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In Sicilia ex detenuti coltiveranno vigneti confiscati alla mafia
Il Comune di Monreale ha affidato alla cooperativa Primo Maggio dodici ettari di terreno che verranno utilizzati per il reinserimento sociale di chi esce dal carcere. Consentendo loro un’opportunità occupazionale e abitativa
A cura di Marino Occhipinti
Un vasto appezzamento di oltre dodici ettari coltivato a vigneti pregiati: i vini doc di Monreale, vicino Palermo. Questo terreno in contrada Malvello e Drago fino a nove anni fa apparteneva alla mafia. Ora il sindaco di Monreale Salvino Caputo lo ha assegnato in comodato gratuito alla cooperativa Primo Maggio - Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che già gestisce immobili pubblici destinati a centri per minori abbandonati ed ex tossicodipendenti. Ma i dodici ettari di vigneti, questa volta, insieme a un edificio di due piani, saranno destinati all’inserimento lavorativo degli ex detenuti. "Assegnare i beni della mafia rappresenta un gesto di altissimo valore simbolico, in quanto ne beneficerà una cooperativa giovanile" è la convinzione del sindaco Caputo, fino a pochi mesi fa presidente del consorzio Sviluppo e legalità. "Mi hanno molto colpito le finalità dell’associazione, che intende impiegare nella coltivazione dei terreni giovani ex detenuti che potranno trovare una occasione concreta per il loro reinserimento sociale". Il sindaco, rispondendo alle nostre domande, ci ha aiutati a capirne di più.
Di cosa si occupa il consorzio Sviluppo e legalità, quali sono le sue finalità? Fino a qualche anno fa, nessuno avrebbe pensato che l’enorme patrimonio di Cosa nostra – simbolo del potere e della capacità di intimidazione – sarebbe stato trasformato in aziende agrituristiche, centri sociali, aree attrezzate per il tempo libero, impianti di serricultura, centri ippoterapici e cantine sociali. Oggi questa non è più un’utopia ma realtà, che si è concretizzata grazie all’impegno di un gruppo di amministratori, associazioni e funzionari pubblici che hanno lottato per promuovere una nuova cultura della legalità e soprattutto dell’utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Il nostro progetto è diventato, per la sua efficienza e capacita organizzativa, un modello pilota del Programma operativo nazionale per la Sicurezza e per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia 2000-2006 del Ministero dell’Interno, che ha promosso una serie di iniziative per esportarlo in altre realtà italiane ed europee. La presidenza del consorzio viene assegnata ogni sei mesi a uno degli otto sindaci del vasto comprensorio dell’Alto Belice Corleonese che fanno parte del consorzio stesso. Fino a luglio 2004 il presidente è Vincenzo Di Girolamo, sindaco del Comune di Altofonte.
La vostra è quasi una scommessa? Sì, la scommessa sta nell’aver utilizzato in brevissimo tempo l’enorme patrimonio immobiliare confiscato nell’Alto Belice Corleonese. È una zona da sempre considerata ad alto rischio per la presenza dei più pericolosi criminali mafiosi, che erano riusciti a condizionare lo sviluppo economico controllando gli appalti con la forza dell’intimidazione nei confronti di amministratori e imprenditori. Solo l’unione sancita attraverso l’adesione al consorzio Sviluppo e legalità, promosso dalla prefettura di Palermo, poteva dar vita a un progetto ambizioso, che in soli due anni ci ha consentito di ottenere risultati veramente impensabili. In questa battaglia per l’affermazione della legalità nei nostri territori, abbiamo anteposto questi valori rispetto alle appartenenze partitiche. Sindaci, di diverse ideologie e culture politiche, ci siamo uniti per contrastare il fenomeno mafioso e riscattare il nostro territorio che fino a oggi era stato privato della sua naturale capacità di sviluppo e autodeterminazione, pur possedendo risorse naturali e paesaggistiche ed elevate professionalità.
La soddisfazione più grande, la spinta ad andare avanti in questa non facile strada, da dove vi arriva? Il sorriso dei bambini delle nostre scuole che piantano alberi sulle terre dei boss e la spiga di grano raccolta dai giovani della cooperativa Placido - Rizzotto e legata con il nastro tricolore. Queste immagini sono divenute simboli del riscatto e del cambiamento che si è avviato in questi ultimi anni e che è destinato a divenire sempre più profondo e coinvolgente. Anche per questo continueremo con maggiore incisività nel nostro impegno che ha visto coinvolti enti locali, associazioni di volontariato, cooperative sociali, scuole, centri di formazione, enti regionali, ministeri, assessorati regionali, organizzazioni anti-racket e semplici cittadini che oggi vedono nell’utilizzo dei beni confiscati un’occasione di sviluppo per l’economia e l’occupazione.
