Prospettiva lavoro

 

A Gela si va a lezione di legalità

 

Prevenire la criminalità partendo dalla scuola, con percorsi di cultura civica per i più giovani. Ma anche sostenendo quei minorenni che hanno già commesso un reato, oppure dando un’opportunità a quegli adulti che escono dal carcere e rischiano, più degli altri, di ricadere in una vita sbagliata

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Rifanno le strisce pedonali sbiadite, ne disegnano delle nuove, si occupano della manutenzione e della posa della segnaletica stradale. E non sono operai qualunque, bensì cittadini di Gela che hanno avuto problemi con la giustizia. Lo scorso aprile hanno iniziato a lavorare per l’Assessorato ai Servizi sociali della cittadina siciliana. Un progetto finalizzato all’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, realizzato esclusivamente con fondi dell’amministrazione comunale, cominciato in forma sperimentale per tre mesi ma che, visti i buoni risultati, viene continuamente rinnovato.

D’altronde era stato chiaro, il sindaco di Gela Rosario Crocetta, parlando alle persone coinvolte nel progetto: “C’è la disponibilità a reiterarlo, a condizione che dimostriate impegno e serietà. Chi lavora viene pagato, chi non lavora e non rispetta quanto previsto dal progetto verrà escluso. Sono fiducioso che si possano raggiungere risultati soddisfacenti”.

Dal canto loro, gli ex detenuti si erano impegnati, dopo un simile attestato di fiducia da parte dell’amministrazione comunale, a dimostrare alla società la voglia di cambiare sfruttando l’occasione loro offerta. Conosciamo meglio il progetto grazie a un’intervista all’assessore alla Solidarietà sociale del Comune di Gela, Paolo Cafà.

 

La vostra amministrazione comunale sta assumendo parecchie persone che hanno avuto problemi con la giustizia, detenuti ed ex detenuti. Da cosa nasce questo impegno?

Con questo progetto, avviato da circa un anno, intendiamo favorire l’integrazione e il reinserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti. Un’iniziativa che nasce da una convinzione: nella società civile è necessario ottenere il contributo umano e di esperienze di questa particolare categoria sociale. Anche perché il nostro ordinamento giuridico consente a chi ha espiato la pena di essere recuperato nei valori sociali e culturali, in armonia con i bisogni della società. In una realtà complessa quale è la società gelese, è fondamentale il tentativo di recuperare concretamente ai valori della civile convivenza coloro che hanno avuto disavventure giudiziarie, consapevoli del fatto che la riuscita di questi obiettivi servirà non solo a integrare gli ex detenuti, ma soprattutto a non farli ricadere nell’illegalità.

 

Chi può accedere a questi progetti di inserimento e quante assunzioni sono state finora effettuate?

Si avvalgono dei progetti d’inserimento socio-lavorativo tutti gli ex detenuti che ne fanno richiesta presso i tre centri sociali e di segretariato messi a disposizione dal Comune. Da quando abbiamo iniziato la sperimentazione, sono stati impiegati in attività socialmente utili circa sessanta detenuti per un periodo limitato a tre mesi e per un orario di lavoro differente, secondo le necessità dell’amministrazione comunale.

 

Ma perché il limite dei tre mesi?

È il regolamento del Consiglio comunale a stabilirlo: lo scopo è far lavorare e quindi reinserire quante più persone possibile. In pratica vogliamo dare questa opportunità a un numero maggiore di persone.

 

Che tipo di lavoro svolgono queste persone e quali criteri retributivi applicate?

Gli ex detenuti vengono impiegati presso vari settori della pubblica amministrazione: la cura del verde pubblico, la viabilità urbana, la manutenzione, i lavori pubblici, l’urbanistica…

I criteri retributivi sono rappresentati dal contributo a cui avrebbe diritto l’ex detenuto al momento della domanda, utilizzando le tabelle Inps per ogni caso specifico, che a loro volta indicano l’entità della somma da erogare. Si tiene conto di criteri oggettivi quali il numero dei componenti il nucleo familiare, l’eventuale presenza o assenza di reddito all’interno della famiglia, lo stato di occupazione o disoccupazione dei familiari… Così facendo il Comune restituisce dignità all’ex detenuto, corrispondendo il contributo spettante a fronte di un’attività socialmente utile.

 

Avete iniziato “in prova”, per un solo trimestre, ma state andando avanti a ciclo continuo: se ne deduce che siete soddisfatti dell’esperienza.

