Il carcere immaginato

 
 
Che cosa immagino quando penso al carcere?

 

Pre-giudizi, fantasie, credenze degli studenti prima di “incontrare” la galera vera. Quello che gli studenti dell’istituto Tecnico Pietro Scalcerle credevano di trovare in carcere

 

 

Solitudine, pentimento, ira, sfiducia in se stessi e negli altri

 

di Alessandra Rebecca

4a A Itas P. Scalcerle

 

Il carcere… mi raffiguro un uomo solo che appoggia la testa e afferra le sbarre gelide e arrugginite di una piccola stanza umida e spoglia. Proprio in questo gesto, mi trasmette le sue sensazioni. Solitudine, pentimento, ira, sfiducia in se stesso e negli altri. Provando ad immedesimarmi in lui, immagino magari di avere dei figli che aspettano il mio ritorno, o al contrario una famiglia che non crede più in me, che mi ha abbandonato nella mia solitudine. Tutti i miei sogni, le aspettative bruciate solo per un gesto, sbagliato che ho commesso per motivi magari non giustificabili, magari insensati, magari inspiegabili, ma resta pur sempre uno sbaglio.

Pensando di dover dare a quella persona parole di speranza o, perché no, di conforto, mi trovo però in difficoltà. Che potrei dire? Non pensarci, vedrai che un giorno la tua vita sarà migliore, vedrai che cambierà… queste sono solo parole e non danno di certo una vena di speranza. Sono parole di circostanza che dicono tutti… ma allora che dire? Come fargli capire che da questo sbaglio può trarre vantaggio e che proprio lui, in queste circostanze, può dare consigli o insegnare a persone come noi, e proprio con la sua vita che gli sembra ormai buttata via?

 
 
Un luogo molto buio e freddo

 

di Giorgia Tommasin

4a D Itas P. Scalcerle

 

Per me il carcere è un luogo molto buio, dove i pavimenti e le pareti sono tutti dello stesso colore grigio e dove i suoni rimbombano a causa dell’ “arredamento” povero; è un posto in cui si alternano lunghi momenti di silenzio e brevi intervalli ricreativi. Nella mia mente è un posto sicuramente caratterizzato da un clima rigido (probabilmente dato dal rapporto poliziotti-carcerati). Pensando al carcere cerco di immaginarmi i sentimenti delle persone recluse: tristezza, depressione, rassegnazione sono le parole che meglio li descrivono.

 
 
Qui in Italia i criminali vengono messi in libertà subito

 

di Cristina Zorzan

4a D Itas P. Scalcerle

 

Credo che qui in Italia il carcere non abbia un significato poi così duro, infatti i criminali vengono messi in libertà subito e un assassino può addirittura avere una diminuzione della pena per buona condotta. Sono abbastanza pessimista che la prigione possa cambiare le persone, ma se dopo un reato ci fosse una convinzione maggiore di finire in carcere, forse molti ci penserebbero due volte prima di commetterlo.

 
 
Immagino lo sguardo vigile di uomini in divisa…

 

di Mara Zorzi

4a D Itas P. Scalcerle

 

Le idee che mi sono fatta si basano principalmente su ciò che ho potuto vedere in televisione, ad esempio nei telegiornali e nei film, come “Le ali della libertà”, “The sleepers” e “Il miglio verde”, dove la realtà carceraria appare estremamente violenta: abusi, risse, corruzione. Comunque, sono film che insegnano qualcosa di importante, ovvero che esistono dei casi in cui anche chi sbaglia merita di ottenere la possibilità di rimediare ai propri errori. Dimostrano, inoltre, che a volte succede di venire condannati ingiustamente, di scontare la pena in carcere anche se innocenti. Immagino degli spazi piuttosto piccoli, sbarre, lo sguardo vigile di uomini in divisa… È triste pensare al fatto che i detenuti possano venire considerati dei numeri, che la gente si dimentichi che essi sono e rimarranno delle persone, al di là del reato, più o meno grave, da loro commesso.

 
 
Una struttura grigia e decisamente triste

 

di Valeria Abate

4a D Itas P. Scalcerle

 

Immagino il carcere, anche in base a film visti o descrizioni lette su libri, come una struttura grigia, scura e decisamente triste e monotona, con un grande atrio centrale circondato da celle. L’idea di entrare in carcere non mi inquieta per niente, anzi, mi attira, sono curiosa di vedere se la realtà rispecchia veramente le rappresentazioni della televisione. So che spesso alcuni detenuti scontano parte della propria pena con lavori utili alla comunità. A Limena, dove abito io, per esempio, c’era un carcerato (che colpiva l’attenzione per i suoi lunghissimi capelli bianchi) che lavorava come operatore ecologico.

