginare dei posti deputati ai colloqui intimi. Quello dell’affettività è
un problema veramente molto difficile, perché non riusciamo neanche a garantire
dei colloqui dignitosi, figuriamoci dei colloqui intimi dignitosi, mentre invece
lo strumento del permesso premio esiste, esiste il lavoro all’esterno con
l’allargamento dei suoi spazi, perché il lavoro all’esterno con
l’articolo 21 nella nuova formulazione prevede che si possa stare con le
famiglie per consumare un pranzo assieme o stare a casa propria, per cui diciamo
che è ricompreso il diritto all’affettività. Quindi
possiamo utilizzare moltissimo le norme che già abbiamo, articolo 21 e articolo
30 ter, mi stupisce la persona detenuta che è intervenuta prima, che si trova
da 13 anni in carcere, come è possibile che non abbia ancora ottenuto un
permesso, non so e non voglio sapere i suoi fatti, ma è una cosa strana perché
comunque il permesso dovrebbe essere un modo graduale di riacquistare la libertà.
Anche se auspichiamo sempre che ci sia questa legge sull’affettività, ripeto
che nelle condizioni delle nostre carceri, dove noi non garantiamo i diritti,
non so quale diritto venga prima o venga dopo, ma i diritti più elementari tipo
il diritto all’igiene personale, perché la gente mangia a tre metri da dove
va in bagno, figuriamoci poi il diritto all’affettività, quindi diciamo che
siamo molto, molto indietro come Amministrazione. Sui
trasferimenti invece la legge c’è, quindi la è un problema nostro
amministrativo, perché la legge dice il principio proprio della
territorializzazione della pena, quindi la pena va scontata presso le proprie
famiglie. Conosco le carceri del nord e so che il livello di sovraffollamento è
tale che per garantire la quiete del carcere si sfollano soprattutto gli
stranieri, i quali finiscono spesso in Sardegna, nelle isole in posti dove sono
lontani perché non hanno riferimenti famigliari. C’è
comunque una circolare che vieta i trasferimenti quando si seguono corsi
scolastici, corsi di formazione o attività trattamentali, e qui sta alle
singole aree pedagogiche dell’istituto far valere questo divieto, quindi
mettersi d’accordo molto banalmente tra area pedagogica e matricola per
evitare che la persona che segue corsi di formazione sia trasferita. C’è
questa possibilità e quindi su questo basta semplicemente far valere una
normativa con una circolare che già esiste. Per
quanto riguarda i colloqui e i rapporti con i famigliari, abbiamo visto quanto
siano essenziali questi rapporti. Anche qui ci sono delle precise disposizioni
normative che dicono che i famigliari devono essere avvertiti dei trasferimenti
dei detenuti a spese dell’Amministrazione, quindi siamo noi che riceviamo il
detenuto che dobbiamo alzare il telefono e dire che il detenuto è arrivato a
destinazione, magari si fa dopo l’avvenuto trasferimento per motivi di
sicurezza, però nel momento in cui arriva a destinazione noi siamo tenuti a
farlo. A
San Vittore per esempio da anni il dottor Pagano aveva istituito lo Sportello
famiglie, c’era un Vicedirettore deputato una volta alla settimana dalle 9
alle 13, che è già pochissimo perché pensate quante persone ci sono a San
Vittore, ad ascoltare le famiglie. Anche
questo la legge non lo vieta, anzi se noi dobbiamo partire sempre
dall’articolo 28 dell’Ordinamento che ci dice che dobbiamo rinsaldare,
rafforzare e migliorare i rapporti dei detenuti con le loro famiglie, ciò
significa che se anche stessero in crisi con la loro famiglia, noi dobbiamo
aiutarli a migliorare questi rapporti. Figuratevi
che compito ci dà lo Stato, quindi lo Sportello famiglie si può fare con
qualunque tipo di operatore pedagogico, o della Polizia penitenziaria perché
no, o della dirigenza penitenziaria se uno è fortunato ed ha molti
Vicedirettori, quindi è una cosa che si può fare tranquillamente. Sei
colloqui e quattro telefonate al mese sono una cosa risibile Il
problema dei colloqui: sicuramente rispetto al diritto all’affettività
l’Amministrazione, pur armata della migliore buona volontà, ha le armi
