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Il piacere di un incontro stra-ordinario
Una piccola comunità parrocchiale ci scrive per raccontarci un’esperienza di confronto con i detenuti
Comunità di Valsanzibio (PD)
Quando si scopre e si vive una cosa bella è impossibile tenersi tutto dentro: si parla, si racconta, si condivide, lo si grida a tutti! È quello che è capitato alla nostra piccola comunità parrocchiale di Valsanzibio, che nel mese di marzo dello scorso anno ha fatto un’esperienza straordinaria, e ora lo vogliamo "gridare" anche a voi tutti. Il termine non è usato a caso: stra-ordinaria nel senso che è andata proprio oltre l’ordinario delle solite giornate che a volte ci sembrano sempre uguali le une alle altre… La spieghiamo, questa cosa straordinaria? A marzo, appunto, ci è stata data la possibilità di vivere una mezza giornata in compagnia di alcuni amici: sono venuti a trovarci "a casa" alcuni ragazzi detenuti presso il Due Palazzi di Padova. Questo è stato possibile grazie all’operosità di un volontario, Maurizio, che si è caricato sul suo pulmino (previa dovuta autorizzazione, naturalmente!) circa una ventina di simpatici pazzi scatenati. Una partitella a calcetto (il cui risultato è già dimenticato… c’erano ben altre cose più importanti!), una cena in compagnia, quattro chiacchiere in allegria, e le vite di persone apparentemente troppo distanti si sono fatte molto simili, anzi le stesse.
È stata proprio questa la scoperta più bella: siamo davvero proprio tutti uguali, con le stesse possibilità di sbagliare e di rinascere; lo stare bene insieme è effettivamente possibile quando c’è la piena disponibilità da parte di tutti; i pregiudizi (sia dell’una che dell’altra parte) sono solo barriere costruite da noi e che spesso (non sempre ma per fortuna spesso) cadono come muri di argilla quando ci si lascia invadere dalla realtà, specialmente quella umana! La nostra comunità è cresciuta e cambiata in modo sensibile, certi muri di indifferenza e pregiudizio sono crollati e certi atteggiamenti di critica sono maturati: siamo certi che nessuno è rimasto come era prima. Anche chi non c’era quella sera ne ha sentita eco per le nostre case e strade, perché nessuno di noi ha potuto tener dentro ciò che ha vissuto, tutti l’abbiamo urlato forte, ognuno a suo modo, chi parlando, chi vivendo, chi amando, chi ascoltando, chi scoprendo che nelle giornate sempre "uguali", di cui si parlava sopra all’inizio, lo straordinario è nelle persone che siamo e che incontriamo. Non è stato un incontro "improvvisato": per più di un mese ci siamo preparati, giovani e adulti, a capire che cosa avremmo vissuto da lì a pochi giorni. È stato un bel cammino insieme, ma le mani strette, gli abbracci, i volti, i sorrisi, gli occhi di quel giorno hanno dato il vero senso alle tante parole dette nel mese precedente. Nei mesi successivi c’è stato poi anche un bello scambio di lettere (le lettere vere, quelle su carta, spedite col francobollo, quelle con la calligrafia e la firma che parlano veramente di te e di ciò che sei) che hanno continuato, a distanza, un dialogo che entrambi non potevamo e non volevamo interrompere. E il dialogo è continuato anche in parrocchia, perché dopo un paio di mesi da questa esperienza ne è nato uno spettacolo-recital che ha coinvolto ed entusiasmato tutti. E il dialogo continuerà ancora, perché a settembre rivivremo questa esperienza, e, credeteci, stiamo attendendo quella giornata con gioia! L’uomo è davvero una risorsa infinita, una creatura spettacolare, una continua sorgente di amore, una scoperta sempre nuova… bisogna solo saper cogliere le occasioni e abbassare un po’ il gradino da cui spesso guardiamo il mondo. Arrivederci ragazzi… Vi aspettiamo!
