Francesco Morelli

 

Certezza della pena o certezza del recupero?

San Servolo (VE) - 22 settembre 2002

Francesco Morelli, del Centro di Documentazione Due Palazzi

 

Il titolo del dibattito di oggi è senz’altro provocatorio, come ha sottolineato Giovanni Vianello: la pena è certa, ma il reinserimento lo è altrettanto? In Italia abbiamo una percentuale di recidiva molto elevata, il che fa supporre che il reinserimento sia tutt’altro che certo: un 70% circa di persone tornano in carcere, dopo esserci già state, e questo fa riflettere su quanto sia difficile il reinserimento sociale.

Io sono direttamente impegnato in questo percorso e, a volte, mi meraviglio non del 70% di persone che non si reinseriscono, ma di quel 30% che ce la fa perché, nonostante tutta la buona volontà che ci si metta, il reinserimento rimane un traguardo molto faticoso da raggiungere.

In questi giorni ho incontrato tanti compagni e tante compagne che sono in semilibertà, o ammessi al lavoro all’esterno, o in affidamento, o che hanno terminato la pena, e ho riflettuto sul fatto che forse questa fase è persino più dura, rispetto alla carcerazione vera e propria.

Perché il reinserimento si realizzi davvero la società deve fare la sua parte, anche attraverso interventi delle istituzioni e delle amministrazioni locali. Non basta semplicemente che ci sia una ricettività del territorio, che ci sia il lavoro, ma ci vuole un’attenzione complessiva verso le persone che vengono dall’esperienza della detenzione.

Mi pare, da quel che ho potuto vedere a Venezia, che qui la situazione sia migliore rispetto a tante altre realtà: c’è un privato sociale sviluppato, un associazionismo attivo, amministrazioni locali sensibili. Altrove questo non accade. In particolare, più ci spostiamo verso il sud dell’Italia, più la situazione peggiora. Ci sono carceri dove i detenuti non sanno nemmeno cos’è il volontariato, dove non esistono misure alternative semplicemente perché manca la ricettività del territorio, oppure manca anche l’abitudine, da parte degli organi competenti, a concedere queste misure.

Un altro fattore da tenere in considerazione è che il reinserimento non è uguale per tutti, come anche la pena non è uguale per tutti. Abbiamo una legislazione che, in teoria, garantisce a tutti gli stessi diritti, ma una situazione di fatto discriminante: chi ha più risorse, dal punto di vista delle relazioni sociali, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale, è favorito nel suo percorso di reinserimento; per chi non ha queste risorse la pena non è solo certa, è certissima, perché che la sconterà fino all’ultimo giorno.

In Italia circa un terzo della popolazione detenuta è rappresentata da immigrati, persone che molto spesso non hanno alcuna possibilità di reinserimento perché, sul territorio, non trovano persone disposte ad aiutarli, e perché la normativa, ulteriormente irrigidita con la Bossi-Fini, non permette loro alcuna forma di regolarizzazione al termine della pena. Spesso, quindi, per gli stranieri possiamo veramente dire che la pena è certa e il reinserimento tutt’altro che certo, anzi è inesistente.

Io sono detenuto da circa 12 anni, quindi ho visto cambiare varie legislature e vari governi: ora non voglio esprimermi sul merito politico di quello che sta accadendo, ma alcune valutazioni di carattere generale voglio farle.

Quando si approssimano le scadenze elettorali il carcere viene usato un po’ da parafulmine e questo succede a destra come a sinistra: tutti infatti promettono maggiore "sicurezza" e nuove misure di repressione per garantirla. Con ciò non posso non dire che il passaggio dal Governo di centro sinistra a quello di centro destra ha causato cambiamento in peggio dell’atteggiamento politico verso il carcere.

Abbiamo un ministro della Giustizia che, ogni volta che parla del carcere, non capisci se voglia prendere in giro o cos’altro voglia fare… si leggono più volentieri le dichiarazioni di Castelli che non le barzellette. D’altro canto questo avvilisce chi, dentro e fuori dal carcere, sta cercando di migliorare una situazione che non è delle più favorevoli.

Avere un ministro che dimostra una tale ignoranza ti fa capire quali saranno poi le direttive che emana agli organi periferici dell’Amministrazione Penitenziaria: come a Ferragosto, quando disse che i detenuti vivono nel lusso… beh, noi non riteniamo di vivere in questo gran lusso… e basterebbe dare uno sguardo in una cella per rendersene conto…

Adesso passerei senz’altro la parola ad Alessandro Margara, una persona che, all’interno delle carceri, amiamo tutti, anche perché è stato uno dei padri della riforma penitenziaria, che nel 1975 ha aperto le carceri verso la società, una legge criticata da più parti ma ancora oggi fondamentale.

 

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