 
 
La prima volta che vedrò un carcerato il cuore mi batterà molto forte

 

di Matteo Breda

4a D Itas P. Scalcerle

 

Carcere… gran brutta parola. Viene subito alla mente un luogo buio, dove non esistono emozioni; gli unici colori sono il nero e bianco, colori che ricordano le divise dei detenuti. Seguendo il modello made in USA non passa giorno che i carcerati non cerchino di evadere e ammazzino almeno la metà dei poliziotti presenti all’interno della struttura. I reclusi sono ammassati in celle maleodoranti, piccole ed anguste, dove è presente solo la speranza di vivere al meglio con topi e scarafaggi. Non ho nessuna esperienza sul mondo del carcere, non conosco nessun carcerato, l’unica cosa è che abito vicino al Due Palazzi e alcune volte ci passo davanti. Non ho paura però di questa possibilità di entrare in carcere, penso che la prima volta che vedrò un carcerato il cuore mi batterà molto forte e sarà veramente una cascata di emozioni.

 
 
Come può una persona dopo anni di reclusione rifarsi una vita?

 

di Claudia Ruaro

4a D Itas P. Scalcerle

 

Fin da piccola sono sempre stata incuriosita dall’idea del carcere, di come vengono trattati i detenuti e come vivono la loro carcerazione. Se io fossi un detenuto sicuramente la cosa che mi mancherebbe di più sarebbe la mia famiglia, non riuscirei mai a vivere sapendo di dover rimanere chiusa in prigione per anni o addirittura tutta la vita, lontana dalla mia casa, i miei amici, la scuola. Un’altra cosa che mi incuriosisce è sapere come si sente un uomo che dopo aver commesso un crimine deve passare il resto dei suoi giorni lontano da tutto e da tutti. Mi chiedo come dopo anni di reclusione una persona possa rifarsi una vita con tutta la difficoltà che avrà nel trovare lavoro, le amicizie perse, i molti pregiudizi e l’emarginazione. Personalmente però trovo il carcere un'espressione rieducativa e costruttiva, dove chi ha sbagliato ha la giusta pena per il proprio reato.

 
 
Un luogo losco

 

di Gianluigi D’Onofrio

4a D Itas P. Scalcerle

 

Non ho mai avuto esperienza diretta del carcere, l’idea che ho deriva da quanto visto in tivu e di come ne ho sentito parlare. In teoria il carcere dovrebbe indurre i detenuti a riflettere sulle loro azioni, magari pentendosene, inoltre dovrebbe anche servire alla reintegrazione, ma la vita di un detenuto è difficile ed è segnata per sempre. In generale il carcere è descritto come un luogo losco, dove le persone tendono a peggiorare.

 
 
Un ambiente misterioso, un po’ inquietante

 

di Silvia Forin

4a D Itas P. Scalcerle

 

Il carcere, un ambiente a me sconosciuto, misterioso, un po’ inquietante; un ambiente dove le persone “pagano” le conseguenze dei loro sbagli, a volte bravate, altre invece azioni ben più gravi, forse imperdonabili. Credo che lo scopo di questa istituzione dovrebbe essere sia punitivo, sia di rieducazione. Il primo obiettivo è fondamentale per dimostrare all’intera società la presenza di un reale sistema giudiziario che punisce chi non rispetta la legge. Il secondo, invece, è fondamentale per offrire ai carcerati una seconda possibilità. Ritengo che il carcere sia un'espressione indelebile nella vita di un uomo, ma inevitabile all’interno di una società.

 
 
Quello che più mi intimorisce sono le facce dei carcerati

 

di Giulia Raffaello

4a D Itas P. Scalcerle

 

Secondo la mia immaginazione, il carcere deve essere un luogo monotono e malinconico. Credo che l’unica aria che si respiri in quei cupi corridoi sia di sofferenza, solitudine e tristezza. Non ho molte conoscenze in materia, diciamo che faccio parte di quel gruppo di “ignorantoni” che si limita a vedere dei film sull’argomento, ma per il resto sono completamente immune da qualsiasi esperienza, idea o informazione. A volte sento fare discorsi sull’ambiente penitenziario da parte di un mio parente, una guardia carceraria del Due Palazzi, ma quello che dice sinceramente lo dimentico immediatamente; non per indifferenza, piuttosto per rifiuto, ma soprattutto paura. Il mio timore più grande riguardo al carcere è sicuramente quello della solitudine e dell’emarginazione: non credo riuscirei a vivere in un ambiente del genere, è assolutamente fuori dai miei canoni di vita. Proprio per questo, quello che più m’intimorisce sono le facce dei carcerati; non che io abbia paura di loro, piuttosto temo di leggere nei loro occhi il dolore e il senso di colpa che provano; sono cose che fin da piccola m’hanno sempre impressionata.