Con quale procedura sono stati concessi i terreni alla cooperativa Primo Maggio? I beni confiscati alla mafia vengono assegnati, da parte dell’Agenzia del demanio, al Comune che può decidere se utilizzarli direttamente oppure affidarne la gestione al consorzio Sviluppo e legalità. I beni sono stati affidati alla cooperativa Primo Maggio in seguito alla presentazione di una richiesta e di un progetto tendente al recupero e al reinserimento di soggetti svantaggiati (ex tossicodipendenti, ex alcolisti ed ex detenuti), attraverso un contratto di comodato d’uso gratuito del bene.
Quante persone potranno trovare un’opportunità occupazionale e che tipo di lavoro svolgeranno? Il numero di persone, mi ha riferito il presidente della cooperativa Mario Castagna, non è ancora stato stabilito, ma i lavoratori verranno seguiti da tecnici agricoli che insegneranno loro le pratiche di base per procedere alla coltivazione dei terreni. In seguito all’attivazione del progetto, si prevede la raccolta e la vendita di olive e uva e la realizzazione di una serra per colture floricole. Il reinserimento di queste persone svantaggiate sarà quindi basato sulla coltivazione dei terreni confiscati, mediante il recupero del vigneto, dell’oliveto e del seminativo e sulla realizzazione di un piccolo agriturismo. Inoltre, le persone che saranno inserite nel progetto risiederanno nelle due strutture a disposizione del bene confiscato, quindi oltre al lavoro avranno anche una possibilità abitativa.
E i finanziamenti per un’iniziativa così importante, come sono stati reperiti? Il contratto di comodato d’uso, stipulato dall’Amministrazione comunale e dalla cooperativa, prevede che eventuali finanziamenti per ristrutturare gli immobili e per coltivare i terreni siano a totale carico della cooperativa. Quest’ultima può, in ogni caso, presentare dei progetti all’Amministrazione comunale, che farà il necessario per richiedere finanziamenti alla prefettura di Palermo.
In passato avete già sostenuto altre iniziative utili alla re-inclusione delle persone provenienti dall’area penale? No, questa è la prima esperienza che stiamo seguendo. Però, per recuperare il tempo perduto, prevediamo che possano essere tenute in considerazione anche altre cooperative o associazioni sociali che vogliano gestire un bene confiscato.
Vuole concludere con il suo parere e con il bilancio dell’iniziativa? L’utilizzo dei beni confiscati sottratti al patrimonio mafioso crea occupazione e occasioni di sviluppo. Abbiamo dato impulso a una nuova cultura sull’utilizzo di questi beni che per molti anni sono rimasti inutilizzati. Numerose sono le richieste pervenute al Comune di Monreale, da parte di cooperative, associazioni, enti religiosi, per l’utilizzo di tali beni non soltanto per le attività agricole (per la verità in maggioranza, viste le caratteristiche dei beni ricadenti nel territorio di Monreale) ma anche per quelle sociali. Si pensi che alcuni beni verranno utilizzati dalla Protezione civile (per una sede operativa 24 ore su 24) e da una associazione che si occupa di arte, nella prospettiva di realizzare un museo di scultura contemporanea.
Il Programma operativo nazionale "Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia" Da alcuni anni, l’Unione Europea ha destinato parte delle risorse comunitarie allo sviluppo economico e sociale delle regioni che soffrono un ritardo di sviluppo rispetto alla media europea. Sono state previste dal governo italiano e dall’Unione Europea una serie di iniziative (Programmi operativi nazionali e regionali), promosse e attuate dalle Amministrazioni centrali e regionali. Tra le iniziative a carattere nazionale riveste un ruolo prioritario il programma "Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia", che ha preso il via nel 1998 ed è, in particolare, finalizzato all’innalzamento degli standard di sicurezza delle regioni italiane dette "Obbiettivo 1": Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata. Partendo dalla considerazione che senza sicurezza non può esserci sviluppo, il Programma operativo si pone come obiettivo primario quello di rafforzare e rendere più efficaci le condizioni di legalità nel Mezzogiorno, uniche garanzie per un progresso sociale, economico e civile che raggiunga presto i parametri europei. Approvato dalla Commissione Europea, finanziato equamente dai Fondi europei e da quelli nazionali, il Programma "Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia" costituisce una delle più complete e imponenti operazioni sul piano della sicurezza mai effettuate nel nostro Paese: uno sforzo, in termini sia economici che di aree e soggetti coinvolti, che non ha precedenti e che anche per questo rappresenta una sfida decisiva per il nostro Sud. Martinafranca, in Puglia, inaugura il suo primo progetto di reinserimento sociale per i detenuti
