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Ricomincio da una casa in collina
A Como, una struttura gestita dai frati francescani di Sant’Antonio accoglie chi esce dal carcere e detenuti in permesso che non hanno un alloggio. Ma non è solo un tetto: un’équipe di volontari lavora per aiutare gli ospiti a trovare una casa, un lavoro e diventare, finalmente, liberi
A cura di Marino Occhipinti
A Como, bastano otto monolocali con una cucina comune per fare la differenza. Almeno per chi esce dal carcere, o per chi è ancora detenuto ma gode di misure alternative e permessi premio e non avrebbe altri luoghi dove alloggiare. La nuova casa d’accoglienza, accanto al santuario di Sant’Antonio, è gestita da una comunità di frati ed è stata recentemente tenuta a battesimo dal vescovo di Como, Alessandro Maggiolini. Alla sua realizzazione hanno contribuito la direzione della Casa circondariale, l’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Como e la comunità francescana, che si è fatta carico, anche grazie ai finanziamenti della Regione Lombardia, della costruzione dell’edificio. «Un sogno», l’ha definita Francesca Fabrizi, direttrice del carcere Bassone di Como, alla quale abbiamo chiesto un commento sull’utilità della struttura. E lei, con molta cortesia, ci ha risposto. Abbiamo coinvolto anche Ida Morosini, professoressa-volontaria che gestisce la biblioteca del carcere lariano. È salita fino al santuario e ha curiosato, fatto domande e scattato parecchie foto. Ne pubblichiamo alcune, insieme all’articolo in cui ci racconta come funziona la casa d’accoglienza.
Un incontro fra carcere e territoriodi Francesca Fabrizi, direttrice della Casa circondariale di Como
I percorsi rieducativi che faticosamente si realizzano all’interno dell’istituto rischiano di essere vanificati se non ci sono le condizioni indispensabili per il reinserimento esterno, non solo post-detentivo. La sola sistemazione alloggiativa non è sufficiente: occorre il supporto di persone che diventino nuovi punti di riferimento, creino una rete di relazioni valida e propositiva, offrano un contributo per la soluzione delle varie problematiche lavorative e sanitarie, favorendo così quel processo di recupero personale e sociale che rappresenta l’obiettivo comune da realizzare. Casamica ha proprio questi requisiti, perché coniuga un ambiente sereno e accogliente, idoneo a rinforzare la volontà di quanti - ci si augura non solo a parole - vogliono uscire dalla delinquenza, con la presenza della comunità francescana e dei volontari, che offrono un valido aiuto agli ospiti, talvolta abbrutiti da lunghi anni di detenzione e incapaci di autogestirsi in condizioni di libertà. Casamica è il frutto e il coronamento di anni di sensibilizzazione dell’ente locale e del territorio comasco e rappresenta un singolare incontro di intenti fra la direzione della Casa circondariale, l’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Como e la comunità francescana, che ha costruito l’edificio e si farà concretamente carico dell’accoglienza. Casamica nasce da una volontà comune agli operatori penitenziari di favorire una sistemazione alloggiativa alle persone che escono dal carcere e non hanno riferimenti né affettivi né lavorativi, e ai detenuti in permesso premio con modalità protetta. Ma non basta la volontà per raggiungere questi scopi: ci si scontra con i pregiudizi della gente, l’ostilità del territorio, l’opposizione ottusa di chi ritiene di non doversi fare carico delle problematiche post-detentive che spettano ad altri, forse alla stessa Amministrazione penitenziaria, come già tristemente accade quando l’ex detenuto continua a rivolgersi a noi per un sostegno o un consiglio. In questo Casamica rappresenta una scommessa che ha tutte le premesse per risultare vincente, capace di dare una risposta concreta a quanti non credono nelle possibilità di recupero di chi ha commesso reati e ha già scontato la sua pena.