Naturalmente l’esperienza si è dimostrata assolutamente riuscita. A ciclo continuo, alla scadenza di ogni trimestre, l’assessorato avvia all’integrazione socio-lavorativa tutti gli altri ex detenuti usciti dal carcere che hanno presentato domanda di inserimento, finanziando i progetti con i fondi comunali inizialmente previsti come contributi in favore di questa fascia sociale.

 

State sostenendo anche un altro progetto interessante, di cultura della legalità. Ce ne parla?

In passato il Comune di Gela ha compartecipato finanziariamente al progetto Orione, finanziato anche dal ministero della Giustizia. È una convenzione che si occupa delle famiglie dei minori caduti nella rete penale oltre che di questi ultimi, seguendoli quotidianamente in tutte le loro attività principali: recupero scolastico, educazione alla legalità, attività educativa, domiciliare e familiare. Dal 2003, poiché i fondi del ministero non erano più disponibili seppure il progetto si fosse dimostrato molto valido, abbiamo deciso di sostenerlo direttamente con le nostre risorse.

 

E avete iniziato a entrare anche nelle scuole, coinvolgendo per primi i docenti…

Per la prima volta, tramite questo assessorato, sono stati avviati presso l’istituto scolastico “E. Solito” della nostra cittadina dei corsi di formazione per docenti di scuole elementari e medie inferiori per l’affermazione dei valori della pace, della legalità e della solidarietà. A queste attività hanno partecipato parecchi docenti, e da questo abbiamo potuto apprezzare la buona riuscita degli obiettivi che l’amministrazione comunale si è prefissata.

 

Chi ha tenuto i corsi?

I corsi sono stati tenuti da docenti e scrittori, tra i quali i professori Savio e Barazza dell’istituto Sereno Regis di Torino, il professor Licciardello della facoltà di Magistero dell’Università di Catania, oltre a docenti locali come il dottor La Rosa del Ser.T. di Gela e il compianto professor Altamore.

 

Quali argomenti avete trattato per sensibilizzare al meglio gli studenti?

I corsi sono stati incentrati sulla cultura della pace, della non violenza, della legalità, della solidarietà. Abbiamo anche informato su problemi sociali come l’alcolismo, l’uso delle droghe, le relazioni tra i giovani e alcune discipline sportive. È da queste cose, che a volte ci sembrano semplici e scontate, che dobbiamo partire se vogliamo prevenire la criminalità.

 

 

Una lavanderia “con un’anima”

 

Si chiama “Lavanderia solidale”, si trova nell’Istituto penale femminile della Giudecca, lava la biancheria delle carceri veneziane, ma è pronta a offrire i suoi servizi anche a ristoranti e alberghi della città

 

Si chiama “Lavanderia solidale”, e non è facile capire cosa possa esserci di solidale nel paziente lavare e rilavare lenzuola e asciugamani: il fatto è che non si tratta di una lavanderia “normale”, ma dell’ultimo progetto messo a punto dalla cooperativa Il Cerchio e dalla direzione degli Istituti di pena di Venezia per far lavorare sempre più detenuti e dare servizi utili.

È la prima lavanderia industriale carceraria, l’unica a vantare un marchio di qualità, “Istituti di pena veneziani, manodopera di qualità”, ed è stata resa possibile grazie al contributo economico offerto dalla Regione Veneto e dalla Provincia di Venezia (rispettivamente di 36mila euro e di 6mila euro per l’acquisto di lavatrici ed essiccatoi industriali), nonché dal sostegno del Comune di Venezia che con i fondi della Legge speciale ha coperto il 70 per cento dei costi per l’adattamento del sistema di depurazione delle acque.

Una lavanderia, all’interno della Casa di reclusione donne della Giudecca, c’è da sempre e quattro detenute in articolo 21 si occupano di fare il bucato per i tre istituti penali di Venezia, ma oggi l’obiettivo è quello di aprirsi verso il mercato delle piccole strutture ricettive del territorio e dei ristoratori,  aumentando così il personale impiegato all’interno della Casa di reclusione donne.