spuntate perché sei colloqui e quattro telefonate al mese sono una cosa
risibile. Però
anche qui se uno vede il diritto all’affettività in maniera un po’ più
globale del mero colloquio, allora rientrano ancora una volta il 30 ter e
l’articolo 21 allargato, e rientra anche la possibilità di consumare un
pranzo con i famigliari che la legge prevede. La legge prevede di consumare
pasti con i famigliari indipendentemente dai colloqui, voi sapete che la legge
ha eliminato la differenza tra colloqui ordinari e colloqui premiali, l’ha
levata per fortuna, però come particolare riconoscimento ai detenuti perché
non dare il pranzo una volta al mese, a Natale, Pasqua, a Ferragosto? Per
esempio noi lo facciamo sistematicamente per i giovani adulti, i ragazzi dai 19
ai 25 anni hanno diritto ad un pranzo al mese con la propria famiglia, allora
che cosa abbiamo fatto? vi do delle dritte di organizzazione spicciola, poiché
i poliziotti dei colloqui giustamente erano oberati di lavoro, abbiamo, assieme
ai detenuti, deciso che cucinassero loro, i detenuti, per le loro famiglie in
modo da non obbligare ogni mese il poliziotto a sezionare tutto il pranzo
portato da fuori, che diventa una fatica bestiale, il pranzo arriva freddo e
sezionato, quindi è frustrante per tutti. Allora
cucinano i detenuti per le loro famiglie e una volta al mese si mangia assieme,
è una cosa che si può assolutamente fare e non c’è niente di
trascendentale, purtroppo non si può aumentare il numero dei colloqui anche
perché le forze che noi abbiamo sono molto esigue soprattutto qui al nord, a
Bollate ma credo anche qui a Padova i poliziotti penitenziari sono in numero
molto, molto esiguo, quindi non ce la facciamo a garantire più giorni di
colloquio. Il problema della domenica per lo meno da noi sussiste perché i
poliziotti non ce la fanno a garantirlo anche alla domenica. In compenso per
esempio abbiamo garantito i pomeriggi, il sabato pomeriggio, per cui i bambini
che vanno a scuola possono andare a vedere il papà il sabato pomeriggio. Io
suggerirei che si potrebbe costituire un comitato di detenuti assieme agli
educatori che fanno le proposte e poi la direzione le valuta. Una
cosa importante sono le telefonate, credo che il Garante dei detenuti della
Regione Toscana, Franco Corleone, ma anche altri abbiano insistito tantissimo
per le telefonate ai cellulari e finalmente lo si è ottenuto, il che significa
che se la società preme un po’ e non si arrende all’autoreferenzialità del
carcere, il carcere lentamente prende delle pieghe diverse, e la giornata di
oggi ne è una testimonianza vivente. Quindi
adesso si può telefonare al cellulare, si può telefonare con le schede
telefoniche in molti istituti tra i quali Bollate, dove stiamo installando ora
questo sistema, per cui il detenuto può telefonare quando gli pare a lui. È
chiaro che questa per noi è una comodità perché significa che il
centralinista non deve stare li a chiamarlo, è chiaro che il detenuto deve
avere la gentilezza di fare un uso non contrabbandato di queste schede con i
compagni, però questo fa parte del rapporto “negoziale” tra le istituzioni
e la propria utenza. Ma
comunque si può risolvere il problema del “devo telefonare oggi perché mio
figlio sta male”, se ho la scheda posso telefonare, sempre dieci minuti, a
quel numero, però nei giorni e nelle ore che preferisco. E
quindi rispetto al diritto all’affettività molto non c’è, molto c’è e
si può pretendere e molto si può costruire. A Bollate per esempio non c’è
la possibilità di avere rapporti sessuali evidentemente perché è contro la
legge, ma abbiamo un monolocale gestito dalla cooperativa Spazio Aperto Servizi,
praticamente è un monolocale dotato di televisione, un posto per fare i
compiti, si può mangiare e stare con i bambini, insomma un posto dove i
detenuti possono passare mezza giornata con i famigliari. È
chiaro che questa è una goccia nel mare perché con 1030 detenuti, soltanto
sedici famiglie possono beneficiare di questa possibilità e sono le famiglie più
problematiche, che sono poi assistite dagli psicologi di questa cooperativa.
