Le prigioni degli altri

 

Ritorno a casa… e rifinisco in galera

Alcuni anni di detenzione in Italia, l’espulsione a fine pena

appena il tempo di scendere dall’aereo e subito il nuovo arresto

 

testimonianza raccolta da Marino Occhipinti

 

Ion è stato uno dei grafici di Ristretti Orizzonti per un paio d’anni. Pochi mesi fa, quando il suo residuo pena è arrivato a meno di un anno, è stato espulso nel suo Paese di origine, la Romania. Mi ero raccomandato che ci facesse sapere le novità: il suo timore, rivelatosi poi fondato, era infatti quello di venire arrestato nuovamente, appena sbarcato dall’aereo che lo avrebbe ricondotto in Patria, per un vecchio conto in sospeso con la giustizia. Nel tal caso, e cioè se fosse arrivata una nuova detenzione, a Ion avevo chiesto di raccontarci come funzionano le carceri in Romania, se è vero che le condizioni sono migliorate, insomma una testimonianza diretta di quella che è la situazione. Detto e fatto, purtroppo. Ora Ion è il nostro “corrispondente estero” per la Romania, e in una lettera ci racconta come funzionano realmente gli istituti di pena nel suo Paese. Almeno quelli che ha “visitato”…

Per prima cosa mi voglio scusare perché non vi ho scritto subito quando sono arrivato in Romania. Non lo so se l’avete già saputo, però quando sono arrivato qua mi hanno subito arrestato. Avevo una pendenza vecchia, che spero di riuscire a far “cadere” alla fine di questo mese quando avrò una camera di consiglio per il riconoscimento della pena che ho già scontato in Italia. Se non esco prima, di sicuro alla seconda camera di consiglio sarò fuori, giusto il tempo che dall’Ufficio di Sorveglianza di Padova arrivi la documentazione necessaria. Speriamo bene.

Vi ringrazio per la rivista che ho ricevuto. Vedete se c’è la possibilità di continuare a spedirmi anche i prossimi numeri, così mi passo anche un po’ di tempo con i ricordi della redazione. Adesso io mi trovo nel carcere della mia città, Galati. Per i precedenti tre mesi, sono stato in carcere a Bucarest, dove è molto difficile vivere e addirittura sopravvivere. Sono sceso da un albergo a cinque stelle all’inferno delle carceri romene! Anche quello di Padova è un carcere, ma è imparagonabile a ciò che ho trovato nel mio Paese. Quando ero ancora lì in redazione, sulla rivista dell’Amministrazione penitenziaria avevo letto un articolo sulle nostre carceri. Si diceva che gli spagnoli ci avevano aiutati nella ricostruzione degli Istituti detentivi, che quindi venivano presentati come i migliori. Migliori persino di quelli europei, addiritura più vivibili di quelli italiani e tedeschi. Che bello che era quell’articolo dove si diceva che le condizioni detentive in Romania erano migliorate!

Non è proprio così, qui si vedono delle cose che per la mente umana sono difficili da credere, però devo dire che dipende molto anche dalla persona che finisce dentro, e cioè se è “conosciuta” oppure no. Attualmente nelle carceri romene si trovano circa 50.000 detenuti contro una capienza di 36.743 posti letto. I problemi non si fermano qui. In ogni cella ci sono circa 20-30 persone ma i letti sono molto meno, quindi, alcune brande vengono occupate… da due persone. Vi sembrerà impossibile ma è così. Nella cella dove mi trovo io siamo in 19 ma i letti sono soltanto 13. I più “abbandonati” e senza famiglia, quelli “che non li cerca nessuno”, finiscono in due nel terzo letto a castello. Emarginati tra gli emarginati, a loro è quasi “vietato” scendere dalla branda: lo spazio non è sufficiente per tutti. Il “blindo” è sempre chiuso, e l’aria entra esclusivamente da una piccola finestra. Sporco e puzza si accumulano, d’altronde la maggior parte delle persone che sono rinchiuse qui fanno del carcere la loro vita, e in queste condizioni perdono qualsiasi stimolo a migliorare la loro esistenza.

I colloqui? Qualcosa di inimmaginabile. I bambini piangono disperati perché non possono abbracciare i loro genitori, a causa di un muro divisorio che arriva a mezzo busto. Basta allungare una mano per accarezzare un familiare e scatta un rapporto disciplinare, che naturalmente incide sullo sconto di pena per buona condotta. Per ogni detenuto possono entrare fino a sei-sette familiari, ma le sale colloqui - sporche e puzzolenti all’inverosimile - sono piccole e si deve stare ammassati, perciò si crea una confusione che rende impossibili scambiarsi due parole in modo dignitoso.

