Un film visto assieme

 

Guardando il film “La venticinquesima ora”

La visione “congiunta” del film di Spike Lee ha fornito l’occasione, da parte di detenuti e studenti, per mettere a confronto emozioni e punti di vista diversi

  

Il film, come lo hanno visto gli studenti dell’ITAS P. Scalcerle

 

La trama del film

 

di Elena Borsetto

4a A ITAS P. Scalcerle

 

Il tema del carcere è affrontato nel film secondo una prospettiva indiretta e quindi diversa dalle solite: non più il periodo passato in carcere o quello che segue, bensì le ventiquattro ore prima di entrarci per scontare la propria pena. La storia: uno spacciatore di droga viene arrestato e deve prepararsi a passare sette anni in uno di quei carceri - incubo che rendono una persona irriconoscibile nel corpo e nello spirito, una volta ritornata in libertà. Una serie di flashback aiuta lo spettatore a capire le vicende che lo hanno condotto a quell’evento.

Gli amici, la fidanzata e il padre lo sostengono nelle sue ultime ore, ma senza volerlo si fanno sopraffare dai rimorsi e dai sensi di colpa per non avergli mai impedito di spacciare, per non averlo mai messo alle strette. Nella sua disperazione, anche il protagonista Monty Brogan, un ragazzo per certi aspetti “perbene”, con una vita tranquilla, se non fosse per quell’attività illecita, cerca un capro espiatorio con cui prendersela. Durante il suo monologo davanti allo specchio, egli maledice tutti quelli che abitano la sua città, la New York bianca, quella nera, quella dei preti, quella degli eroi, quella degli spacciatori, quella di tutti…, ma alla fine non gli resta che farsi un esame di coscienza ed assumersi le sue responsabilità: ognuno è fautore del suo destino. In questo modo va in frantumi anche il sogno americano, cioè quello di ricominciare la propria esistenza su nuove basi, come se in America fosse sempre possibile.

 

 

Quello che di originale ha il film

 

di Federica Brugnolo

4a A ITAS P. Scalcerle

 

Trovo che la sceneggiatura non sia affatto ovvia, anzi, credo che Spike Lee abbia voluto rivoluzionare l’idea della detenzione che ci dà il cinema mostrandone una “nuova faccia”. Il regista, infatti, non si sofferma  sulle crudeltà del carcere, come si è soliti vedere nei film che trattano questo argomento, ma porta invece l’attenzione dello spettatore sullo stato emozionale di Monty che sta per entrare in prigione, sul fatto che, nonostante tutto, sembra pentirsi di ciò che ha fatto soltanto perché ora che deve scontare la sua pena  non potrà avere una vita “normale” con i suoi amici e la sua ragazza. 

Non è uno di quei classici film in cui c’è un buono e un cattivo, qui tutti bene o male hanno dei conti da regolare con la propria coscienza. A cominciare dagli amici di Monty (Francis, il broker di Wall Street, per guadagnare raggira la legge e Jacob, l’insegnante, cede alle avances della sua alunna minorenne) per finire con Naturelle, la sua ragazza (lei è complice di Monty in quanto accetta di tenere in casa la droga e accetta di vivere con i soldi da lui guadagnati spacciando). La personalità di Monty, in particolare, mi ha colpito davvero molto. Secondo il mio parere, è un personaggio un po’ ambiguo, in quanto a prima vista sembra un bravo ragazzo, poi invece… spaccia, non si preoccupa di tutta la gente che fa star male (anzi, resta totalmente indifferente quando il ragazzo drogato in crisi di astinenza gli chiede una dose), ma quando trova un cane abbandonato e in fin di vita fa tutto il possibile per aiutarlo. Credo che Monty sia fondamentalmente un ragazzo che, arrivato al momento di pagare i suoi debiti con la società, vuole sembrare forte e coraggioso agli occhi degli altri, ma dentro è impaurito e fragile

 

 

L’ora del pentimento che non c’è

 

di Silvia Giacomazzi

4a A ITAS P. Scalcerle

 

A che cosa si può dedicare “il tempo” che ci separa dal carcere? Probabilmente - tiro a indovinare - ognuno di noi si fermerebbe a pensare al male che ha fatto e a tutte le persone che ha coinvolto. Sarebbe un’ora da dedicare al pentimento, ai rimorsi, ai rincrescimenti. Ma è proprio in questo che il film non è scontato. A Spike Lee e al suo personaggio quest’ora non interessa. Come il titolo stesso del film dice, questo momento tragico viene identificato con “La venticinquesima ora” del giorno: un’ora senza senso, che non esiste. Il pentimento, infatti, non trova spazio, c’è solo il rimpianto. Il rimpianto di non essersi tirati fuori dal gioco prima del precipizio. Tutto nella vita di Monty andava bene, e allora perché non godersi quel successo? L’avidità lo ha schiacciato e lo ha vinto proprio nel culmine del suo benessere. L’unico rammarico è quello di non essere stato abbastanza furbo, quello di non aver sfruttato tante occasioni ormai perdute, di non esser stato abbastanza sveglio da evitare la cattura. Il suo pentimento sta tutto nel suo egoismo. La sua era una vita perfetta ed egli l’ha gettata. Dovrà lasciare tutto ciò che ha conquistato in questi anni, compresa la sua ragazza, i suoi due amici, il padre e il suo cane.