 
 
Mi inquieterebbe molto vedere le persone rinchiuse

 

di Sofia De Stefano

4a D Itas P. Scalcerle

 

Fortunatamente non ho mai avuto esperienze dirette con il carcere… Le uniche fonti che ho per immaginarlo sono i film e i telegiornali. Mi inquieterebbe molto trovarmi “dietro le sbarre” o vedere le persone rinchiuse, anche perché non saprei cosa aspettarmi. La cosa più brutta secondo me è la privazione della libertà di fare ciò che si vuole, anche solo andare al cinema con gli amici, e non poter più vedere le persone care. La funzione principale del carcere dovrebbe essere quella di portare sulla “retta via” chi ha infranto le leggi e, se possibile, di reinserirlo nella società come un uomo giusto dopo che ha scontato la sua pena.

 

 

Io mi sento soffocare solo all’idea di restare chiusa in casa perché me lo impone qualcuno

 

di Elisabetta Soccodato

4a D Itas P. Scalcerle

 

L’idea che ho di quel posto è molto influenzata dai film americani (purtroppo): violenze, molestie, la famosa “ora d’aria” e le visite di parenti e conoscenti controllate ed effettuate attraverso vetri. L’opportunità di partecipare ad un progetto col carcere mi ha entusiasmato fin dall’inizio perché sono cosciente che il carcere non è quello che ci fanno credere, o almeno non solo… Penso che la mancanza di libertà sia una cosa angosciante; io mi sento soffocare solo all’idea di dover rimanere chiusa in casa perché me lo impone qualcuno, anche se non avevo nessuna intenzione di uscire.

La prigionia è una cosa psicologicamente terribile e finire in carcere da giovani è ancora peggio: come si può, ad esempio, entrare in prigione a vent’anni e uscire a ventisette?! Vorrebbe dire che hai perso gli anni più belli della tua vita, quelli della spensieratezza, quelli in cui scopri un sacco di cose, trovi i veri amici, trovi lavoro, coltivi l’amore… Come può un ragazzo/a di ventisette anni uscire dal carcere dopo aver perso anni di vita e ambientarsi con i suoi coetanei senza avere ulteriori scompensi sociali? Il suo lavoro di riambientazione sarà durissimo e si spera che ciò non comporti per lui ulteriori devianze, che lo riportino in carcere.

 

 

Quei detenuti come Clint Eastwood o Charles Bronson

 

di Matteo Capurso

4a D Itas P. Scalcerle

 

Con tutti i film che ho visto con ambientazione penitenziaria, la prima idea che mi posso fare sul carcere è quella di un enorme complesso di edifici, recinti, camminamenti e campi di basket, con sentinelle armate di fucili a pompa e masticanti chewing-gum o tabacco che vanno su e giù per le passerelle, secondini bastardi con atteggiamenti mafiosi nei confronti dei detenuti (talvolta con il beneplacito del direttore-carogna del carcere); detenuti che si possono distinguere in “capoccia” (di solito due che, ovviamente, si odiano), i “protetti”, agli ordini dei capoccia, e i “neutrali”, a loro volta distinti in “filosofi” (coloro che fanno profonde riflessioni sulla loro condizione e spesso aiutano i nuovi ad inserirsi) ed esemplari alla Clint Eastwood o Charles Bronson, audaci e solitari che progettano fughe al limite dell’impossibile. Un altro elemento che spesso viene messo in risalto nelle descrizioni cinematografiche della vita carceraria è l’ampia presenza di detenuti con “tendenze particolari”, che mietono vittime soprattutto tra i nuovi.

