Edoardo Polidori

 

Edoardo Polidori

 

È stata molto usata, in questi giorni, la metafora del circo: si è parlato di giocolieri e di cavallerizzi. Per me il circo limane legato alla figura del clown: colui che in modo apparentemente leggero propone, in realtà, riflessioni e tematiche profonde.

La leggerezza, l’ironia, il gioco lo rendono ascoltabile, vi riporto, a partire da questa premessa, l’esperienza del mio Ser.T., il nostro modo di essere nel divenire delle modificazioni dei consumatori e dei consumi. Si è sentito parlare spesso, in questi anni, di "servizi fotocopia... tutti uguali: noi abbiamo cercato di essere un servizio carta assorbente..: abbiamo cercato di conoscere varie realtà (in Italia e all’estero) e da queste abbiamo assorbito suoni, luci. colori. esperienze. modi di proporsi. Una delle conseguenze più evidenti di questo continuo confrontarsi è stata sicuramente la modificazione del nostro pensiero (e quindi del nostro agire) rispetto all’uso di sostanze da parte dei giovani. e forse non solo dei giovani. Cresciuti in una cultura che tende a proporre ragionamenti tutti basati sulla non capisci che le droghe fanno male? Che cosi ti fai del male? Abbiamo faticato a interiorizzare effettivamente che la realtà ci propone un’immagine ben diversa: dietro l’uso di sostanze da parte degli adolescenti trOviamO più facilmente una grossa spinta dettata dalla curiosità e/o dalla ricerca del piacere e del divertimento.

Questo, per quanto banale possa sembrare. è in realtà il vero ostacolo al promuovere efficaci strategie di prevenzione e di riduzione del danno. Una volta mi trovai a giocare a scacchi e, in fondo alla parete della sala in cui si svolgeva il torneo. C’era un grande manifesto bianco con una piccola scritta nera. Non si capiva assolutamente cosa ci fosse scritto e mi avvicinai per leggere: il problema era che per leggere bene bisognava arrivare ad un centimetro di distanza e a quel punto. col naso appiccicato al manifesto, uno poteva leggere che "masturbarsi troppo fa calare la vista". Mi sentii guardato da tutti, immaginate la vergogna! Ma neanche la vergogna modificò certi miei comportamenti adolescenziali e giudicai, tutto sommato, il messaggio carino ma privo di scientificità. Iniziai però a capire che c’erano comportamenti che ad altri sembrano strani ma a me no, come ve ne erano altri strani per me che, al contrario, facevano parte della normalità della vita di altre persone.

Spesso giudichiamo deviante e pericoloso quello che fa parte delle culture "altre" (di altri luoghi, di altre generazioni...) e tendiamo ad assolvere quello che invece fa parte del nostro modo di vivere. Siamo tolleranti, molto tolleranti, rispetto a droghe e comportamenti che ci sono più vicini (giungendo persino a giudicare come "non droghe" alcune sostanze) e classifichiamo come automaticamente pericolosi i comportamenti che non condividiamo. Se questi comportamenti sono pericolosi inevitabilmente devono essere banditi e, se sono da bandire, l’unico ragionamento che sappiamo sviluppare è che "non si devono fare". Questa frase, ovviamente, chiude ogni possibilità di discorso e dialogo.

Penso che, restando fedeli alla metafora del circo, dobbiamo costruire una rete di sicurezza, quella che, se dovesse succedere qualcosa, impedisce di farsi male, impedisce di cadere nel baratro. Salinger descrive benissimo la fatica di questa sfida ne Il giovane Holden (Catcher in the rye, nell’originale; "L’acchiappatore nella segale"), quando il protagonista, discutendo con la sorella, realizza che ciò che gli piacerebbe veramente fare è salvare dai pericoli i ragazzi che giocano nella segale e, tutti presi dal gioco, non avvertono il pericolo nascosto. Questo penso debba essere il senso dei nostri interventi, il senso di una rete: fatta di conoscenze, di informazione e di cultura. Una rete che accoglie e che protegge. Per esempio, quando noi interveniamo in concerti, in eventi o in discoteche: è possibile che la nostra presenza riesca a trasmettere agli adolescenti un messaggio semplicissimo, lo stesso dichiarato ieri dal dr. Buffa, direttore del carcere "Le Vallette", e cioè che noi siamo lì per un’attenzione alla loro salute e incolumità? Potremmo osare di più e dire che siamo presenti per la loro felicità?

Ashleigh Brilliant ha detto: "La vita potrebbe non aver alcun significato oppure, ancora peggio, potrebbe averne uno che non condivido". Spesso, visto che noi disapproviamo il modo in cui altri vivono la propria vita e le scelte che fanno, cerchiamo di dire che tutto ciò non ha senso. È più facile sostenere che i giovani di oggi sono senza valori piuttosto che confrontarsi con valori molto diversi dai nostri. In discoteca non si comunica o si comunica con un linguaggio diverso, quello del corpo e della gestualità, mentre noi siamo innamorati dell’uso della parola. Spesso i codici, i valori diversi è più facile negarli (per evitare di dar loro dignità, di codici e di valori). Facciamo fatica a convivere con significati che non condividiamo, abbiamo difficoltà a convivere con le differenze e spesso fIniamo col vivere nell’indifferenza. Spesso costruiamo progetti su domande che sono solo nella nostra testa, costruiamo risposte di cura su domande di cura che spesso sono inesistenti, non ci sono proprio. Possono essere domande inespresse, certo, e allora è bene imparare a leggerle, ma se queste domande di cura non ci sono affatto possiamo anche avere la serietà di dire che chi non è malato non ha bisogno di essere curato. La maggioranza di coloro che usano sostanze non sono tossicodipendenti, le usano occasionalmente, per i motivi più svariati, e non possiamo considerarli pazienti, anche se possiamo sviluppare attenzione e consapevolezza rispetto alle situazioni di consumo.

