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Suor Emmanuelle tra le baracche del Cairo
L’autore, cugino della protagonista del libro ed ammiratore della sua coraggiosa scelta di vita, rende noto il lavoro oscuro di questa missionaria a favore degli "stracciaroli" egiziani, gente disprezzata e poverissima che vive della raccolta e cernita dei rifiuti, alla periferia della capitale. L’opera raccoglie brani di dialoghi-interviste e resoconti di visite effettuate dallo scrittore nel quartiere-discarica, baraccopoli abitata da una eterogenea comunità di uomini, maiali, topi e pidocchi. Ne risulta una immagine sconvolgente: miseria estrema ed umanità insospettata scandiscono la vita e modellano il pensiero in questo lembo di terra, dimenticato da! governo locale, ignorato dagli organismi di soccorso internazionale. Emanuelle lavora da sola e rifiuta l’aiuto di altre suore, che sono forse impreparate a sopportare uno stile dì vita del tutto identico a quello degli stracciaroli. Lei non converte, ma cura i malati, insegna a leggere e scrivere, anima la comunità. Viaggia per tutta l’Europa e raccoglie fondi con cui costruire la scuola, l’ambulatorio, un campo di calcio. Rimane comunque estremamente realista, diffida di progetti troppo ambiziosi e preferisce raccogliere ciò che di buono c’è in ogni uomo piuttosto che cercare di farlo cambiare a tutti i costi. La pace nel mondo ed il dialogo nord-sud? Utopie! I ricchi guarderanno sempre e soprattutto al loro interesse ed i poveri saranno sempre più numerosi e miseri. Il suo è un realismo che rasenta il pessimismo ed è sorprendente in una donna di fede. Tuttavia Emmanuelle indica una via d’uscita alternativa al conflitto I sociale ed alla violenza: la conquista della consapevolezza e della dignità, prima di tutto attraverso l’istruzione e la pianificazione familiare. Il libro è una testimonianza davvero intensa e toccante, ad eccezione forse dei due capitoli riguardanti la storia religiosa dei mussulmani e dei copti: inseriti a metà del libro, rompono un poi la tensione emotiva e ne risultano tutto sommato estranei. Da consigliarne la lettura a chi vuole ritrovare il piacere della commozione.
Francesco Morelli
L’ispettore Alì e la CIA
La storia comincia dopo una appassionata notte d’amore. L’ispettore Alì, in piedi davanti alla finestra della sua casa di fronte all’oceano Atlantico, descrive l’alba e la natura e anche il canto degli uccelli, e poi si siede sul letto a guardare il corpo della moglie, che raffigura come una splendida creatura di Dio, usando anche citazioni poetiche (lui ama molto la poesia). Ed ecco una brusca interruzione, il telefono suona, a chiamarlo è il capo della polizia criminale, il suo capo. L’ispettore si presenta agli appuntamenti importanti vestito come un gatto dimenticato da tempo in soffitta, calza vecchie scarpe da tennis, indossa una salopette bucata alle ginocchia, ha costantemente fra le labbra sigarette mefitiche. Sembra inaffidabile, ma e acuto e pieno di fantasia: e a lui viene perciò affidato l’incarico più complesso, si tratta di indagare su un serial killer internazionale, ricercato in tutto il mondo, e sulle cui tracce c’e già la CIA. Un killer che ha fatto fuori un senatore americano, un boss della mafia, un capo dell’IRA, un lord inglese, un artificiere di Hamas e un capo del Mossad. Unico indizio, mani sottili e ben curate, per il resto si sa che è un re del travestimento. Molti segugi di tutte le nazionalità hanno pedinato "sto tipo" (nota della redazione: Nabil comincia anche a usare bene le forme dialettali !) per diversi continenti, e ora si sospetta che lui si sia rifugiato in Marocco.
Serial Killer, ma anche poesia, canzoni e piatti arabi
Ci sono in questo romanzo, anche poesia, cultura, canzoni e piatti arabi, perché l’ispettore Alì insegue i killer ma va anche pazzo per i fiori, per le belle donne, i bei versi e la musica e la cucina. Ed è abile, astuto, chiede una gran somma di denaro per le sue indagini e viaggia e indaga dall’Inghilterra ad Hong Kong all’America, e viaggiando parla delle differenze climatiche, geografiche, culturali e di mentalità. In America poi e capace di andare a riaprire vecchie storie i come l’omicidio Kennedy e storie più recenti, e pure irrisolte, come la vicenda del disastro aereo durante le Olimpiadi di Atlanta. Questo e un romanzo che dà modo ai lettori di divertirsi in avventure bizzarre e di mettere a confronto con la propria cultura altre culture, abbastanza nuove per gli occidentali, come quella araba.
Nabil Tayachi
Io, venditore di elefanti
Pap è un ragazzo senegalese che ha raccontato la sua storia di emigrante, a voce e quindi con molta semplicità e immediatezza, a un giornalista italiano, Oreste Pivetta, che, restando il più possibile fedele alla narrazione originale, ha suddiviso il racconto in una trentina di brevi capitoli che coincidono con episodi salienti dell’esperienza del protagonista. Terminata la lettura sono in bilico tra due sentimenti: la simpatia per Pap ed i suoi compagni e la preoccupazione per questa realtà sociale - gli immigrati clandestini - di cui siamo poco (e male) informati. Il libro permette di vedere proprio "dall’interno" la vita degli immigrati, la precarietà del lavoro di venditori ambulanti abusivi, stretti tra il rischio di rimanere senza risorse e la tentazione dei facili guadagni che permetterebbe lo spaccio della droga. Pap viene da un paese nel quale I arrivano numerosi turisti italiani, ambasciatori forse "bugiardi" che spesso trasmettono un’immagine falsata dell’Italia, ma la vita è dura anche qui e lui lo impara presto. Dopo un anno di permanenza in Italia ha perso le illusioni di benessere ed ingenuità: torna in Senegal senza un soldo ma si riorganizza e parte per un secondo tentativo. E questa volta l’esperienza precedente gli sarà utilissima: riuscirà infatti a regolarizzare la sua condizione di immigrato e a trovare un lavoro meno precario della vendita di oggetti artigianali ed una casa in affitto. E promuoverà perfino una associazione di senegalesi che cerca di difendere i diritti civili degli immigrati: perché in Italia i loro problemi non finiscono con un permesso di soggiorno, a fronte di episodi di solidarietà c’è ancora tanto razzismo. Un’ultima nota va al curatore: mi ha piacevolmente sorpreso l’assenza di retorica, anche perché confesso che ero un po’ prevenuto al riguardo dopo aver letto sul risvolto di copertina della sua collaborazione a un giornale di partito. Consiglio (appunto) la lettura ai venditori (ed acquirenti) di ideologie: se si tratta poi di "leghisti" il consiglio è di impararlo a memoria.
Francesco Morelli |