 
 
Penso che il carcere sia un luogo “d’attesa”

 

di Chiara Turetta

4a D Itas P. Scalcerle

 

Non ci sono particolari aspetti del carcere che mi fanno paura. Anche se in televisione si vedono spesso liti tra i carcerati che finiscono con ammaccature, fratture, occhi gonfi e rossi di sangue, non credo questo succeda realmente, o comunque, non qui nel nostro Paese. Mi inquieterebbe molto, però, vivere all’interno di una galera, essere rinchiusa senza possibilità di uscita, perché mi sentirei soffocata, esclusa dalla società, dal mondo. La funzione del carcere, secondo me, è quella di essere un luogo “d’attesa”, dove la persona che ha commesso uno sbaglio è rinchiusa con lo scopo di capire il proprio errore e scontare la pena.

 
 
Un carcerato potrebbe farmi riflettere sul valore di ogni singolo attimo

 

di Jessica Piasente

4a D Itas P. Scalcerle

 

Mi immagino il carcere come un luogo sobrio, grigio, pieno di cancelli e uomini in divisa; suppongo che ci siano anche degli spazi aperti. Probabilmente il tempo è scandito da orari regolari, la vita diventa un qualcosa di “programmato”. Credo che l’aspetto peggiore sia il fatto che le persone vengono etichettate; non so se come nei film americani le persone siano identificate con numeri, ma comunque ritengo si tratti di un'espressione che ti lascia segnato per tutta la vita. Non credo che il carcere sia sempre la punizione giusta… a volte è troppo debole, altre è troppo forte. Secondo me un carcerato potrebbe farmi riflettere sul valore di ogni singolo attimo, ora, giorno… probabilmente rimanendo rinchiusi ci si rende conto di tutte le occasioni perse nella vita, quindi ogni cosa, anche ciò che può sembrare più semplice, acquista valore.

 
 
Muri alti e bianchi che riflettono la malinconia dei carcerati

 

di Alice Squizzato

4a D Itas P. Scalcerle

 

Del carcere posso solo dire quello che mi immagino, ovvero un posto sicuramente non allegro, dove i muri alti e bianchi riflettono la malinconia dei carcerati che sono costretti a vivere lì dentro. La prigione me la sono sempre vista come un luogo buio e umido, con lunghi corridoi dove, attraverso le sbarre delle loro celle, si affacciano i detenuti. Quello che sicuramente un detenuto potrà trasmettermi sono le sensazioni e le esperienze che vive giorno per giorno, essendo costretto a stare in un luogo che non è il suo e che molto spesso è ignorato completamente dalle persone fino al momento in cui non le tocca da vicino.

 
 
Viviamo in una società che si dimentica dei carcerati 

 

di Elena Schiavon

4a D Itas P. Scalcerle

 

Non so molto sul carcere, a parte la funzione per cui esiste e la sua utilità. Il fatto è che la società sembra dimenticarsi di quelle persone che hanno sbagliato e che ora stanno pagando la loro pena in carcere, e ci si ricorda per un breve attimo che esistono solo quando succede qualcosa di scandaloso e riprovevole di cui parlare in TV. In questi giorni a scuola stiamo parlando invece in modo piuttosto “familiare” e “benevolo” del carcere: abbiamo anche letto lettere di alcuni carcerati che mi farebbero desiderare che fossero liberi, mentre purtroppo di solito nella vita normale i carcerati sono visti come dei mostri, dai quali tenersi lontani.

 
 
Secondo me il carcere è come un castello medievale

 

di Roxana Stancu

4a D Itas P. Scalcerle

 

Il carcere me lo immagino come un luogo chiuso, grande, diviso in settori con molte celle dove dormono più carcerati insieme oppure c’è un settore “speciale” in cui i carcerati più pericolosi hanno celle singole ed isolate. Quello che mi fa paura di un carcere? Non saprei…, forse le ingiustizie che ci sono all’interno. Secondo me il carcere è come un castello medievale, le mura sono controllate giorno e notte dai custodi per evitare evasioni, tutto l’edificio è sbarrato e per entrarci si fanno vari controlli. Un carcerato potrebbe trasmettermi all’inizio paura, poi compassione mista a diffidenza.

 

 

Nel modello statunitense esistono i lavori forzati, e penso siano utili

 

di Nicola Carletti

4a D Itas P. Scalcerle

 

“Fortunatamente” il carcere non lo conosco da vicino. Le mie opinioni sono fondate soprattutto su cose e fatti letti, sentiti o visti nei comuni mezzi di informazione (quotidiani, telegiornali, internet, radio) e nei film, perciò potrei avere qualche opinione errata o fittizia a riguardo. La funzione del carcere penso sia quella di far “redimere” il detenuto mediante riflessione (per i reati più gravi il tempo abbonda) e attività di rieducazione e riabilitazione. Quello che non approvo è che chi ha commesso reati mediamente gravi non faccia nulla di utile alla società durante le giornata. Nel modello di carcere statunitense (e non solo quello), esistono i lavori forzati, e penso siano utili. Ritengo che la visita al carcere e l’incontro con i detenuti saranno importanti dal punto di vista “informativo”, così ci penserò due volte prima di commettere qualche atto pericoloso.