 

 

Il protagonista, Monty Brogan

 

visto da Giulia Franchin

4a A ITAS P. Scalcerle

 

Parlare del protagonista, Monty Brogan, è un po’ difficile: appare una vittima quando è in realtà il cattivo che si è meritato la giusta punizione, e il suo pentimento c’è o non c’è? Nel momento in cui va a scuola e rivede le vecchie foto forse il pentimento c’è o è solo la nostalgia di un passato in cui tutto era ancora possibile? Durante il resto della storia sembra che l’unico rimpianto sia di non essersi accontentato di quello che aveva accumulato nella sua carriera di spacciatore e aver voluto continuare (perché non ha riciclato il denaro sporco giocando in borsa con l’aiuto dell’amico Frank?): la sua ingordigia l’ha tradito. Nonostante Monty sia il “cattivo”, è riuscito però a farsi amare da me, come penso dagli altri spettatori, e a farci provare pena e grande tristezza per la sua situazione.

 

 

Il significato di quella “25a ora” del titolo

 

secondo Laura Failla

4a A ITAS P. Scalcerle

 

Il titolo del film mi fa pensare: la 25a ora potrebbe rappresentare quell’ora persa nel passato nella quale Monty poteva cambiare il suo destino, oppure l’ora del vero pentimento di là da venire o la prima ora che Monty vivrà nel mondo di New York, alla fine dei sette anni di carcerazione, l’ora nella quale potrà riscattarsi… Rimane un mistero, come il futuro del protagonista, una volta oltrepassata la porta del carcere.

 

 

Il film, come lo hanno visto i detenuti

 

 

La mia 25a ora

 

di Alessandro di Marco

 

Fortunatamente, a differenza di tanti altri sfortunati come me, ho avuto almeno il “piacere”, se così si può dire, di essere informato prima della situazione che mi stava per capitare. Dopo tanti tentativi di usufruire di una pena alternativa, ho avuto il rigetto dal Magistrato, quindi era inevitabile la carcerazione. Era l’11 dicembre del 2002, una giornata come tante, mi sono alzato, recato al lavoro, a mezzogiorno sono rientrato a casa e guardando nella buca della posta ho visto che avevo ricevuto una cartolina verde: ATTI GIUDIZIARI. Mi sono detto allora: ecco siamo arrivati. Sono andato subito all’ufficio postale, dove mi veniva consegnato il “definitivo”, quindi sapevo già che avrei avuto un minimo di 5 giorni ed un massimo di 30 prima di entrare in carcere, pertanto avevo pochissimo tempo per sistemare tutte le mie cose, ma la peggior cosa era quella di trovare il modo migliore per spiegare la situazione a mia figlia piccola e giustificare il periodo della mia assenza. Con tanta amarezza sono riuscito a trovare le parole giuste e a convincere in un certo qual modo tutti i miei cari, dimostrandogli la mia determinazione ad affrontare la situazione più tranquillo possibile.

Ho continuato la mia vita come sempre, lavoro, casa e qualche uscita con la mia donna, con un piccolo particolare: avere la valigia pronta, preparata con attenzione a non inserire cose del tipo “non consentito”, per il resto vivevo ogni giorno come se fosse l’ultimo, prima di essere isolato dal mondo esterno. Intanto si avvicinavano le feste natalizie, i giorni passavano, l’ansia aumentava, per fortuna ho trascorso anche il capodanno a casa, e pure l’Epifania. Le ferie intanto erano finite, si ritornava al lavoro, con tutto ciò mi stringevo sempre più ai miei, perché sapevo che ormai era questione di ore e non più di giorni. A volte mi chiedevo: non era meglio se mi arrestavano direttamente, anziché farmi soffrire così tanto?

Intanto era arrivato il 9 gennaio, nevicava e faceva un freddo boia. Avevamo deciso di prenderci mezza giornata di riposo, io e la mia “tata”, ormai si sentiva nell’aria che sarebbero stati gli ultimi istanti da trascorrere insieme. La cronaca dell’ultimo giorno me la ricordo anche troppo bene: mi avvio a casa e inizio a preparare il pranzo, intanto però arrivano i carabinieri, gli chiedo gentilmente se posso fare qualche ultima telefonata. Mi è stato concesso, ho avvisato tutti i miei che era giunta l’ora, in un batter d’occhio sono arrivati tutti a casa, li ho salutati, c’è l’ho fatta, non ho versato una lacrima, son riuscito a tenermi l’angoscia dentro, però ho mandato via tutti, non volevo che mi vedessero uscire con le manette, ed anche questo mio desiderio è stato esaudito, non mi hanno ammanettato perché avevano capito che non c’era pericolo di fuga.

