Riccardo De Facci

 

Nuovi stili di vita e di consumo

 

Riccardo De Facci

 

Innanzitutto vorrei ringraziare una persona e promuovere anche un piccolo spot. Il primo ringraziamento va a Renato Bricolo, il cui lavoro è per noi di grande aiuto, per la tempestività del suo articolo apparso su "Animazione sociale". L’altra è una piccola citazione di un libro - che sto amando molto - di James Hillman sul potere (J. Hillman, Il potere, Rizzoli 2002 ndr), con un forte richiamo all’attenzione, alla consapevolezza, al potere seduttivo delle semplificazioni che crescono via via che le questioni diventano più complesse. Uno degli aspetti emersi in questi giorni è proprio l’estrema complessità e la grande varietà dei temi che abbiamo affrontato, importante anche e soprattutto per migliorare il nostro sistema di intervento.

Per fare questo non dobbiamo limitarci a lavorare nei luoghi del consumo, ma è necessario ampliare il nostro intervento per età, strati sociali, tipologie, comportamenti, sostanze diverse. Serve anche la capacità e il coraggio di defInire l’inefficacia di alcune categorie interpretative che ci hanno accompagnato in questi anni, rinunciando alla lettura ideologica della tossicodipendenza necessariamente legata al disagio individuale. Credo che questo porti immediatamente a una scelta netta tra due posizioni: la prima è quella del conflitto con il fenomeno, con la conseguente denuncia dell’errore, l’esortazione morale, la prospettiva etica, il giudizio, l’ansia patologizzante, i buchi del cervello di cui tutti parlano e che pochi ricercano.

Oppure, sull’altro versante, una scelta di prossimità, di vicinanza, di conoscenza reale, con la volontà di "stare" nei cambiamenti sociali. In questo senso occorre recuperare la voglia di conoscere desideri e aspettative legati a questi percorsi. Dobbiamo avere il coraggio di uno spostamento dal "cosa" - i nostri orrendi materiali dai contenuti perfetti ma che quasi nessuno riusciva a leggere, l’informazione di prevenzione noiosa e lontana dalla realtà - al "come", che significa valorizzare una forma, un’estetica del vivere che accetti un’estrema diversità di modi di vivere. Anche i nostri interventi devono avere il coraggio di porsi come obiettivo l’ingresso a pieno titolo nelle attività del divertimento, nei grandi eventi musicali, nelle grandi manifestazioni. E necessario quindi accettare contaminazioni, linguaggi diversi, culture a volte poco conosciute, e uscire dall’episodicità, dalla "sperimentalità", perché se vogliamo ottenere risultati reali bisogna diventare parte di un sistema compiuto. Per fare questo dobbiamo trovare le chiavi per entrare culturalmente e materialmente in quella ritualità, apprezzando l’importanza di "esserci" come offerta, come competenza aggiuntiva, come elemento integrativo dell’evento. In questo scenario sono state toccate tre grandi aree.

Innanzitutto un recupero della clinica e della capacità della diagnosi su questi temi (l’uso di alcuni strumenti diagnostici non ci deve spaventare, se servono non come elementi automatici ma come fattori di conoscenza); un nuovo intervento sugli aspetti antropologici, e infine una seria ridiscussione del ruolo pedagogico del partecipare all’interno di questi luoghi. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo puntare sul confronto, sul valore assolutamente trascurato del "gruppo dei pari", che in parte sta sostituendo le nostre agenzie educative come luogo e strumento della costituzione del se. Occorre ridefinire insieme i concetti di uso, abuso e consumo sperimentale, che come confermano i dati riguarda un gran numero di giovani. La scelta di vicinanza impone di essere attivatori di processi, mediatori di significati e, ove necessario. capaci anche di una presa in carico veloce. Un primo elemento simbolico ma anche sostanziale è l’attenzione verso il tema dell’analisi delle sostanze.

Quando queste persone arrivano ai nostri Pronto soccorso molti medici non sanno cosa fare. Gli esempi che provengono dall’estero sono molti: dal kit ordinato in altri Paesi per l’analisi nei luoghi autogestiti dagli organizzatori, ai laboratori nei luoghi dei grandi eventi (in particolare in Austria e nei Paesi mitteleuropei), dal coinvolgimento diretto degli operatori territoriali al rapporto tra laboratori di analisi e istituti di tossicologia. In questo senso vorrei sottolineare anche la sperimentazione - seppure parziale - decisa dalla Regione Lombardia attraverso l’analisi di tutte le sostanze sequestrate nell’ultimo periodo. Il patrimonio di conoscenze verrà poi passato dall’istituto di farmacologia e di tossicologia agli operatori, per verificare con i ragazzi il significato di quelle informazioni. Le nostre strategie devono dunque rimettere al centro la capacità di un accompagnamento relazionale, tenendo presente tutti questi aspetti. Si è parlato di informazione appropriata con un recupero forte delle metodologie, un’informazione che dev-e porsi l’obiettivo di una conoscenza corretta, perché solo attraverso una maggiore consapevolezza possiamo mirare a un reale miglioramento della situazione. Sono già state proposte alcune idee: lavori di territorio, di strada, tutto il tema della vicinanza, della contiguità relazionale, il lavoro di promozione, il tema forse troppe volte citato e poco realmente applicato della "peer education", gli interventi di unità mobile, le informazioni mirate. le chiUout ecc. Ma qui si inserisce l’altro segmento, che non possiamo assolutamente dimenticare: un lavoro forte con gli adulti, le reti educative e anche i rapporti con le Forze dell’ordine, in particolare le prefetture. Questo comporta la necessità per noi di diventare mediatori di significati tra il mondo adulto e quello giovanile.

Chiudo quindi sottolineando come questo ci permetta anche di recuperare una serie di argomenti che in questo momento sembrano un po’ marginali, ad esempio l’alcol, che pure nella sua legalità rischia di essere la porta d’ingresso verso altri consumi, ma anche il gioco d’azzardo, il doping e tutto il tema della "prestazione".

 

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