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Gruppo 2: La promozione della Legge smuraglia
Prof. Giuseppe Mosconi Ass. Antigone di Padova
Mi sento di dire che il nostro gruppo davvero ha portato molta carne al fuoco e tante sono state le osservazioni e gli spunti che sono stati riscontrati dal lavoro che si è fatto. Intanto la testimonianza dei protagonisti cioè di chi vive la situazione da dentro è stata determinante nel senso che ognuno, a suo modo ma fortemente, ha focalizzato e sottolineato il fatto che la persona sarebbe una persona che vorrebbe vivere in modo normale, vorrebbe vivere in modo dignitoso e a partire dalla situazione qui dentro e poi con la situazione che troverà fuori non gli è consentito di raggiungere questo. Questa non ha gli strumenti qui per vivere in modo stimolante, arricchendosi ed approfondendo la sua esperienza umana ed acquistando delle capacità professionali, produttive etc., una volta che sarà fuori sa che verrà messo al margine e non verrà facilmente accolto e quindi non avrà altra scelta. E’ una cosa nota ma sentirla rivivere da dentro non è mai abbastanza considerata da parte di chi è fuori, è una cosa molto importante da approfondire perché è una realtà concreta nella quale migliaia e migliaia di persone si trovano e che va considerata nella sua sostanza più profonda. Ecco quindi a partire da questo genere di considerazioni, il nostro tema che era il come riuscire a rendere più operativa la legge SMURAGLIA, quindi i problemi di applicabilità, sono stati posti alcuni punti problematici che dovevano andare approfonditi cioè se la legge non viene applicata perché non è abbastanza incentivante, quindi non motiva le imprese esterne ad intervenire, se le difficoltà sono soprattutto di tipo strutturale, cioè se ci sono delle barriere che dal punto di vista strutturale non rendono dal punto di vista organizzativo ed istituzionale la legge operativa, se è un problema essenzialmente di tipo culturale cioè se non c’è la preparazione, non c’è l’informazione, non c’è la sensibilità attivata perché la legge possa effettivamente essere accolta come uno strumento utile. Rispetto a questi problemi si sono rilevate sostanzialmente due posizioni, non contrapposte, due livelli diversi di gestire la questione, uno concentrato sulla realtà esistente e quindi su quello che la realtà concretamente lascia come spazio di applicazione ed un altro aperto anche ad una prospettiva di mutamento normativo, comunque di superamento possibile degli ostacoli che si stanno focalizzando. Allora dal punto di vista concreto, cioè nella individuazione delle difficoltà dei punti che ho riassunto, sono emerse queste cose cioè che il problema dell’informazione è importante, è determinante, è importante anche il problema dell’attenzione alla questione carcere però non è questo il punto più insoddisfatto. L’informazione c’è, circola, le aziende sanno degli sgravi fiscali ed i vari livelli e le varianti di cui possono usufruire, quindi sarebbero messi in condizioni di sapere dei vantaggi che avrebbero dal punto di vista economico attivando le lavorazioni dentro o accogliendo delle persone formate all’interno. Non è tanto questo il problema, il problema è invece proprio quello di pensare che investire in carcere sia veramente utile e produttivo da un punto di vista aziendale, nel senso che l’azienda soprattutto investe in persone, riprendo una frase che è stata detta dagli addetti ai lavori presenti, investe su se stessa in un ottica produttiva che è interessante anche per l’azienda cioè che si identifica nella sua attività lavorativa, ci crede, si da da fare ed in questo senso sarà produttiva anche per l’azienda. Ecco, nella cultura aziendale passa l’idea che persone di questo tipo non si trovino facilmente in carcere, che sia molto più facile trovarle fuori e quindi un interesse, un tipo di persone pensate su questo modello è ovvio che in questo senso viene a cadere. Ad aumentare questa scarsa propensione ad impegnare le proprie risorse per offrire occupazione all’interno del carcere, a complicare ulteriormente la cosa pesano le difficoltà strutturali, cioè i limiti, i tempi ed i modi con cui è possibile lavorare in carcere impongono e le difficoltà di tipo regolamentare e normativo. Si portava l’esempio delle persone che erano disponibilissime a lavorare ma non avendo il permesso di soggiorno non erano nelle condizioni di poter venire assunti secondo le procedure che erano state avviate. Quindi da questo punto di vista si è pensato da un lato, ripeto le due cose che avevo richiamato all’inizio, dal punto di vista pratico cosa si può fare per utilizzare bene gli strumenti, dal punto di vista anche dei cambiamenti normativi cosa si può fare per rendere migliori le cose. Dal punto di vista pratico si tratta di rompere un muro culturale, cioè di creare una situazione che consenta al mondo di fuori di aprirsi e di avvicinarsi al mondo interno attraverso una conoscenza più specifica e concreta delle potenzialità che il mondo interno può offrire. Questo può venire attivato facilitando i contatti, facendo vedere più concretamente le persone, le risorse, i vantaggi ed i tipi di lavori che possono essere attivati dando un senso realistico ad un tipo di scambio, di comunicazione produttiva per i due mondi dove non è immediatamente dato. Quindi vuol dire valorizzare al massimo le potenzialità attualmente esistenti. Questo però non sottrae al compito di renderci conto che le cose sarebbero più facilmente sviluppabili se la stessa legge cambiasse. Si è portato l’esempio delle categorie svantaggiate come i disabili che vengono protette nel senso di definire una percentuale di personale assunto dalle aziende destinata a questo tipo di persone. Allora in questo senso si è messa a fuoco le diversità culturali cioè ancora una volta quello che impedisce che questo avvenga più facilmente, che questa riforma normativa sia più facilmente immaginabile anche dal punto di vista del legislatore che ha una sua idea della cultura della società diffusa, è il fatto che mentre il disabile va aiutato perché non è colpa sua, il detenuto invece in qualche modo se l’è voluta, è una persona che in qualche modo ha fatto una scelta di asocialità e quindi non va aiutata particolarmente, con gli stessi strumenti di tutela previsti nel primo caso. Invece rispetto a questo è necessario cambiare mentalità cioè è necessario sottoporre all’opinione pubblica il fatto che la realtà del carcere è in senso ampio una piaga sociale che va combattuta e d’altra parte che bisogna attenuarne i costi sociali recuperandone gli effetti negativi con dei provvedimenti di sostegno. In questo senso una riforma potrebbe proprio andare nel senso di sviluppare la funzionalità della legge SMURAGLIA prevedendo queste quote di assunzioni assistite, incentivate con formazione, con assistenza al reinserimento sociale, quindi sostenute anche garantendo gli interessi delle aziende da questo punto vista, però rendendo più efficace lo strumento. L’una e l’altra prospettiva, per concludere, richiedono un lavoro di mediazione culturale, politico, economico, organizzativo che potrebbe essere attivato da figure professionali che hanno una competenza specifica, cioè che mettano il mondo del carcere in comunicazione col mondo esterno, che qualificate, formate per questo ed in questo senso si pensava anche all’utilizzazione di progetti europei o comunque la riqualificazione dei corsi di formazione, della professionalità degli stessi operatori del settore ai diversi livelli, perché sia più orientata a fare venir meno questa barriera rigida fra interno ed esterno. |