Il progetto, che è stato di recente presentato dall’esperto di marketing Michele Molin presso la sala del Consiglio comunale di Ca’ Farsetti, punta ad imporsi sul mercato grazie ai prezzi concorrenziali e alla qualità del servizio. L’impianto, oggi già dotato di  macchinari industriali per il lavaggio, l’essiccatura e la stiratura, verrà ulteriormente potenziato al fine di garantire la qualità del lavoro e il rispetto dei tempi di consegna. Il servizio reso dalle detenute della Casa di reclusione sarà coadiuvato all’interno dell’istituto da personale volontario, all’esterno da personale dipendente della cooperativa, attraverso la raccolta e domiciliazione della biancheria, e da un responsabile di settore che garantirà la qualità del lavoro. Tutta l’attività è riassunta in un marchio raffigurante due mani che si cercano e si sfiorano  in un movimento circolare che è allo stesso tempo abbraccio solidale e vorticante centrifuga.

“Un servizio innovativo, che anticipa i tempi, e che potrà fare scuola nel settore della cooperazione sociale veneta per lo spirito d’iniziativa dimostrato a favore delle detenute e della città”, è stato il commento di Sante Bressan, assessore regionale alle Politiche Sociali, a nome della Regione. “È una fase di stagnazione della produzione industriale”, ha ricordato Bressan, “l’esempio di successo portato avanti dalla cooperativa sociale Il Cerchio dimostra che è nell’innovazione la carta vincente anche per il terzo settore”.

Attualmente sono millecinquecento i chili di biancheria che vengono lavati mensilmente, ma la lavanderia ha una potenzialità giornaliera di trecento chili, i nuovi finanziamenti consentiranno inoltre di acquistare una nuova lavatrice che porterà a cinquecento chili al giorno la capacità della lavanderia, che diventerà l’unica a livello industriale nel centro storico di Venezia. E già molti alberghi si sono dimostrati interessati e hanno chiesto le tariffe. Speriamo che per le donne della Giudecca sia possibile al più presto “mettere un piede fuori” anche con questa attività.

 

La parola a Ina, addetta alla lavanderia, abile a lavare, ma anche a disfare nodi

 

“In lavanderia siamo in quattro, laviamo per i tre istituti penali di Venezia, non lavoriamo ancora per privati, alberghi, ospedali, ed è un peccato, perché le potenzialità ci sono, le attrezzature sono molto moderne. Ma gli alberghi qui preferirebbero avere le lenzuola in affitto, per non tenere un magazzino, che è più dispendioso, quindi si tratterebbe di attrezzarsi acquistando la biancheria e poi dandola in uso a ristoranti, alberghi e simili e occupandosi naturalmente di lavarla e stirarla.

Quanto al nostro lavoro, è anche simpatico… specie quando dobbiamo disfare i nodi che fanno al maschile i nostri compagni, perché i detenuti, non potendo avere le lenzuola con gli angoli, gli angoli se li creano annodando e poi attorcigliando i bordi delle lenzuola. Quando abbiamo iniziato a lavorare, sono venuti dei tecnici e ci hanno fatto un breve corso di formazione, ma poi molto abbiamo imparato, nella manualità e nel saper far funzionare le macchine, da autodidatte “sul campo”. Noi laviamo le lenzuola a 100° con cinque detersivi, escono davvero pulite.

Io ho un contratto di sei ore al giorno, le altre ragazze di quattro ore, ma penso che se ci fossero commesse esterne ci sarebbe la possibilità di far lavorare la lavanderia otto ore al giorno e assumere ancora. Il fatto è che la macchina più grande porta ventisette chili, lava una trentina di lenzuola alla volta quindi, e però è ancora sottoutilizzata. Si lava molto per il carcere maschile, il cambio è ogni settimana, molto meno per la Giudecca, perché qui se possibile utilizziamo lenzuola nostre.

Per noi è importante sentire di avere qualcosa che non appartiene all’amministrazione. Il resto poi lo diamo anche noi a lavare, coprimaterassi, teli da bagno e altro, ma le lenzuola le laviamo con la lavatrice che ci ha regalato l’associazione “Il Granello di Senape”, e prima, quando non c’era la lavatrice, molte di noi preferivano lavarsi le lenzuola a mano, piuttosto che usare quelle del carcere”.

 

 

Terni, il lavoro esce dal carcere

 

Contattare le aziende più sensibili, spingerle a prendere un detenuto in prova, pagare quel periodo con una borsa lavoro. E, alla fine, fare in modo che l’esperimento si trasformi in un’assunzione. È il metodo del progetto Sestante, portato avanti dalla Caritas diocesana e dall’associazione San Martino. Al quale hanno già aderito una trentina di imprese

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Il progetto Sestante è un caleidoscopio di storie di vita. Ne parla con orgoglio Bruno Andreoli, presidente della Caritas diocesana di Terni: “Offriamo borse lavoro con le quali contattiamo le aziende, proponendo di prendere gli ex detenuti per un periodo di prova pagato con quei soldi. Poi, una volta finito il percorso, chiediamo un impegno morale ad assumerli. Così capita che molti detenuti o ex detenuti ricomincino a fare i lavori che svolgevano prima della detenzione - muratori, carpentieri, elettricisti, meccanici - e lentamente si riavvicinino a una vita normale. Mentre per quelli che non hanno esperienza, buttarsi nel mondo del lavoro diventa una stimolante novità: è proprio in alcuni di questi casi che abbiamo già ricevuto l’impegno delle aziende all’assunzione”.