 

 

Ma come si fa a sconfiggere la noia lì dentro?

 

di Giorgia Raffa

4a D Itas P. Scalcerle

 

A mio padre, essendo un ufficiale dei carabinieri, frequentemente succede di dover andare per servizio in molte carceri e questo accresce la mia curiosità di sapere cosa può o non può fare un carcerato, come si fa a sconfiggere la noia e come si svolge la giornata in un carcere. Molte volte mi è capitato di fare domande a mio padre sulle carceri, ma a queste mie curiosità mi ha risposto sempre in modo vago, forse per non spaventarmi o forse perché il lavoro preferisce tenerlo fuori dalle mura di casa. L’esperienza del carcere comunque non penso sia poi cosi negativa, perché una persona vivendo isolata dal mondo esterno ha la possibilità di riflettere sui propri errori e cercare di migliorare la propria personalità, facendo qualche lavoretto o magari dedicandosi a qualcosa che non ha avuto la possibilità di fare in passato, come ad esempio lo studio.

 
 
Non capisco quali sono i motivi che portano una persona a rovinarsi la vita

 

di Vanessa Sgarabottolo

4a D Itas P. Scalcerle

 

A mio parere tutti i cittadini che fanno parte di una comunità come la nostra conoscono quali sono le regole e, di conseguenza, sanno molto bene anche ciò che può accadere se una certa regola non viene rispettata. Detto questo non capisco tuttora quali sono i veri motivi che portano una persona a commettere dei reati. Ho sentito parlare di problemi gravi, quali la povertà, la noia, la pazzia ed altri, ma ancora non mi spiego  perché le persone si fanno trasportare tanto da questi problemi fino a rovinare per sempre la propria vita.

 
 
Credo che il carcere lasci un segno per tutta la vita

 

di Adelina Nita

4a A Itas P. Scalcerle

 

Poche volte mi è capitato di pensare al carcere, forse perché mette molta tristezza. Personalmente le cose che so del carcere sono quelle sentite dai genitori, viste alla tv o al cinema. Ricordo che quando avevo circa 11 anni, un amico di mio padre e nostro vicino di casa aveva dei problemi con la giustizia e fu condannato a 3 anni. In questi 3 anni mio padre andò ogni tanto a trovarlo, mentre mia madre ed io lo rivedemmo solo quando fu rilasciato. In questo tempo il carcere lo aveva cambiato moltissimo: i suoi occhi evidenziavano una sorta di stanchezza e di dolore… Mi ricordo che, nonostante fosse felice di essere nuovamente a casa, c’era sempre qualcosa di triste sul suo viso. Quello che voglio dire è che, per quanto io ne sappia poco del carcere, credo che lasci un segno per tutta la vita di una persona. Sicuramente la cosa più brutta del carcere è il tempo che sembra non passare mai, i giorni che sembrano mesi, i mesi che sembrano anni.

 
 
Vedo la galera come un luogo di corruzione, violenza e sodomia
 
di Alessandro Brusamento

4a A Itas P. Scalcerle

 

Che cosa penso quando penso al carcere? Bella domanda! Ad essere sinceri l’idea della galera non è una delle mie idee più frequenti, ma comunque una mia opinione me la sono fatta. O meglio due: una più emotiva e una, per così dire, più colorita. Da un lato vedo la galera come un luogo di rieducazione in cui il detenuto capisca il suo errore e pian piano mediti su quello che ha fatto cercando di diventare una persona migliore. Qui la vita del carcerato è una vita di privazioni principalmente morali, che può sì far pensare, ma anche deprimere ed intristire fino all’estremo. Che potrebbe anche scatenare un odio verso il sistema, che certo non porterà alla creazione di un individuo migliore, ma solo di un delinquente arrabbiato con sulle spalle anni di segregazione da sfogare. E qui arriva l’altra idea di galera: un luogo di corruzione, violenza e, brutto a dirsi, sodomia. È importante sottolineare come questa visione nasca nel mio immaginario per tutto quello che Hollywood ci mostra ogni giorno nei suoi film. Sta di fatto che la galera, in entrambi i casi, non è un bel posto, ma è giusto che sia così, perché non è abitata da persone che sono dentro per sbaglio, ma da persone che, secondo i tribunali, se lo sono meritato.