Vi ringrazio per il coraggio e la sincerità con cui avete affrontato l’argomento sessualità Un’insegnante ci scrive, dopo aver letto gli articoli che Ristretti ha dedicato al sesso, negato e svilito dal carcere
Cari ragazzi della Redazione di Ristretti, vi ringrazio per il coraggio e la sincerità con cui avete affrontato l’argomento sessualità. Non è facile rompere il silenzio su questioni così intime e private, senza scadere nella banalità. Soprattutto quando l’argomento è trattato dal genere maschile. Nel vostro acceso dibattito sono emerse opinioni differenti, un modo sicuramente molto personale di affrontare un tema che a noi persone libere sembra scontato. Invece non lo è affatto. Lavoro in carcere da alcuni anni come insegnante, ma da subito sono stata carpita dalla sindrome di cui parlava qualcuno di voi: la carcerite. Pertanto il mio intervento di docente non è stato unicamente quello di portare schede di italiano agli stranieri, ma ho cercato nel mio piccolo di capire, di comprendere una realtà che per certi versi è paradossale, a partire dalla negazione della possibilità di vivere un affetto, una volta chiusi in carcere. Io stessa non ho mai toccato l’argomento, perché i miei allievi stranieri, perlopiù arabi, apparentemente sembrano estranei a queste problematiche. E nei confronti della figura dell’insegnante hanno un grande rispetto. Un sacro rispetto. Questo sicuramente è legato ad una cultura, molto differente dalla nostra… ma il discorso ci porterebbe lontano. Lavorando io stessa con la redazione del giornale del nostro carcere, l’argomento che voi avete trattato con tanta disinvoltura non è mai emerso. Le ragioni si possono trovare nel fatto che di queste cose il detenuto non si sente di parlare con la prima che passa, anche se così non è. Ma anche da una forma di autocensura che chi vive in carcere fa su se stesso. Mia moglie qui dentro non la vorrei… Qui dentro vivo una sorta di censura, quando esco si vedrà… oppure… mi arrangio come posso. Mezze frasi, dette a volte, ma che sottolineano che il problema esiste, e non si può negare. Dagli interventi emersi dal vostro dibattito mi sorprende la forza con cui voi ragazzi siete ancorati al presente, ma soprattutto non rinunciate al futuro, fatto a volte di fantasie, ma che servono per mantenervi vivi. Non bisogna rinunciare ai sogni, anche quando la strada è lunga e in salita. Ritengo che le donne che vi aspettino una volta fuori, siano donne in gamba, coraggiose, le donne che vedo ai colloqui, che a volte mi sorridono, con i bambini in braccio… queste donne vengono a trovare qualcuno di voi. È un grande regalo! Ma loro stesse andrebbero sostenute fuori, perché non credo che avere un uomo in carcere sia una stelletta da portare, oggi non lo è, ma non lo è mai stata. A volte qualcuno dei miei allievi italiani mi racconta che è stato lasciato dalla compagna. Allora si scatena la rabbia delle rabbie. E mi domando cosa farei io al loro posto… Non è facile, non ho risposte. In questa sorta di collegio-hotel a quattro stelle, come qualcuno ha definito il carcere, la sessualità viene lasciata fuori, come gli oggetti personali depositati all’ingresso. Una volta che esci li recuperi… Una sorta di velo di decenza copre l’argomento, rendendolo cupo, intoccabile. Non sta certo a noi ospiti trovare la soluzione, ma certamente parlarne fa bene, rompe un po’ il muro. E vi ringrazio di questo… continuate a sognare davanti a quelle immagini femminili: nessuno può negare i sogni!
Fina Quattrocchi, docente carcere di Monza Qualora voleste scriverci potete farlo indirizzando le vostre lettere alla Scuola Media Confalonieri - settore carcere - Via San Martino n° 8, 20052 Monza Milano
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