La più triste di tutti era la mia piccola, avvicinandosi alla macchina mi ha sussurrato: “Papino, perché ora che ti ho trovato ti stanno portando via?”. Ancora oggi quelle parole rimbombano nella mia testa. Il distacco è stato fortemente sentito da parte di tutti, tante cose che mi ero costruito mi sono andate distrutte, tanti sentimenti sono stati spezzati dalla sofferenza, dall’incomprensione e da quant’altro può causare una carcerazione.

 

 

Le mie 24 ore prima…

 

di S. F.

 

Se Monty Brogan, il protagonista del film “La 25a ora”, deve affrontare una drammatica riflessione su quei sette anni di galera che lo aspettano, per me le ore prima dell’ingresso in carcere sono state un po’ diverse.La mia entrata in carcere è legata ad una situazione difficile, dovuta ad un totale abbandono da parte della famiglia, frutto di drammi e conflitti che, anche se maturati in un contesto di massima legalità, hanno causato forti ripercussioni su una persona dal carattere fragile come ero io allora. Tutto ciò, anche se non mi dà giustificazioni, ha fatto sì che mi mancassero, in un momento di grande dolore e difficoltà personale, quegli appoggi necessari che sarebbero serviti come supporto per cercare di arginare il verificarsi di quell’unico episodio delittuoso che mi ha condotto in carcere. Ho vissuto la mia entrata in galera in uno stato di semiincoscenza: la litigata, quel maledetto coltello, la corsa in questura per sollecitare i soccorsi, le ore che passavano dalle nove del mattino senza sapere nulla per poi sentirmi dire alle quattro del pomeriggio che avevo ucciso una persona.

Il Magistrato che conferma l’arresto e alle diciassette e trenta si aprono per la prima volta le porte del carcere, anche se in quel momento mi trovo in uno stato di incapacità personale di comprendere ogni tipo di realtà. Sento allora di essermi allontanato dal mio mondo, da quei valori in cui ho sempre creduto, di avere perso tutto, e non so spiegarmi come, e subentra la paura di dove mi troverò, come sarà la sezione e quali persone ci saranno. Vengo messo in cella da solo e riesco unicamente a sdraiarmi sul letto e a guardare il soffitto chiedendomi quale fine abbia fatto la mia vita, con il pensiero di aver creato ripercussioni negative anche sulle persone vicine. Sicuramente ora questo mio racconto introduce, in quella che doveva essere la recensione di un film, un’interpretazione personale, ma ritengo necessario inserire questi pensieri per dare una idea di come ci si sente e dove ci si trova quando si finisce in carcere e per far capire quale peso possono avere le paure di chi entra.

In carcere, la ricostruzione della propria vita e la propria maturazione è affidata a se stessi, in un difficile e tortuoso cammino che purtroppo troppe volte va a scontrarsi con quella che è la realtà carceraria. Si vive una sofferenza interna con se stessi, amplificata dal tempo per riflettere e dalla volontà, che da subito si instaura, di non fare pesare sugli altri tutto questo. Le mie ultime 24 ore sono state vissute come se fossero molto più lunghe, dando spazio a mille emozioni che tuttora continuano, mentre percorro un tunnel di cui posso vedere la luce unicamente con la ricostruzione di me stesso e non certo con il solo aprirsi dei cancelli. Ci tengo però ad aggiungere un’ultima cosa, e cioè di come a mio avviso il primo passo per rieducare debba partire proprio dalle persone che vivono il carcere e che vogliono ricostruirsi. Ma anche per chi sta fuori conoscere questa realtà può essere la base per comprendere che dagli errori degli altri si può imparare qualcosa di utile per sé.

 

 

Il mio primo giorno di carcere

Quando uscirò da qui, da ex detenuto, sono sicuro che tutti mi vedranno con un altro’occhio e non mi rispetteranno più

 

di Damiano Botton

 

Visto che al centro di questo film c’è l’attesa di entrare in carcere, guardandolo mi è venuta in mente l’esperienza del mio primo giorno in galera: la ricordo molto bene, proprio quel giorno ho scoperto che nella mia città esisteva un carcere. La cosa che più mi ha impressionato, e che ancora mi colpisce, è la cadenza delle giornate, tutte uguali. Un lato che invece si può definire positivo è che si dà più valore alle cose, alle amicizie, a piccoli gesti che nella vita normale nemmeno si notano più. Per esempio per me è un momento di grande gioia quando ricevo posta, sembra quasi che qualcuno entri per farmi un po’ di compagnia. Sempre nei primi giorni, mi ha colpito molto vedere queste costruzioni blindate che mi contenevano, la mancanza di un panorama o di una vista come avevo a casa mia, qui solo muri e acciaio. Quando vivevo da persona libera la gente mi rispettava, ma un giorno che uscirò da qui, da ex detenuto, sono sicuro che tutti mi vedranno con un altro occhio e non mi rispetteranno più.Il film che abbiamo visto mi è piaciuto molto: è la storia di un ragazzo che trafficava droga ed è stato tradito e denunciato da un suo amico, ma certo commettendo il reato doveva sapere a cosa sarebbe andato incontro. Bel film, ma la vita qui dentro non è un film, è la verità, e certe volte, anche finita la pena, non si trova nessuno ad aspettarci.

 

 

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