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Modelli regionali di welfare
Mariella Orsi
Permettetemi solo una premessa, sarò molto breve ma desidero fare a nome di tutti un forte ringraziamento al Gruppo Abele, a coloro che ci hanno accolto a Torino e a tutti coloro che hanno partecipato. E un altro ringraziamento perché ho potuto fare da moderatrice in una sessione molto complessa, quella dei welfare regionali, visto che rappresento le donne operatrici dei servizi pubblici. Innanzitutto abbiamo parlato di welfare e salute dal punto di vista dell’economia con la prof. Dirindin, poi dal punto di vista della cultura, dell’organizzazione e della politica istituzionale con l’assessore regionale Gianluca Borghi, che già a Perugia aveva parlato delle difficoltà del settore dovute alle differenze territoriali. In modo particolare si è constatato che il federalismo - voluto dallo Stato per rispettare gli impegni con l’Europa- se inteso come possibilità di controllo sull’uso delle risorse può favorire un equilibrio tra bisogni della popolazione e risposte più adeguate. Ma si è parlato anche dei rischi di chi non è tutelato, dei meccanismi di esclusione non solo dal punto di vista del bisogno materiale ma anche come rappresentazione sociale. Non abbiamo ancora elaborato un’analisi concreta delle rappresentazioni sociali che stanno dentro al mondo della tossicodipendenza, visto non solo dalla parte degli operatori ma anche dalla parte dei consumatori. Crediamo, e questa è la nostra identità forte, nel valore della "civiltà del welfare" che non può essere visto solo come una spesa, ma anche come un investimento in quanto non si può essere soli davanti ai rischi della vita. Solo se riusciamo a proiettarci in una possibile vulnerabilità, individuale e collettiva, capiamo cosa implica il taglio della spesa sociale deciso dal Governo. Come cittadini, inclusi ed esclusi, dobbiamo parlare non solo di titolarità di diritti, ma di fruibilità e di competenze. Se vediamo il welfare come costo improduttivo ne cogliamo solo gli aspetti di riduzione del benessere, mentre solo un welfare etico può essere un pilastro dello sviluppo economico e sociale. Un welfare che non si perda nel mercato del "chi offre di più a minor prezzo", ma che serva a sviluppare competenze e conoscenze provenienti anche dal mondo degli esclusi. È stato molto importante ricordare in questa sede che si possono proporre delle iniziative coinvolgendo coloro che oggi sono esclusi e che spesso sanno meglio degli operatori cosa è opportuno fare per i loro simili, così che la società ne riceva un vantaggio in termini di fantasia creativa e, anche, riduzione delle spese. Il nodo teorico è passare dal paradigma del bisogno/risposta a quello della domanda/offerta preoccupandosi di tutelare le necessità di chi non riesce ad esprimere il proprio bisogno, quello che non diventa domanda. Abbiamo parlato del legame forte che il welfare ha con la forma - Stato, la forma - mercato, la forma - Europa e la forma - federalismo. Tutte queste dimensioni sono intrecciate: l’una non può prescindere dai movimenti e dall’evoluzione dell’altra; abbiamo bisogno di un governo nella sanità responsabile non solo della qualità della programmazione ma anche in grado di non scaricare responsabilità economiche e finanziare sugli enti decentrati. Il rischio è quello di una sussidiarietà sempre più rovesciata e, come ci ricordava molto opportunamente Salvo Cacciola dell’Osservatorio Mediterraneo, ricordiamoci di chi ha già sperimentato il federalismo ma ha anche visto governanti che pensano più a interessi di categoria che ai bisogni reali. Ricordiamoci che spesso parliamo del Nord e del Sud del mondo ma, anche nella nostra realtà, il Sud ci interpella su come realizzare sussidiarietà evitando di scaricare le responsabilità da un livello istituzionale all’altro. La legge 328 è stata ritenuta una grossa opportunità, lo diceva la prof. Dirindin, ma è anche un rischio: può segnare un solco tra le Regioni che hanno fatto già in questi anni esperienze di programmazione e verifica e quelle che per la prima volta si trovano a dover utilizzare le risorse in modo appropriato. Grosso dibattito hanno suscitato, e lo susciteranno nel futuro, i LEA, di cui si è già vista la ricaduta soprattutto nel campo dell’Aids, con riduzioni di prestazioni o di risorse. La prof. Dirindin ci ricorda che queste sono state studiate con i criteri dell’appropriatezza: non si spende di più dando poche cose a tanti, ma dando cure appropriate a coloro che ne hanno bisogno, lottando anche contro tutti gli interessi delle multinazionali dal farmaco. cerchiamo di realizzare i valori etici della sobrietà ed equità anche nel campo del sociale! Concludiamo con tre proposte, tre compiti, come ha detto Campedelli, che ha fatto con me questo lavoro di sintesi, il primo compito è la responsabilità civile che abbiamo tutti noi di controllare la spesa socialE e sanitaria: quanti amministratori non sanno il costo di prestazioni che aumentano o diminuiscono, chi paga, perché. Un esempio: nel settore della prevenzione spesso ogni associazione propone un proprio progetto piuttosto che mettersi insieme ad altri, fare un’analisi dei bisogni e decidere un progetto integrato, magari da valutare successivamente con uno staff esterno. il secondo compito è dare valore al lavoro socialE. il lavoro sociale è una prestazione che veicola relazioni, ma attualmente c’è un grande squilibrio, e lo dice chi sta dalla parte dei più garantiti, cioè dei dipendenti della Sanità perché, come ricordava Bortone da sindacalista, nel nostro Paese manca un’equità di retribuzione e di valorizzazione del lavoro sociale. Ad esempio rischiamo con le nuove figure delle "badanti" di fare sanatorie ma di non dare dignità alloro lavoro. Educatori professionali e assistenti sociali sono spesso figure marginalizzate all’interno del Ser.T. - lo diceva prima Coletti - e abbiamo bisogno di ridare dignità a questo lavoro che spesso è pregiudiziale alla valutazione dell’esito di un trattamento; è anche quindi una questione etica di correttezza nel mercato. Diceva qualcuno che spesso facciamo grandi battaglie sulla Banca Etica e poi andiamo a pigolare da tutte le Fondazioni un po’ di soldi, ma le battaglie etiche impongono coerenza nei nostri rapporti ed esigono, a volte, anche grossi sacrifici. Il terzo compito, connesso a questo, è dare significato, e Il solo valore, al lavoro di cura: siamo tutti vulnerabili, dobbiamo affidarci gli uni e gli altri perché siamo interdipendenti, e allora ecco il richiamo da par te dei rappresentanti della salute mentale a non pensare che esista solo il nostro settore perché occorre saper intercettare i bisogni di salute del territorio e rispondervi in modo integrato. Infine, concludendo con quanto Virginio Colmegna ha detto in un’altra sessione, dobbiamo avere il coraggio di un volontariato di tutela che ricorda che esiste un protagonismo dei cittadini e una tolleranza delle differenze e dobbiamo operare perché si realizzi un welfare socio-sanitario etico e rispettoso dei diritti fondamentali della persona.
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