Un’esperienza del tutto nuova per il paese in provincia di Taranto: l’Ufficio tecnico del Comune e i Servizi sociali si sono alleati per dare lavoro a dieci persone appena uscite dal carcere o che beneficiano di misure alternative. Puliscono le banchine stradali e sono inquadrati come operai di primo livello
A cura di Marino Occhipinti
Su Ristretti siamo soliti raccontare le esperienze italiane in favore del reinserimento dei detenuti. Ed è con un occhio particolare che guardiamo alle iniziative promosse dagli assessorati e dagli enti locali in genere, perché sono solamente loro, tramite una politica sociale attenta, che possono davvero cambiare qualcosa nel rapporto tra carcere e territorio. È per questo che diamo spazio ai progetti che riteniamo validi, non per spirito celebrativo ma per dimostrare che, dove gli enti locali sono più attivi e sensibili, i detenuti trovano strumenti concreti per tornare a far parte del tessuto sociale. Leggiamo la rassegna stampa sul carcere e scriviamo in giro per l’Italia per avere notizie. Scriviamo parecchio e recentemente, dalla Puglia, ci ha risposto il vicesindaco e assessore ai Servizi sociali del Comune di Martina Franca (Taranto), Antonio Fumarola. Gli avevamo chiesto i particolari di un progetto di reinserimento sociale promosso dalla sua amministrazione, e lui ci ha raccontato "tutto d’un fiato" le fasi e gli obiettivi dell’iniziativa. Ci sembra interessante pubblicare integralmente la sua lettera.
"Rispondo alla vostra lettera, in cui mi chiedete delucidazioni sul progetto di reinserimento socio-lavorativo di persone ex detenute o detenute ammesse al lavoro esterno, che la mia amministrazione comunale ha avviato nel settembre del 2003. Si tratta di una esperienza del tutto nuova, che ha avuto inizio con il protocollo d’intesa sottoscritto il 19 dicembre 2002 con il Centro di Servizio sociale per adulti di Taranto, dopo un lungo lavoro preparatorio. Nel protocollo si stabiliva di perseguire, attraverso il comune impegno, la risoluzione di problematiche relativo al settore dei detenuti ed ex detenuti per poter assicurare e promuovere il loro reinserimento sociale e lavorativo, con ricadute anche sui loro nuclei familiari. Nel maggio 2003 la Giunta comunale ha valutato e approvato il progetto di pulitura e manutenzione delle banchine stradali comunali, elaborato dall’Ufficio tecnico lavori pubblici in collaborazione con il settore Servizi sociali. La collaborazione tra i Servizi sociali e l’Ufficio tecnico è nata non solo da necessità di organizzazione del lavoro da svolgere, ma anche dal fatto che la somma destinata alla gestione del servizio, dell’importo di circa 140 mila euro, sarebbe stata prelevata dalla voce di bilancio "Manutenzione straordinaria strade extraurbane comunali" del settore Lavori pubblici. Il servizio di manutenzione straordinaria delle strade extraurbane prevedeva l’impiego di dieci persone, tra detenuti in misura alternativa ed ex detenuti, da inquadrare come operai di primo livello per la durata di anno. Si è stabilito di affidare la gestione del servizio, attraverso bando di gara di appalto, a una cooperativa sociale di tipo B, proprio per la valenza sociale e riabilitativa del progetto, che avrebbe dovuto rapportarsi al settore Servizi sociali oltre che al Centro di Servizio sociale per adulti di Taranto. Nel capitolato di appalto sono state specificate le prestazioni di servizio: taglio e raccolta dell’erba, carico del materiale cumulato su mezzo comunale, pulizia del brecciolino con scopa e carico su mezzo comunale, pulizia di eventuali canali, canalette e scoli. Il personale impiegato, così come previsto nel capitolato di appalto, è stato preventivamente formato dalla cooperativa, relativamente al lavoro da svolgere e anche alla legge 626 del 1996 (sicurezza sul lavoro, ndr). Il servizio, seppure con qualche problema presentatosi nel corso d’opera, è stato avviato alla fine del settembre 2003 ed è tuttora attivo. Fino a oggi i risultati sono stati positivi per un duplice motivo: il servizio reso alla collettività e la valenza riabilitativa per le persone impiegate, che vedono riconoscersi dignità attraverso il lavoro. Al momento siamo in attesa di verificare se l’importo per la prossima annualità potrà essere inserito nel prossimo bilancio, al fine di garantire continuità a un’esperienza che, a mio parere, risulta positiva in termini di ritorno sociale".
Antonio Fumarola
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