Questa è secondo me una delle più belle iniziative che abbiamo fatto a
Bollate, che potrebbe essere tranquillamente mutuata in altre carceri, basta
avere qualcuno che la sponsorizza e la finanzia, ma questo è un modo per
allargare le maglie finché te lo consente naturalmente la legge, quindi io non
sarei così pessimista, perché direi che molto si può fare e molto si deve
fare. Io
credo che la storia della famiglia Cucchi abbia dimostrato in modo tragico ed
estremo, ma si può applicare in maniera meno tragica e meno estrema a tutti voi
che siete fuori dalle porte del carcere, abbia dimostrato che se uno insiste i
veli si squarciano, le opacità si chiariscono, le verità vengono a galla e le
cose si fanno. Allora
non è solo colpa dell’Amministrazione Penitenziaria che non vuole, che non
sa, che è lenta e un insieme di cose che già sappiamo, ma è anche
“colpa”, o meglio responsabilità di chi la subisce, questa Amministrazione
Penitenziaria, senza far nulla per cambiare le cose. Allora
vi lancio una piccola proposta, prendete l’Ordinamento penitenziario e il
regolamento, e lì vedete tutto quello che si può fare e pretendetelo. Grazie
Bisogna
pretendere l’applicazione dell’Ordinamento penitenziario
di
Rita Bernardini, Deputata Radicale eletta
nel Partito Democratico
Mi
riaggancio alle ultime parole pronunciate dalla dottoressa Castellano, sono così
d’accordo sul fatto di prendere l’Ordinamento penitenziario e pretenderne
l’attuazione che avevo fatto una proposta in tal senso, e in ogni istituto in
cui vado per visitarlo, chiedo sempre ai detenuti se hanno l’Ordinamento
penitenziario. Quasi tutti mi rispondono di no, allora chiedo: avete lo statuto
interno, il regolamento interno dell’istituto? E quasi tutti mi rispondono
ugualmente di no, non è a disposizione di chi è chiamato a rispettare le
regole del carcere. Molte
delle richieste che sono state fatte oggi sono richieste minime che già
esistono in altri Paesi europei, dovrebbero essere oggetto di proposte di legge
da approvare in fretta, però vi dico già che se ricordate il dibattito che si
tenne alla Camera dei Deputati sulle mozioni riguardanti le carceri, la
maggioranza respinse proprio, della nostra mozione che aveva avuto quasi un
centinaio di firme, la parte sull’affettività in carcere. Respinse
anche la parte che chiedeva l’istituzione del Garante nazionale dei detenuti,
e parte che riguardava l’umanizzazione di certi regimi, perché qui si è
parlato di tanti problemi, però c’è una categoria di detenuti della quale
non si parla mai e sono quelli del 41 bis. Qui
si è parlato dei bambini, ebbene i bambini che vanno a trovare i genitori che
stanno al 41 bis, possono, se hanno un’età inferiore a 12 anni, abbracciarli
per dieci minuti durante il colloquio, mentre se hanno più di 12 anni devono
vedere il padre o la madre da dietro un vetro. Questa
è alla lunga una forma vera e propria di tortura, e anche questa parte è stata
rifiutata, noi chiedevamo semplicemente di rendere il 41 bis almeno compatibile
con le direttive europee, nemmeno quello è stato accettato. Poi
ci sono tutte le altre parti della mozione, che sono state invece approvate, di
cui dobbiamo pretendere l’applicazione, però vedete c’è una cosa che
voglio dire, io credo che la politica che viene fatta oggi dal Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria, non è una provocazione la mia, ma sia una
politica letteralmente impazzita. Perché che senso ha, per esempio, avere
intorno al 50 per cento dei detenuti che vivono la loro detenzione lontani dai
loro famigliari, ma sapete che cosa comporta questo in termini di spesa
soprattutto per coloro che sono in attesa di giudizio? Comporta,
per fare un esempio, che quando c’è il processo, io devo portare il detenuto
che ho sfollato all’Ucciardone a Brescia dove si celebrerà il processo, con
una scorta di quattro agenti che devono prendere l’aereo assieme al detenuto,
che poi devono soggiornare a Brescia e poi devono ritornare, ma quanto costa
tutto questo? Ecco
perché io dico che è una politica letteralmente impazzita, allora penso che
dobbiamo agire per riportarla alla ragione. Una parte della mozione che è stata
approvata riguarda proprio la territorializzazione della pena, che del resto è
scritta già nell’Ordinamento Penitenziario. Noi
pretendiamo giustamente che chi ha sbagliato paghi, ma quando lo Stato sbaglia
chi paga? quando paga? Se il ministro della Giustizia arriva a dire che le
carceri italiane sono illegali e sono contrarie alla nostra Costituzione, questo
Stato, queste istituzioni che violano la Costituzione e l’Ordinamento
penitenziario sanno che cosa vuol dire violare una legge? Io credo che su questo
dobbiamo riflettere, anche perché se uno Stato non rispetta le sue stesse
regole, perde di credibilità rispetto al cittadino, e queste situazioni alla
lunga diventano pericolose. Un’ultima
riflessione: a Ristretti Orizzonti, per il suo sito e la sua rivista, a me
piacerebbe che fosse affidata un’altra delle cose che non è stata approvata
nella nostra mozione, però ce la facciamo da soli, ed è l’anagrafe pubblica
delle carceri italiane. Vorrei
vedere una bella cartina, dove per ogni istituto ci siano i lavori in corso, gli
appalti, proprio la trasparenza. E poi quanto costa comprarsi dei prodotti
all’interno dell’istituto, quanti detenuti ci sono, quanti agenti, quanti
psicologi, quanti educatori, un’anagrafe aggiornata in tempo reale, e in più
tutta una sezione del sito, io cosi la immagino, in cui per ogni istituto si
danno anche tutte le cose positive che succedono. Perché anche le cose positive
occorre valorizzarle con gli operatori, con i volontari, con tutti quelli che
credono che questa sia una istituzione da riformare profondamente, perché senza
un collegamento vero della società con queste istituzioni io credo che non
andremo molto avanti.