Ma il progetto Sestante è molto di più: significa un rapporto di fiducia e vicinanza più stretta con i detenuti. “Li incontriamo in carcere”, prosegue Andreoli, “tramite un gruppo di nostri volontari e prendiamo atto di quelle che sono le loro esigenze più immediate. Con i mezzi a disposizione della Caritas, cerchiamo di far fronte a questi bisogni”.

I detenuti apprezzano e si avvicinano al progetto Sestante con la fiducia di affidarsi a persone amiche: al di là delle sbarre, per loro potrebbe affacciarsi un futuro nuovo, che li porterà a reinserirsi da uomini liberi nella società e nel mondo del lavoro. Per saperne di più, oltre a Bruno Andreoli ci siamo rivolti a Ilaria Bonanni, operatrice dell’associazione San Martino, che ha lavorato direttamente al progetto Sestante.

 

Quali attività svolge, in carcere, l’associazione San Martino?

L’associazione di volontariato San Martino è nata per volontà della chiesa locale, e si occupa della gestione delle opere create dalla Caritas diocesana di Terni-Narni-Amelia: in pratica ne è il braccio operativo. Siamo da tempo impegnati nel sostegno e nel supporto dei detenuti, in modo prevalente presso la Casa circondariale di Terni e per il progetto Sestante, volto in parte al reinserimento socio-lavorativo di persone detenute. Siamo inoltre presenti, con il progetto Orientare il rientro, che prevede, oltre a un centro di ascolto in carcere, una serie di iniziative per valorizzare le competenze dei detenuti e sensibilizzare l’esterno sulle problematiche detentive.

 

Quali sono gli obiettivi del progetto Sestante?

L’obiettivo generale del progetto Sestante, finanziato con fondi Cei otto per mille, è quello di ampliare i servizi già in atto a favore degli immigrati, rivolgendo particolare attenzione agli immigrati irregolari e in stato di detenzione. È stato quindi potenziato lo sportello di orientamento al lavoro presso la Caritas diocesana di Terni, rivolto in modo particolare a donne straniere, ed è stato aperto un altro Sportello presso la Casa circondariale, inizialmente solo per i detenuti stranieri e poi allargato all’intera popolazione carceraria.

 

Come funziona lo sportello di orientamento al lavoro in carcere?

All’interno della casa circondariale, informa sulle normative per l’impiego, sull’andamento del mercato del lavoro, sulla domanda e l’offerta occupazionale e sui servizi di assistenza presenti sul territorio. Cerca anche di facilitare la conoscenza delle proprie capacità attraverso un bilancio delle competenze, oltre a favorire il contatto con le imprese. Ma lo sportello è attivo anche sul territorio, per sensibilizzare le imprese sulla problematica della detenzione, far conoscere loro le professionalità esistenti presso la Casa circondariale e suscitare l’interesse a interagire con una forza lavoro finora nascosta. Il tutto finalizzato a costruire reali opportunità di primo inserimento lavorativo attraverso l’erogazione di dieci borse lavoro, e infine fornire un sostegno per tutta la durata della borsa lavoro.

 

Quanti detenuti stanno usufruendo di questo servizio?

Lo sportello di orientamento ha iniziato a essere operativo con un’attività di front office due volte la settimana. In un anno sono pervenute duecentonovanta richieste, è stato offerto il servizio a centosedici utenti con duecentotrentuno colloqui effettuati. Dopo il primo colloquio, cinquantasei detenuti hanno fatto una o più richieste di parlare con l’operatrice di riferimento. Dei duecentotrentuno colloqui, centoquindici sono stati quindi contatti successivi al primo. Sono giunti allo sportello sessantatré detenuti italiani, circa il 54 per cento della popolazione detenuta, e cinquantatré detenuti stranieri (il 46 per cento). Dalle dieci borse lavoro previste inizialmente è stato poi possibile attivarne quindici (alcune terminate a ottobre 2004): quattordici detenuti hanno avuto la possibilità di usufruirne; cinque sono stati assunti in corso o al termine della borsa lavoro; un detenuto ha ottenuto l’affidamento ai servizi sociali nella sua città di residenza, riavvicinandosi così alla famiglia. Solo due borse lavoro sono state revocate, una per incidente stradale e l’altra a causa di un comportamento non corretto. Le aziende che hanno ospitato i detenuti per le borse lavoro sono state dieci: un buon riscontro che ha permesso, grazie all’assunzione anticipata di alcuni borsisti, di far aumentare il numero delle ore disponibili e di offrire quindi nuove possibilità grazie all’erogazione di altre quattro borse lavoro.