 

 

I miei genitori mi dicevano: “Le persone cattive vanno sempre a finire in un carcere”

 

di Ana Maria Tcaciuk

4a A Itas P. Scalcerle

 

Di origine sono rumena. Il termine “inchisoare”, che in rumeno vuol dire carcere, fin da piccola mi spaventava molto. Perché il senso di quella parola si esprimeva da solo: “inchisoare” deriva dal termine “inchis”, “chiuso in”. Ecco ciò che mi spaventava, la solitudine, l’infinita tristezza di essere rinchiuso tra quattro mura. E chi c’era lì dentro? Cosa aveva fatto per meritare la solitudine dal mondo? Se facevo queste domande ai miei genitori, loro mi rispondevano come tutti i genitori in genere: “Le persone cattive vanno sempre a finire in un carcere”. Basandomi su ciò, mi ero fatta anch’io quella idea, però col passare del tempo, crescendo, ho cercato di dare un senso più positivo al carcere, vedendolo come un luogo dove si incontrano persone che nella vita hanno commesso degli errori e dove possono riflettere sui loro sbagli.

 
 
Non è una realtà trasparente, ma un mondo buio

 

di Angela Barbiero

4a A Itas P. Scalcerle

 

Sono passata mille volte davanti a questa grande casa, il Due Palazzi, a volte senza degnarla d’uno sguardo, a volte fissandola intensamente, guardandola contemporaneamente con interesse, curiosità e paura. Innanzitutto immagino il carcere come una struttura fatta di barriere materiali e psicologiche, dove quasi nessuno vuole guardare. Non è una realtà trasparente, ma un mondo buio, che un po’ fa paura perché al suo interno vi sono persone che hanno trasgredito anche in modo grave, a volte intollerabile, e che ora stanno scontando la loro pena… covando rancore o ritrovando la giusta via? Come possiamo saperlo davvero? La prima angosciante sensazione che si prova là dentro penso sia quella della mancanza d’aria, di trovarsi da un giorno all’altro senza vie d’uscita, continuamente sotto gli occhi degli agenti.

 
 
Un vero inferno

 

di Alessia Sorgato

4a A Itas P. Scalcerle

 

Da piccola, quando pensavo al carcere mi immaginavo un posto lugubre, buio, stretto, dove il detenuto doveva restare rinchiuso finché non avesse finito di scontare la pena. Un vero e proprio “inferno”. Adesso invece lo vedo più come un luogo di riflessione, un punto d’incontro con altri detenuti che si capiscono, parlano, tentano un’amicizia affinché le ore possano passare più velocemente, ma anche per discutere dei propri problemi, del perché si trovino lì. Ritengo che il carcere sia veramente utile per sorvegliare chi, anche soltanto per un attimo, ha perso l’autocontrollo, chi ha sbagliato credendo di fare del bene a se stesso e ora deve pagare, e per sopravvivere o ingannare il tempo può trovare qualcosa di interessante da fare, e magari scoprire hobby e passioni nuovi, che prima venivano ignorati, o semplicemente non si pensava di avere.

 
 
C’è chi si pente e si tormenta, e chi non si pente e non riflette

 

di Alice Destro

4a A Itas P. Scalcerle

 

Se penso al carcere, mi vengono in mente due tipi di persone: il primo è il tipo di persone che fanno qualcosa di sbagliato, ne sono consapevoli, ma non gli importa perché non basta il carcere per fermarli, quindi non si pentono o non riflettono su ciò per cui sono lì; il secondo, invece, è il tipo di persone che si pentono e si tormentano ed è proprio a loro che la prigione serve, perché porta a termine il suo scopo, che è quello di punire chi viola le leggi, ma anche cercare di far capire che ciò che si fa non rispettando queste ultime è sbagliato.

 
 
Per me il carcere è soprattutto sofferenza

 

di Laura Conti

4a A Itas P. Scalcerle

 

La prima cosa che mi viene in mente, quando sento la parola “carcere”, è la sofferenza. Secondo me esistono tre tipi di sofferenza: se un detenuto ha commesso un reato grave come un omicidio, la sofferenza è quella delle persone che volevano bene alle vittime; poi c’è la sofferenza del detenuto che deve vivere nella prigione isolato dalla propria famiglia, solo e senza amici, e forse anche con il rimorso per il gesto compiuto; e ancora, c’è la sofferenza della famiglia del detenuto che vede un proprio componente costretto alla detenzione. La seconda cosa che mi salta alla mente invece è un sentimento di “rabbia”: la prima è la rabbia della famiglia della vittima (sempre in caso di reato grave) contro il colpevole; poi c’è la rabbia del detenuto contro le istituzioni e forse anche contro tutti perché è stato arrestato; e alla fine  penso che in qualche detenuto la rabbia sia verso se stesso, perché forse pensa che avrebbe potuto evitare questa sofferenza, prendendo una strada diversa.