Abbiamo
bisogno solo di far funzionare le leggi che già ci sono di
Salvatore Pirruccio, Direttore della Casa
di Reclusione di Padova
Si
è parlato oggi di Ordinamento penitenziario, dei tanti benefici di cui i
detenuti possono essere destinatari e dei comportamenti che bisogna tenere per
realizzare il dettato normativo, specialmente quello previsto dalla nostra Carta
Costituzionale. Ecco, sono convinto che se fossero applicate concretamente tutte
le ipotesi previste dall’Ordinamento penitenziario e da tutte le leggi che nel
tempo lo hanno modificato ed integrato, ci accorgeremmo che, forse, non abbiamo
alcun bisogno di nuove leggi. Esistono
già le necessarie misure alternative alla detenzione; possiamo avvalerci di
tante opportunità che consentono al detenuto di scontare la pena fuori dal
carcere; bisognerebbe ampliarne l’applicazione ma non parlo solo della
semilibertà o dell’affidamento, c’è tutto un sistema di detenzione
domiciliare che dovrebbe essere maggiormente
sfruttato, anche perchè bisognerebbe stabilire, una volta per tutte, se
qualsiasi crimine, anche quello che procura minore allarme sociale, debba essere
sanzionato con il carcere. Se
così si ritenesse di agire, incrementando l’esecuzione penale presso il
proprio domicilio, con riguardo anche solo a coloro che devono scontare 2 o 3
anni di reclusione, anche come residuo di maggior pena, la popolazione detenuta
si ridurrebbe notevolmente e potremmo ricavare subito 6 o 7.000 posti letto
superando, almeno nell’immediato, il grave stato di sovraffollamento e
mantenendo, con i dovuti controlli, il detenuto sul territorio si faciliterebbe
il suo reinserimento sociale annullando anche gli effetti negativi del carcere
ove la misura fosse attribuita in sede processuale ma, l’applicazione delle
varie ipotesi alternative al carcere non dipende dall’Amministrazione
penitenziaria, bensì dalla Magistratura che decide di attribuire o meno un
determinato beneficio anzicchè un altro ovvero respingere tutte le istanze
degli interessati. Un
problema diverso è quello dei permessi premio la cui concessione, in molti
Stati europei, rientra nella competenza dell’Amministrazione penitenziaria e
credo che anche in Italia la legge dovrebbe essere modificata in tal senso perchè
la concessione dei permessi è misura amministrativa
inserita nel percorso trattamentale e rieducativo del condannato e,
nonostante riguardi la libertà del soggetto non può essere
giurisdizionalizzata: deve essere uno strumento a disposizione di chi ha il
compito di tentare il reinserimento del detenuto nella società. Per
queste brevi riflessioni non credo che si debba procedere alla emanazione di
altre leggi con il rischio di sopportare possibili modifiche in sede legislativa
che stravolgerebbero l’originaria intenzione di coloro che le propongono
ovvero non essere mai approvate per il mancato raggiungimento di accordi tra
forze contrapposte. Maria Pia Giuffrida, Dirigente generale dell’Amministrazione penitenziaria e responsabile dell’Osservatorio nazionale sulla giustizia riparativa e la mediazione penale, ha comunicato di aver istituito a livello nazionale una rete di mediatori che stanno attualmente svolgendo una sperimentazione, che riguarda circa 20 casi di reati gravi, seguendo delle procedure che sono state istituzionalizzate dall’Osservatorio. Si tratta di situazioni particolarmente delicate, monitorate dalla stessa dottoressa Giuffrida seguendo delle procedure estremamente dettagliate. |