 

Come vi muovete sul territorio per contattare le aziende?

Inizialmente compiliamo una mappa del sistema socio-economico del territorio, per fotografare il grado di sensibilizzazione del mercato del lavoro ternano nei confronti del carcere. Nel corso dei contatti con le aziende è nata anche l’idea di creare un catalogo delle Aziende amiche, dove inserire la mappatura delle realtà economiche disponibili ad aprirsi a stranieri e detenuti. Questa attività viene portata avanti attraverso un contatto diretto con le imprese, e successivamente con la presentazione della persona individuata (nel caso delle borse lavoro per i detenuti) o con la presentazione di più candidati (nel caso degli utenti dello sportello esterno). All’azienda viene comunque garantita un’attività di tutoraggio per il periodo della borsa lavoro, o un’attività di mediazione nella selezione per gli utenti stranieri dello sportello esterno. Le aziende contattate nel primo anno della nostra attività sono state in totale cinquantacinque, di cui venticinque hanno usufruito del nostro servizio attraverso borse lavoro o preselezione di personale, altre diciassette hanno dato la loro disponibilità all’assunzione di detenuti o stranieri e tredici hanno invece risposto negativamente.

 

E il progetto Orientare il rientro, invece, di cosa si occupa?

È la risposta che la chiesa locale, attraverso la Caritas diocesana, dà al fenomeno della carcerazione. L’obiettivo generale è quello di fornire un servizio di orientamento formativo e professionale ai detenuti della Casa circondariale di Terni e in parte a quelli della Casa di reclusione di Orvieto, mediante l’attivazione di due percorsi diversi tra i detenuti stranieri e quelli italiani per rispondere alle loro diverse esigenze. Inoltre sono stati svolti due corsi di orientamento al lavoro, a Terni e a Orvieto, rivolti a dieci detenuti italiani in fine pena e siamo attivi per far fronte alle esigenze dei detenuti che escono dal carcere e non hanno mezzi di prima necessità: forniamo un kit delle 48 ore, come avviene già in altri istituti di pena, e offriamo accoglienza presso le nostre strutture.-

Il punto di vista di Francesco Dell’Aira

Direttore della Casa circondariale di Terni

La popolazione detenuta non assomiglia più allo stereotipo ipotizzato dall’Ordinamento penitenziario del 1975: le frange di disagio rappresentate all’interno vanno dal deviante al tossicodipendente, fino a coloro che rischiano la vita per fuggire dal loro Paese. Abbiamo altissime percentuali di detenuti con problemi di tossicodipendenza e di provenienza extracomunitaria. Occorre per questo ripensare regole nuove di osservazione e di trattamento con strumenti meglio calibrati all’emergenza odierna e alla situazione che si andrà a consolidare nei prossimi anni. A tal fine, questa direzione ha sempre accolto ogni iniziativa proveniente dal contesto sociale attraverso un sistema di sensibilizzazione e attivazione di reti con strutture pubbliche, del privato sociale e del volontariato. Questo rapporto di collaborazione ha permesso di dar vita a molteplici iniziative rivolte alla popolazione detenuta: dal potenziamento dei servizi interni alla ricerca di lavoro esterno.

