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Marco Ingrosso
Sta accadendo qualcosa di trasversale, di profondamente innovativo, per esempio il fatto che i giovani non sono più considerati una categoria sociale separata dalla società adulta, sia perché gli adulti tendono a considerarsi "giovani", sia perché sono venuti a mancare alcune peculiarità del passato. Per fare un esempio, si potrebbe pensare alle strategie del consumo: c’è una sorta di nuovo supermarket diffuso, con confini difficili da tracciare tra adulti e giovani, perché questa è una possibilità, non è solo un luogo fisico dove andare a comprare. Vorrei riprendere alcuni concetti espressi dal dr. Gatti, in particolare la riflessione sul fatto che il confine tra giovani e adulti si fa sempre meno definito, e se a Torino la categoria di "disagio" è ancora sufficiente a spiegare ciò che sta accadendo. Alcuni anni fa, parlando di nuove droghe, sottolineavo come queste ci indichino un cambiamento di scenario. Sta accadendo qualcosa di trasversale, di profondamente innovativo, per esempio il fatto che i giovani non sono più considerati una categoria sociale separata dalla società adulta, sia perché gli adulti tendono a considerarsi "giovani", sia perché sono venute a mancare alcune peculiarità del passato. Per fare un esempio, si potrebbe pensare alle strategie del consumo: c’è una sorta di nuovo supermarket diffuso, con confini difficili da tracciare tra adulti e giovani perché questa è una possibilità, non è solo un luogo fisico dove andare a comprare. Esistono dei precedenti, ad esempio il fumo da tabacco. Alcune droghe legali tradizionali non stanno subendo un crollo come nei primi anni 90, c’è una ripresa diffusa anche secondo gli ultimi dati sull’Europa e sugli Stati Uniti. C’è una ripresa diffusa del fumo da tabacco nonostante non ci sia nessuno che oggi ignori i suoi danni. Faccio un altro esempio circa il modo in cui certe droghe si legano all’attività fisica, alla diffusione del fitness: facendo un’indagine sulle riviste tradizionali che si occupano di salute, si vede che alcune stanno diminuendo le vendite ed altre di tipo nuovo, che fanno parte di un grande progetto internazionale stanno crescendo moltissimo: "Men’s Health" è la prima rivista venduta. Mentre gli uomini prima non erano assolutamente consumatori di questi tipi di prodotti, adesso lo diventano perché fitness significa essere adatti al tipo di situazione, al tipo di società in cui viviamo. Questo diventa allora un momento di passaggio, di confine in cui varie categorie si avvicinano a questa attività. A proposito di questa dinamica dei consumi, faccio un elenco di tipi di condizioni sociali che producono nuove tipologie di rischi. Si parla ad esempio della flessibilità sul mondo del lavoro, a come produca anche crisi e difficoltà nei rapporti sociali, nell’inclusione. Anche la multimedialità, che significa certamente un cambiamento importante, nuove opportunità, produce nuove problematiche. Tutta questa amalgama si può incanalare in quell’imbuto che sono le droghe, le sostanze, ma lo scenario sta ulteriormente cambiando e non segue solo le dinamiche di consumo ma anche altri percorsi sociali. Di fronte a questo scenario cosa fa la prevenzione? Poco, perché è in crisi. Non ci sono molti dati in Italia, perché si è fatto pochissimo, è stato fatto invece molto in modo non programmato, disordinato, non sistematico. I dati esteri dicono che la strategia della prevenzione ha prodotto pochissimo. Possiamo agevolmente notare, ad esempio, come oggi agenzie tradizionali della prevenzione - le Unità sanitarie locali con l’ufficio di educazione alla salute e le scuole - facciano molto meno rispetto a passato. C’è una riduzione delle iniziative in questo campo perché ognuno di questi Enti istituzionali ha assunto altre priorità, ha una trasformazione organizzativa in atto, e i motivi possono essere tanti. Per esempio tutta la logica delle ultime riforme tra il 1997 e il 2000, fino alla legge 328, che indicava i Comuni come responsabili dei piani di zona, i piani di salute. Quello che credo debbano fare gli enti locali nei territori è costituire una rete relazionale e di iniziative che possa utilizzare nuovi canali, tra cui quello delle nuove tecnologie. Ad esempio io sto lavorando, in una zona di Bologna, ad un progetto di prevenzione che possa utilizzare i telefonini, i siti internet, le radio locali, che possa avere agganci sul territorio non soltanto nei servizi tradizionali ma nei luoghi di frequenza dei giovani (pub e locali). Mettere insieme questi canali serve a raggiungere sia i ragazzi scolarizzati che gli altri, con linguaggi e modalità che vadano al di là di quelle tradizionali della scuola e dell’azienda sanitaria. E poi è necessario dare spazio anche ad altre esperienze, come quella di Milano, per costruire reti capaci di lavorare in luoghi alternativi come le scuole guida, l’associazionismo, il volontariato. Io credo che tutte queste realtà possano concorrere insieme. Il problema è anche trovare una logica nuova per lavorare in questa direzione, perché ovviamente quella vecchia non serve. Credo che oggi sia pensabile e fattibile studiare nuovi riferimenti, un’interlocuzione professionalizzata, anche se questo richiede mutamenti nell’investimento sociale, oggi troppo sparso e occasionale. Invece la problematica che abbiamo davanti necessiterebbe di una strategia molto più sistematica, più ampia, ben canalizzata e che non guardi solo alle modalità tradizionali del disagio, ma investa in modo plurale e differenziato su tutti i giovani, e non solo su di loro.
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