 
 
La frustrazione, il rimpianto, il desiderio di rivalsa

 

di Elena Borsetto

4a A Itas P. Scalcerle

 

Per trovare delle definizioni più appropriate del carcere mi sono affidata al metodo del “brainstorming” (tempesta di idee). Il mio risultato è stato una serie di stati d’animo:

la nostalgia, che i detenuti provano nei confronti dei luoghi e delle persone a loro cari, poiché i contatti con essi sono strettamente regolati e limitati;

l’esclusione dalla vita della società che tende ad avere dei pregiudizi nei confronti dei carcerati, che una volta liberi devono affrontare un difficile reinserimento;

la frustrazione per lo scorrere del tempo che sembra non passare mai, ma che in realtà è scandito con precisione dai ritmi imposti dai carcerieri;

il rimpianto di non aver potuto evitare una simile situazione;

il desiderio di rivalsa, di avere una seconda opportunità;

la rassegnazione ad un destino già scritto che si ha la sensazione di non poter cambiare;

la rabbia verso gli altri o verso se stessi perché ci si sente insoddisfatti della vita.

 
 
Un luogo asettico e privo di emozioni

 

di Enrico Varotto

4a A Itas P. Scalcerle

 

Nella mia immaginazione, il carcere compare sempre come un grande edificio, dove vige un rigore ferreo ed un clima di sicurezza e di severità che, ad un primo impatto, può venire paragonato ad una sala operatoria di un ospedale: un luogo “asettico”, privo di emozioni. Ad ogni modo credo che molti (ma non tutti, purtroppo le punizioni inferte, a mio giudizio, sono troppo miti paragonate alla gravità dei reati commessi) possono essere “recuperati”, ossia ravvedersi e tornare  a condurre un’esistenza tranquilla e dignitosa che ogni cittadino merita.

 
 
L’unica parola che affiancherei a carcere è rimorso

 

di Carlo Giustini

4a A Itas P. Scalcerle

 

La parola carcere spesso ci ronza intorno, minacciosa, quasi avvertendoci del suo potere emotivamente distruttivo. Infatti l’unica parola che affiancherei a carcere è rimorso. Il rimorso di essere colpevoli del proprio dolore e della propria pena. Un uomo a mio parere può toccare il fondo solo quando è consapevole che l’unica persona che può accusare è se stesso. Dopo aver raggiunto questo tragico picco, però, c’è la possibilità di una rivincita, di fare il punto della situazione ricominciando da zero, filtrando dal passato tutto ciò che si può definire positivo, e portandolo con sé.

 
 
Un posto dove il profumo del mare d’estate non esiste

 

di Giulia Franchin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Sarò passata davanti al carcere mille volte e per mille volte mi sono chiesta che cosa ci fosse dentro, come fossero le persone che vivevano là… Immagino un posto enorme, triste, freddo… un posto “grigio”, dove la felicità è una parola sconosciuta alle orecchie di chi ci vive dentro, dove i colori non esistono, un posto “scomodo”, in cui la nostalgia di casa si manifesta sempre di più giorno dopo giorno. Un posto dove le stagioni non scorrono, dove a dicembre non si sente la magia del Natale, dove il profumo del mare d’estate non esiste proprio… Un posto indifferente a tutto, che ti fa perdere la voglia di ridere, di scherzare… la voglia di vivere… Un posto fatto di lunghi e bui corridoi, pieno di stanze che hanno sbarre di ferro alle porte e nessuna tenda colorata o ricamata alle finestre, anzi forse le finestre non ci sono proprio. Immagino tanti letti dentro a queste camere, tanti uomini o donne ammassati l’uno sull’altro… ed io che mi lamentavo di condividere la camera con mia sorella… Un posto talmente triste che fa sembrare anche una catapecchia la casa più accogliente del mondo.