 

 

“Noi, operatrici dello sportello di orientamento al lavoro per stranieri”

 

di Nadia Agostini, Angelica Boschetto e Stefania Magi

 

Dal mese di aprile 2003 siamo entrate a far parte del progetto Sestante. Al nostro sportello si presentano ogni giorno decine di persone per chiedere una collocazione lavorativa, ma dietro questa richiesta si nascondono tante altre domande di aiuto che l’operatore deve saper leggere tra le righe. Con alcuni si instaura un rapporto di confidenza e conoscenza che li porta a considerarci “amici”. Gli stranieri si portano dietro delle storie cha hanno dell’incredibile e a volte arrivare nel nostro Paese non li aiuta certo a risolvere i loro problemi, anzi. C’è chi ha bisogno di un lavoro ma non ha il permesso di soggiorno, c’è chi ha il permesso di soggiorno e non si accontenta del lavoro offerto, c’è chi non ha la possibilità di una casa e viene accolto nelle case d’accoglienza…

C’è anche chi ha solo bisogno di parlare e di essere ascoltato e viene a raccontarti i suoi problemi: ecco allora che lo sportello diventa anche uno spazio di ascolto. Ma cosa si può rispondere quando una ragazza, poco più che ventenne, ti dice che ha perso il lavoro perché ha corso il rischio di essere violentata più di una volta dal suo settantenne datore di lavoro, e piange disperatamente, dicendoti che non è venuta in Italia per fare la prostituta perché lei è onesta e vuole lavorare dignitosamente? Cosa si può rispondere quando una donna rumena ti dice che è appena arrivata, non ha soldi, non ha lavoro ed è ospite a casa di un’”amica” che le fa pagare questa “ospitalità” sette euro a notte solo per dormire, dividendo una stanzetta con sei persone?

Cosa si può dire, ancora, quando molte di loro ti confessano che per avere un lavoro devono pagare a “un’amica” connazionale l’intera cifra del primo stipendio e il trenta per cento di altri tre stipendi almeno? C’è poco da rispondere, ma molto da fare.

 

 

Un carcere tutto miele… e olio buono

 

Le bottiglie di olio prodotto nella scorsa stagione nel carcere di Terni sono delle vere rarità. Anche il contenitore è stato realizzato a mano dai detenuti. E poi c’è un’altra produzione di cui al carcere ternano vanno orgogliosi: quella del miele. Anche questo viene confezionato in barattoli decorati e dipinti a mano. Altra tappa del progetto sarà quella di realizzare un piccolo allevamento: la speranza è che anche per questa specializzazione accada quanto è successo per il corso di formazione per panettiere. Alcuni detenuti, che l’avevano seguito, una volta scontata in carcere la pena, hanno trovato all’uscita un posto di lavoro che li stava aspettando. Sono stati assunti in alcuni forni ternani.

 

 

Quando la passione per la gastronomia viene… da dentro

 

Nella Casa di reclusione di Bollate, periferia di Milano, c’è una cucina che offre servizio di catering anche a università e aziende

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Tovaglie di fiandra, raffinate decorazioni floreali, stoviglie in porcellana, camerieri in guanti bianchi. Cinque detenuti e cinque persone libere sono i soci di una cooperativa specializzata in buffet per piccoli eventi. Con un’attenzione particolare alla qualità e alla presentazione dei piatti. Ed è solo uno dei tasselli che, entro il 2010, potrebbe trasformare il carcere di Bollate in un consorzio che darà lavoro a tutti i suoi abitanti.

 

Nino e Renato sono i cuochi. Lino è il pizzaiolo. Luigi, Giancarlo e Maurizio, i camerieri. Non sono i dipendenti di un ristorante qualsiasi, ma detenuti soci di una cooperativa che offre servizi di catering. E neppure la cooperativa è un’impresa qualsiasi: la sua sede sta all’interno della Casa di reclusione di Bollate, alle porte di Milano. Quando organizza banchetti all’esterno, succede che i dipendenti escano scortati dalla Polizia penitenziaria.

Era una sfida sulla quale in pochi avrebbero scommesso, e invece il catering da dietro le sbarre sta funzionando e ha poco da invidiare alla concorrenza. Ne abbiamo parlato con Silvia Polleri, un’operatrice del settore che ha messo la sua professionalità e la sua vocazione sociale a disposizione di questo progetto pionieristico. Con entusiasmo ci ha raccontato la sua “creatura”, la cooperativa “Abc-La sapienza in tavola”, che rientra in un programma più ampio incoraggiato dalla direttrice del carcere di Bollate, Lucia Castellano, per «dare ai detenuti la possibilità di riappropriarsi del loro lavoro».

 

La vostra cooperativa di ristorazione non è che un tassello di un progetto ambizioso che creerà lavoro per tutti i detenuti di Bollate. Di che cosa si tratta?

