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Leonardo Montecchi
Quella che noi proponiamo è un’attività di prevenzione diretta a contrastare gli stili di vita, i modi di pensare, in una parola "gli stereotipi" che la nostra organizzazione sociale ci propone quotidianamente. Ricordate il film cyber-punk "Matrix"? Narra di un genere umano schiavo delle macchine, che ne controllano l’esistenza plagiando le coscienze individuali. Mi viene in mente questo film quando penso alla realtà in cui viviamo. L’immaginario collettivo, la coscienza comune è ormai condizionata dall’industria e dal sistema dell’informazione. Vivere secondo uno stereotipo vuol dire accettare acriticamente uno schema comodo, preconfezionato, che ci prospetta una realtà semplificata: i drogati sono tutti pericolosi, gli extracomunitari sono tutti criminali. Rompere gli stereotipi, questo è il punto centrale dell’intervento che noi riteniamo necessario per tentare di cambiare lo stato delle cose. L’impresa è ardua. Il sistema che genera pensiero e stili di vita omologati è troppo solido e radicato per essere contrastato da semplici campagne informative. Quello che bisogna fare è insegnare alle persone a pensare di nuovo liberamente, permettere loro di acquisire gli strumenti critici che consentano di emanciparsi dalla falsa coscienza che il sistema continuamente produce. Da dove cominciare? Io credo che la strada sia la creazione e la moltiplicazione dei "centri di autogestione": un trasferimento considerevole di responsabilità può determinare dei conflitti, ma certamente favorisce una presa di coscienza non mediata della realtà. Questo tipo di intervento deve essere supportato da èquipe dotate di competenze plurime, trasversali, capaci di comprendere e adattarsi alle più diverse situazioni. Un altro punto molto importante è che questi progetti hanno, come elemento propulsivo, quella che io chiamo "politica del desiderio": ci deve essere cioè una capacità di produrre aggregazioni che moltiplichino i campi di discussione e le prese di coscienza. Questo può essere legato anche alla possibilità di rompere le routine che si costruiscono in molte realtà, comprese le realtà apparentemente più alternative. Ecco un esempio da noi realizzato di rottura di una routine consolidata. Noi pensiamo che, collegato alla frequentazione di certe discoteche di tendenza, ci sia il desiderio di accedere a una forma modificata dello stato di coscienza: la stessa cosa che avviene in certi riti tribali tradizionali. Abbiamo allora proposto alla discoteca "Cocoricò" di Riccione di alternare alla solita musica techno l’intervento di un gruppo rituale marocchino. L’inusuale proposta ha prodotto inizialmente delle prevedibili resistenze da parte degli organizzatori, ma una volta sperimentata il consenso del pubblico è stato quello che ci aspettavamo. In qualche modo abbiamo rotto un’abitudine consolidata e apparentemente immodificabile. Questa esperienza è stata una piccola concretizzazione del percorso che ho cercato di descrivere.
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