Il periodo in cui si può uscire all’aria aperta si limita a 15 minuti al giorno, gli alimenti per mangiare sono insufficienti, e quelli che si trovano da acquistare sono scaduti da tempo. Quindi per un detenuto che non ha nessuno è difficile vivere qui dentro, e per andare avanti ha solo un sistema: deve lavare i vestiti e le lenzuola per gli altri per ottenere qualcosa da mangiare. Il pranzo che fornisce il carcere, infatti, non sarebbe sufficiente a sopravvivere per molto tempo: una specie di minestra, così viene chiamata, consistente in un intruglio di acqua bollente dove, ispezionando bene, si può trovare qualche pezzettino di grasso.

Questo succede perché la carne, che dovrebbe essere preparata per i detenuti, viene invece venduta sottobanco, da quelli che lavorano in cucina, ai detenuti “vip”. 

 

Un carcere in cui i detenuti “vip” hanno tutto, i poveri diavoli nulla 

 

I “vip” sono molto influenti e riescono ad avere di tutto, anche cose che difficilmente si può permettere un uomo libero. Naturalmente si tratta di cose illegali. Penso all’affettività, della quale in redazione parlavamo spesso, anche se in questo caso sarebbe più corretto parlare di sessualità. Ad esempio loro, i detenuti “vip”, possono stare in compagnia di una ragazza per due-tre ore in cambio di 100 dollari. Queste ragazze vengono scelte tra le assistenti sanitari che si trovano dentro il carcere, assistenti che esistono solo sulla carta perché, se chiedi qualcosa come ad esempio un’aspirina, gli agenti ti prendono in giro dicendo che non hai niente.

Ci sono guardie che fanno la scorta ai detenuti “vip” fino al gabinetto, e per tale servizio prendono due-tre pacchetti di sigarette. Naturalmente, sempre per chi ha soldi in abbondanza, nelle carceri romene ci si può procurare anche la droga, così che il periodo di detenzione possa trascorrere più piacevolmente (dicono loro!). Per un ragazzo giovane che entra in carcere e sfortunatamente non conosce come funziona il sistema detentivo di questo Paese, la vita sarà molto dura. Non appena varcato il portone verrà perquisito in una maniera inimmaginabile, così inizia uno stato di alta tensione fin dal primo istante, che spesso sfocia in atti di autolesionismo.

Una volta che la persona viene mandata nella stanza che gli è stata assegnata, viene ricevuta da un detenuto che si chiama “capo cella”. Ogni nuovo arrivato viene sottoposto ad un “interrogatorio” da parte del capo cella e degli altri detenuti più potenti, che vogliono conoscere il motivo della carcerazione e se ci sono familiari disposti… a spedire pacchi. Ogni volta che arriva un pacco, infatti, la metà va consegnata al capo cella. A chi si rifiuta… lascio immaginare le conseguenze, oltre al fatto che del pacco non ricevi più nulla, neppure quella metà che ti sarebbe “gentilmente” stata concessa.

Stavo dimenticando di dirvi che il capo cella viene “eletto democraticamente” dagli altri detenuti, naturalmente scegliendo tra le persone più potenti e influenti della stanza. Sicuramente si tratta di un membro della piccola mafia di città dove si trova il carcere, quindi immaginate come sia difficile vivere per una persona di una città diversa. A Bucarest infatti è stata molto dura, ma tutto sommato sono stato quasi “fortunato”: ho trovato un paio di ragazzi di Galati che mi hanno aiutato, abbiamo fatto “muro” e ce la siamo cavata… D’altronde la vita quotidiana qui dentro è organizzata a bande di 4-5 persone, che spadroneggiano fregandosene di quelli che non hanno nulla da mangiare, ed anzi è proprio di loro, dei più deboli, che si approfittano. Non è un caso che quando ho spiegato ai miei attuali compagni come funzionano le carceri italiane mi abbiano preso in giro!

Il lavoro interno praticamente non esiste. Solamente chi può uscire a lavorare nei campi e nelle foreste, naturalmente scortato dalle guardie, usufruisce di uno sconto di 4 giorni al mese di buona condotta. Non so se ne valga la pena. Definirli lavori forzati è poco. Li vedo rientrare sfiniti, e siccome poi l’acqua per lavarsi è scarsa e dell’alimentazione vi ho già detto, non si può certamente parlare di lavoro che favorisce il reinserimento nella società.

Sapete poi cosa ho trovato di interessante da raccontarvi? Tutti gli stranieri detenuti dell’Unione europea, non appena diventano definitivi, vengono trasferiti in una nuova struttura di Bucarest, il carcere di Rahova. Lì si sta abbastanza bene, infatti ci sono anche parecchi “vip” e detenuti influenti. Credo che questa sia una scelta ben precisa e opportunamente studiata dalle istituzioni del mio Paese: gli stranieri devono avere un trattamento di favore, in modo che oltre confine non si parli male delle carceri romene.

 

 

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