|
Considerazioni di una volontaria in redazione
Abituata a coordinare i lavori della redazione di un giornale scolastico, dove devi continuamente pregare i ragazzi di farsi venire delle idee sugli argomenti da trattare e poi di sforzarsi di scrivere, in carcere dopo la prima riunione, e la prima timida sollecitazione a portarmi "qualcosa di scritto", mi sono trovata rapidamente sommersa da valanghe di racconti, poesie, articoli, inchieste, e da qui sono nate le prime riflessioni:
Il male è che adesso comincio ad avere il vizio di andare a scuola e attirarmi le ire di tutti con affermazioni di questo genere: "Dio mio, ma in carcere, e magari con addosso dieci o anche venti anni di quella vita, c’è gente che riesce a essere più ironica di certi insegnanti e certi studenti, che spesso sembrano quasi distrutti dalla noia. Mi sono accorta, parlando di carcere con chi sta dentro e poi con chi sta fuori, che tanti "liberi cittadini" hanno una strana convinzione: pensano che il nostro sia un paese "lassista", che le pene siano leggere, che gli extracomunitari entrino e poi escano quasi subito dal carcere, che i tossicodipendenti in carcere ci stiano poco e quasi per sbaglio. Senza entrare nel merito di una questione così complessa come quella della pena, ora passo però molto tempo a spiegare che non è così, che il nostro non è affatto un sistema "tenero"; non credo di essere mai stata razzista, ma il lavoro in redazione mi ha fatto considerare gli extracomunitari in modo diverso, e prima di tutto mi ha fatto desiderare di abolire Questa parola idiota, "extracomunitario", che appiattisce e ignora culture diversissime tra loro. Nabil e Imed hanno riscritto due e anche tre volte il loro articolo, ma ora mi sembra che i risultati siano Quelli giusti: erano partiti parlando in astratto del loro paese, sono arrivati a raccontare cosa succede realmente lì da loro, perché gli è nata la voglia di andarsene, le fatiche e le delusioni che hanno vissuto nella loro vita da emigrati, e forse questo è davvero l’unico modo perché i lettori diano un volto e un nome alla categoria degli "immigrati".
Ornella Favero |