L’idea imprenditoriale della cooperativa di catering “Abc-La sapienza in tavola” si inserisce in una proposta più ampia denominata “Progetto Virgilio”. Nel febbraio 2004 è stato firmato un protocollo tra la Provincia di Milano, la Regione Lombardia e l’Amministrazione penitenziaria della Casa di reclusione Milano-Bollate: lo scopo è avviare un percorso di reinserimento lavorativo per tutti i detenuti, attraverso la creazione di cooperative sociali con specializzazioni differenti. La partecipazione di soci esterni garantisce il contatto con la società che sta fuori e il rapporto continuo con il mercato. La cooperativa di catering è quindi una delle tante realtà che dall’inizio del 2004 si sono costituite presso la Casa di reclusione con l’obiettivo comune di trasformare l’istituto, nei prossimi cinque anni, in un grande consorzio di cooperative.

 

Come nasce l’idea di un’attività così singolare per un carcere?

Grazie alla mia esperienza nella ristorazione – ho gestito per dieci anni un catering in grado di servire dalle venti alle cento persone, prevalentemente privati –, nel febbraio del 2004 sono stata contattata dalla direttrice della Casa di reclusione di Bollate, Lucia Castellano, per avviare, insieme a detenuti e non, una vera e propria impresa di catering. Così, il 16 settembre del 2004 è stata costituita presso il carcere la cooperativa sociale di tipo B “Abc-La sapienza in tavola”: è composta da cinque soci detenuti cuochi, da aiuto cuochi e camerieri, coadiuvati da cinque socie esterne che mantengono i contatti con i clienti, provvedono alle forniture e al monitoraggio del miglior rapporto qualità-prezzo. Abbiamo alcuni detenuti già esperti e affermati nel settore della ristorazione. I cuochi, con il benestare della direzione che offre occasioni di eventi pubblici in cui è necessario un pranzo, iniziano a cimentarsi nella creazione di eventi, con l’aiuto di operatrici sociali che provvedono a tutto quanto occorre all’esterno. I detenuti utilizzano i permessi per provvedere all’allestimento sul posto.

 

Quali sono i vostri obiettivi imprenditoriali e sociali?

Innanzitutto vogliamo garantire ai soci la formazione e l’aggiornamento necessari per collocarsi nel mercato con professionalità. È per questo che i soci detenuti hanno già seguito un corso di formazione per fare impresa, per creare presentazioni che possano competere sul mercato e per sperimentare nuovi piatti compatibili con il catering. Il catering è una filosofia diversa dal ristorante, perché significa portare tutto ciò che necessita per ristorare nel luogo che il cliente sceglie.

 

La formazione professionale delle persone detenute, come si svolge?

Sebbene i soci interni possiedano già esperienza nel settore della ristorazione – il capo cuoco, per esempio, ha il diploma di scuola alberghiera – continueremo la formazione e l’aggiornamento attraverso vari esperti. Oltre a una tecnologa alimentare, che ha già iniziato il corso, entreranno in carcere chef, sommelier, docenti della scuola alberghiera e insegnanti di inglese. La conoscenza minima di questa lingua serve infatti per la presentazione dei piatti. Ma naturalmente non ci limitiamo alla formazione della sola preparazione dei cibi ma curiamo molto anche la parte igienico-sanitaria al fine di garantire la sicurezza nelle diverse fasi di lavorazione: abbiamo organizzato un corso obbligatorio di lunga durata, in modo da garantire a coloro che sono rinchiusi l’aggiornamento continuo per potersi in futuro misurare con la realtà esterna.

 

Chi sono i vostri clienti?

Siamo in grado di offrire eventi di catering ad aziende, pubbliche amministrazioni, università, associazioni, mondo del non profit, e per l’immediato futuro intendiamo rivolgerci anche ai privati. La nostra capacità ristorativa ci colloca comunque nella fascia di imprese per piccoli eventi: possiamo prendere ordinativi per venti-cento pasti seduti e fino a 250 in piedi. Pur collocandoci in una fascia di prezzo medio-bassa, sarà una nostra peculiarità offrire ogni evento personalizzato, non solo nella scelta delle portate particolarmente curate e frutto di rielaborazione della tradizionale cucina mediterranea, ma arricchito da decorazioni floreali, colori, suoni, piccoli presenti affinché il cliente ricordi il giorno dell’evento con gioia.

 

Avete già avuto delle ordinazioni?