Il sorriso caldo dei fratidi Ida Morosini, responsabile della biblioteca nel carcere di Como
Como, via Massimiliano Kolbe numero 3. Un ampio piazzale attiguo alla parrocchia di Sant’Antonio, in cima a una piccola collina: si raggiunge attraverso tornanti alberati, ed ecco che si arriva a Casamica Sant’Antonio, bella e discreta. È nata per realizzare e gestire il progetto “Antonio, Vangelo e Carità” dei frati francescani minori conventuali, affidatari della cappellania della Casa circondariale di Como, ma soprattutto del volontario fra Corrado Algarotti, oggi direttore della struttura d’accoglienza. I destinatari del progetto sono anche gli ex detenuti e i detenuti in permesso premio del carcere di Como. Mentre in primavera verranno offerti alla parrocchia di Albate altri spazi per l’oratorio, la catechesi, l’aggregazione giovanile, la formazione dei volontari e le attività di sensibilizzazione del territorio verso le problematiche carcerarie. La struttura di Casamica è fatta di un porticato a nove archi, sormontati da ampie vetrate a tre ante, arcuate e delimitate da un elegante balcone. Giallo l’esterno della facciata: caldo come il sole che vi batte in una domenica d’inverno insolitamente bella; luminoso come il quieto sorriso dei frati che me la fanno visitare e che avranno il compito di tendere la mano a chi ha sbagliato e ha già pagato alla società il conto dei propri errori. Al piano terra c’è l’ingresso con l’ufficio per l’accoglienza. Accanto, le scale portano al piano superiore, dove un lungo e luminoso corridoio immette nella cucina-soggiorno, antistante una piccola lavanderia e un guardaroba con stireria. E poi le otto camere doppie con bagno, destinate a ospitare sedici detenuti che hanno finito di scontare la pena o sono in permesso premio ma non sanno dove andare, perché non hanno famiglia, né amici. La struttura è costata 450 mila euro, il frutto della sinergia tra la Caritas di Como, la Caritas Antoniana e, principalmente, la Regione Lombardia con i finanziamenti per l’housing sociale. Nel giugno 2001 l’idea è diventata progetto grazie all’architetto Ernesto Gandolfi della parrocchia di Sant’Antonio. A novembre del 2003 sono iniziati i lavori, il 16 ottobre 2004 si è svolta l’inaugurazione. Una grande soddisfazione anche per la direzione del carcere e tutta l’Amministrazione penitenziaria. Un gruppo di venticinque volontari, di diverse età ed estrazioni, affiancheranno fra Corrado e i suoi confratelli, accompagneranno gli ospiti di Casamica usciti in detenzione domiciliare e aiuteranno gli altri a costruire quella rete relazionale necessaria per riconquistare un’autonomia lavorativa e sociale. Cercheranno insomma di colmare il vuoto di strutture e servizi che ha connotato fino a oggi il territorio comasco. I volontari sono stati preparati attraverso il ciclo di incontri di formazione intitolato “Oltre il muro” sulla relazione di aiuto, tenuti da formatori-operatori qualificati della Casa circondariale, del Centro servizio sociale adulti, da docenti dell’Università Cattolica di Milano e da don Virgilio Balducchi, cappellano del carcere di Bergamo. I detenuti ammessi a Casamica potranno restare qui per un periodo massimo di sei mesi, che potrà essere prolungato in casi di estrema e oggettiva difficoltà. Se saranno necessari tempi di attesa medio-lunghi, gli ospiti che hanno già trovato un lavoro pagheranno una quota singola di sette euro. E infine, il rientro in società: Casamica non è che l’inizio di un duro cammino che i frati, il carcere e i volontari non potranno percorrere da soli. Dopo l’accoglienza viene la reintegrazione e questa passa attraverso il lavoro. Toccherà dunque alla società: imprenditori, Terzo settore, Servizi sociali, enti locali sono tutti chiamati all’impegno per cercare e creare, ove non ci fossero, le occasioni in grado di fornire quella risposta seria e concreta alla domanda di lavoro per gli ex detenuti, senza la quale tutto sarà stato vano.
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