 
 
Carcere? Si sente parlare di droga, omosessualità, eccessi di violenza…

 

di Julia Vaideanu

4a A Itas P. Scalcerle

 

Bisogna considerare la dinamica del carcere da più punti di vista: lo stato dell’individuo recluso e le condizioni in cui vive, il personale carcerario, il rapporto tra i carcerati, e le tecniche adoperate per aiutarli. Ciò che viene automatico pensando ad un carcerato è la limitazione e l’oppressione che il suo essere subisce trovandosi privato parzialmente della sua quotidianità. Mi sembra altrettanto automatico il pensiero che chiunque, quando oppresso, reagisca in vari modi ovviamente più negativi che positivi: per esempio si sente parlare di droga, omosessualità, eccessi di violenza.

 
 
Una punizione dura e difficile, altrimenti che punizione è?
 
di Laura Cocchio

4a A Itas P. Scalcerle

 

Quando sento parlare di carcere, la prima cosa a cui penso sono le sbarre e un’aria soffocante e credo che sia proprio questo: una gabbia senza via d’uscita. Deve essere duro riuscire a sopravvivere in un ambiente dove sei controllato a vista e in cui un po’ di intimità e privacy è solo un’utopia.  Ma il carcere è una punizione, quindi deve essere duro, altrimenti che punizione è? In carcere c’è molto tempo libero e quindi si può pensare: pensare al perché si è arrivati a questo punto, perché si è commesso quel certo reato e a come rimediare e ricominciare una nuova vita. Sono d’accordo sulle uscite-premio per andare a visitare la famiglia, ma non sugli sconti di pena. Quando una persona commette un crimine, deve pagarne le conseguenze fino in fondo, senza sconti.

 

 

Non trovo una giustificazione per la quale un uomo deve rovinare la propria vita…

 

di Roberta Bacchin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Il carcere lo vedo come un luogo in cui regna la solitudine, la desolazione, la monotonia e dove le persone soffrono per la mancanza degli affetti familiari, per il rimorso di ciò che hanno fatto e per il motivo che non sono liberi. Ciò che mi domando quando penso ad un carcerato è la ragione che lo ha spinto a compiere azioni per le quali il prezzo da pagare è finire in una cella privo di libertà e di una vita “vera”. Non so trovare una giustificazione per la quale un uomo deve rovinare la propria vita… ho trovato solo domande e cioè: lo fa per soldi? perché spinto da altri individui? o perché cresciuto in un ambiente negativo e in una società che non ha saputo aiutarlo? Per chi è in carcere provo pietà, tristezza e angoscia. Penso soprattutto ai ragazzi come me, che non possono fare ciò che faccio io, come uscire con gli amici il sabato sera, andare a scuola, visitare belle città, conoscere altre persone…

 

È un “pensatoio” dove c’è solo la libertà di riflettere su ciò che si è commesso

 

di Silvia Giacomazzi

4a A Itas P. Scalcerle

 

Io quando penso al carcere più che ad una prigione spoglia penso ad un “pensatoio” dove c’è solo una libertà: quella di riflettere su ciò che si è commesso. Questa libertà consiste nel classificare le proprie azioni e vedere se le riteniamo giuste o meno. In carcere si ha la possibilità di fare un esame di coscienza per decidere cosa fare della propria vita, se la si vuol buttare oppure se si vuol ricominciare (sempre se il mondo te lo permetterà) ammettendo i propri sbagli. L’unica caratteristica che accomuna il nostro mondo e quello dei detenuti è il fatto che, purtroppo, da noi come da loro c’è chi ha voglia di rimettersi in discussione e chi no, chi si è visto costretto a comportarsi in un certo modo e chi lo ha fatto per puro piacere.

 
 
L’immobilità “dentro” e la vita “fuori” che continua

 

di Valentina Gasparin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Centinaia di celle avvolte nella penombra, le une accanto alle altre, che si affacciano su lunghi e altrettanto tetri corridoi divisi da sbarre ad apertura automatica. Solitamente è questa l’immagine che si crea nella mia mente alla parola “carcere,ma non soltanto… Vedo anche detenuti che percorrono a più riprese il vasto cortile in cemento immaginando la vita che continua ininterrottamente anche senza di loro all’esterno di quelle mura. Penso poi che sia doveroso dividere i detenuti in due tipi: coloro che vivono la prigionia come un periodo di miglioramento traendo da quest’ultimo gli spunti necessari per ricominciare a vivere senza vergogna, ma con la consapevolezza di ciò che è stato e la convinzione di essere diventati persone migliori, e quelli che, al contrario, non accettano affatto questa reclusione, ma anzi… tendono a trasgredire anche dietro le sbarre.

 

 

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