In occasione della festa della Polizia penitenziaria abbiamo gestito il buffet per 250 persone presso l’abbazia di Sant’Ambrogio, poi abbiamo lavorato per le Università Cattolica e Statale, per circoli Rotary ed enti vari. Abbiamo allestito buffet da asporto per battesimi di figli di agenti e di altri privati. Fino a oggi, e siamo partiti da poco, abbiamo avuto una media di tre eventi al mese; per la primavera abbiamo già in prenotazione quattro eventi al mese e quindi abbiamo buone prospettive. Speriamo bene, perché al più presto vogliamo procedere alle assunzioni di alcuni soci e abbiamo bisogno di mezzi idonei per il trasporto del cibo, di un forno per pizze e di un’impastatrice, di altre stoviglie, tavoli e sedie.

 

Dove preparate i cibi?

La nostra cucina è all’interno della Casa di reclusione di Bollate, esattamente nel padiglione definito “staccata” perché si trova fisicamente distaccato dagli altri corpi detentivi, e ospita detenuti ammessi a un trattamento avanzato inserito in un programma riabilitativo sperimentale. Il centro cottura è provvisto di attrezzature idonee alla preparazione e alla cottura dei cibi, e la cooperativa, per gli allestimenti al domicilio del consumatore, si è ulteriormente dotata di contenitori isotermici, stoviglie in porcellana, vetro e acciaio inossidabile, tovaglie in tessuto, contenitori per alimenti lavabili per lo stoccaggio e il trasporto delle stoviglie, termometro per la misurazione della temperatura degli alimenti. Insomma, quando arriviamo deve essere tutto perfetto.

 

Avete ottenuto dei finanziamenti per avviare l’impresa?

Cinquemila euro e nulla più, frutto di un patto d’onore assunto dalla Provincia e da altre cooperative già inserite nel “Progetto Virgilio” (Estia, Nova Spes, Consorzio Sis). Poiché la cooperativa non ha ancora un anno di gestione finanziaria, che è una sorta di messa alla prova per dimostrare che si riesce a camminare con le proprie gambe, non possiamo partecipare alla maggior parte dei bandi per richiedere un finanziamento. Ma appena possibile lo faremo.

 

E come vi regolate, allora, con gli stipendi dei soci della cooperativa, detenuti ed esterni?

I soci sono disponibili a lavorare per una prima fase senza percepire nulla e poter quindi reinvestire i guadagni per l’acquisto del materiale minimo necessario ad avviare l’impresa. Al momento stiamo affrontando le modalità di assunzione dei soci cuochi e camerieri in prospettiva soprattutto dell’appalto della ristorazione degli ottanta detenuti del padiglione “staccata”, in modo da contare su un introito mensile fisso di base oltre alle entrate occasionali degli eventi catering.

 

Pagate un canone di affitto?

La struttura cucina ci è stata data in comodato d’uso: il primo anno totalmente gratis, mentre dal secondo pagheremo un forfait per le utenze. Solitamente l’avvio di un catering prevede un investimento notevole di capitale per la costruzione di un laboratorio che risponda alle normative igienico-sanitarie. Disporre di una cucina a norma che non ci costa praticamente nulla rappresenta una grande occasione che rende realizzabile un progetto altrimenti troppo ambizioso. Senza questa formula non ce l’avremmo fatta.

 

Avete la piena collaborazione da parte dell’Amministrazione penitenziaria o siete un po’ abbandonati a voi stessi?

Un esempio per tutti: per la cottura dei risotti, che deve avvenire per forza sul luogo del buffet, generalmente provvede un socio cuoco detenuto che esce in permesso con scorta. Ciò fa intendere come tutto il progetto sia realizzabile se esiste la piena collaborazione anche della Polizia penitenziaria e questo avviene grazie alla profonda convinzione da parte della dottoressa Castellano e del comandante Antonino Giacco, che ci appoggiano pienamente.

 

Non temete che vi commissionino del lavoro solo per la vostra vocazione sociale, e non per la qualità dei vostri servizi?

“Abc-La sapienza in tavola” dovrà essere competitiva con le altre proposte di catering, non sarà il catering della misericordia. Questo è il nostro chiodo fisso. Ecco perché scegliamo di presentarci, oltre che con portate curatissime anche esteticamente, con stoviglie non a perdere, tovagliati di fiandra, decorazioni floreali, camerieri in giacca bianca e guanti bianchi. La soddisfazione più grande l’abbiamo avuta nel corso di un evento natalizio organizzato all’interno del carcere di Bollate per una società che porta lavoro ai detenuti: alcuni ospiti del buffet credevano che fosse stato assunto un catering esterno!-

 

Cooperativa Abc-La sapienza in tavola

Tel. 333/60.03.263 (Silvia Polleri)

abc.sapienzaintavola@tiscali.it

 

 

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