Possiamo pensare, per esempio, che si possono educare le persone al fatto che non vi sono sostanze innocue", che "non fanno niente"? E, mentre diciamo questo, possiamo pensare ad educare le persone alla cultura della moderazione, sviluppare attenzione rispetto al fatto che le maggiori problematiche, rispetto alle sostanze, sono collegate a situazioni di abuso e di scarsa valutazione dei rischi connessi ad alcune situazioni"? La cultura dell’astensione può avere, come alternativa, la cultura della moderazione invece che quella della dipendenza e/o dell’abuso?

Penso che per realizzare questo non dobbiamo preoccuparci di integrare o cercare di integrare le politiche dei servizi ma cercare di costruire e di condividere delle politiche per la salute in un determinato luogo, in un determinato evento, in una determinata epoca storica, in una determinata società.

Esserci o non esserci, questo è il problema! Possiamo scegliere, in una costruzione di politiche per la salute, se esserci o non esserci in alcune situazioni. Sì, possiamo costruire progetti bellissimi con la scelta a) o la scelta b), ma il problema di fondo resta sempre: "Ci sei o non ci sei"? In questo senso la rete da costruire è anche, o soprattutto, costituita dall’orizzonte culturale, sapendo che l’orizzonte è solo ed esclusivamente il limite del nostro sguardo e ogni volta che noi facciamo dei passi avanti il nostro orizzonte culturale si modifica. si amplia e cambia. Ogni incontro che facciamo è un incontro che può modificare il nostro percorso, ci fa capire come la nostra missione può modificarsi. È la metafora del bosco di Borges, ma è anche Frodo Baggins che cerca di svolgere una missione, attento agli incontri e alle nuove strade che via via gli si aprono innanzi. Nuove conoscenze, nuove consapevolezze, nuove scelte.

È ora di smetterla di considerare e definire l’uso di droga come un problema che appartiene all’etica e alla morale. Più l’uso di droga rimarrà legato alla parola "problema" e più questo comporterà la ricerca di soluzioni: un problema comporta necessariamente una soluzione. Dobbiamo imparare a considerare l’uso di droghe come un fenomeno che va studiato, compreso e capito. Nei fenomeni ci si cala, si recupera l’attenzione dell’antropologo per avvicinarsi ad un comportan1ento al fine di studiarlo e capirlo. facendo attenzione alla salute delle persone.

Nei nostri interventi portiamo libri, portiamo film, diciamo delle cose sull’alcol. sulla nicotina, sulle droghe, facciamo un’esposizione di poster e manifesti su come nei vari paesi europei sono state studiate campagne e progetti. Facciamo informazione, con il fine di promuovere unicamente cultura rispetto all’uso di sostante. Quando qualcuno ci chiede: "Ma voi chi siete?" e noi rispondiamo che siamo del Ser.T., leggiamo lo stupore negli occhi delle persone.

"Del Ser.T?". Ho cercato di spiegare che Ser.T. sta per Servizio educativo ricreativo territoriale e questo piace. La dimensione del gioco e della festa è una cosa che viene molto gradita dalle persone che incontriamo; in questi contesti, contesti di divertimento, di piacere, è importante sapersi calare nell’atmosfera dell’evento, capire che musica si suona, capire che genere di clientela e di target si ha di fronte; il target è una cosa che si deve avere sempre presente quando si opera in un determinato ambiente. Promuovere salute in questi posti vuol dire promuovere comportamenti responsabili. Personalmente mi è costato fatica: è facile dirlo, ma volerlo fino in fondo costa fatica perché, per esempio, promuovere indipendenza e responsabilità di scelta vuol dire riconoscere all’altro la possibilità di scegliere se usare o non usare, e questo vuol dire, per esempio, dare dignità alla scelta di usare.

Si deve recuperare attenzione alla salute delle persone, accettando di mettere tra parentesi le posizioni predefinite, cercare di entrare nella dimensione con l’altro, adolescente o non adolescente, come si entra in un negozio di cristalli, recuperando una dimensione di cortesia e di attenzione verso coloro che incontriamo. Spesso invece ci muoviamo come elefanti in un negozio di cristalli. Recuperare cortesia vuol dire recuperare attenzione alla fragilità della persona che abbiamo di fronte. Il clown, in modo leggero e divertente, a volte dice cose sensate, a volte dice cose insensate. Ogni tanto gioca sul non sense e, a volte, ci porta nei luoghi della fantasia o nel regno dell’utopia. Oscar Wilde ci ricorda però che "una carta geografica che non riporti il paese Utopia non merita neanche uno sguardo".

 

 

 

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