Sergio Cusani

 

Certezza della pena o certezza del recupero?

San Servolo (VE) - 22 settembre 2002

Sergio Cusani, Associazione "Liberi" di Milano

 

C’è sicuramente una pena certa e inflessibile, la povertà, che andrà aumentando con la crisi economica e con la guerra. Cosa c’entra la guerra? C’entra, perché tutti questi fenomeni porteranno ad un aumento della carcerazione. Il dottor Margara ha sfoderato dati sugli Stati Uniti, dove ci sono quasi 8 milioni di detenuti, tra internati e liberi sulla parola. Questo modello sta invadendo anche l’Europa. I detenuti sono quasi 58 milioni e, tendenzialmente, aumenteranno, perché il mettere la gente in carcere è un modo facile per risolvere il problema.

In America questi 8 milioni di detenuti non entrano neanche nelle statistiche sull’occupazione e, visto che sono quasi tutti maschi adulti, in età di lavoro, risulta esserci un bassissimo tasso di disoccupazione, che in realtà è molto più alto.

Da noi c’è questa funzione del carcere, che è un carcere di povertà, e chi si ribella, chi ha voglia di uscire dalla propria condizione, deve stare attento, perché anche chi finisce in carcere è diviso per categorie. Chi sta in una determinata categoria è difficile che ne esca, un po’ come i gironi dell’inferno dantesco. È difficile uscire dalla condizione di povertà, è difficile inserirsi in modo regolare nel tessuto sociale e produttivo. Inoltre c’è una prevenzione etnica, chi viene dai paesi dell’Est già è bollato come persona a rischio.

Stiamo assistendo a un calo della ragion critica e, questo, porta anche a distorsioni molto gravi di quel concetto fondamentale che è la legalità. Sentiamo tanto parlare tanto di legalità, di manifestazioni molto importanti sulla legalità, come a Roma, ma nelle quali il concetto di legalità è molto limitato, secondo me.

Potrebbe essere vero che il sistema dominante faccia delle leggi che gli fanno comodo, il problema è di non stare al gioco, è di non ridurre la lotta all’illegalità soltanto nell’opposizione alle leggi che, chi ha la maggioranza, si fa a suo piacimento. La legalità è una cosa molto ampia ed è su questo punto che ha deluso il governo di centrosinistra, che pure aveva creato grandi attese e non ha saputo mantenerle. È evidente anche quello che è successo al dottor Margara, che è stato un grande direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, licenziato in tronco da un ministro comunista.

Il concetto della legalità riguarda il lavoro, la dignità del vivere, la salute, e oggi tutti questi diritti sono lesi: c’è globalizzazione della finanza internazionale, ma a questa non segue la globalizzazione dei diritti, anzi, i diritti sono sempre più ridotti. O stai dalla "parte giusta", o sei fuori, come dicono in America… sei fritto.

Assistiamo a scontri di carattere politico che coinvolgono enormi masse di persone, con grande partecipazione e passione, però io non ho mai sentito, in tutte queste grandi manifestazioni, porre in modo serio la questione dell’allargamento dei diritti di tutti, in particolare delle parti più deboli, più esposte e più povere della nostra società. Ultimamente l’ha fatto la CGIL, speriamo che continui su questa strada, perché è l’unica che ha posto, finora, il problema di una società di diritti come trincea minima sulla quale attestarsi.

Quest’illegalità dell’applicazione di questa legge inflessibile e certa della povertà, oggi la demarca ulteriormente il carcere, perché ci sono detenuti che lavorano otto ore al giorno e figurano come se lavorassero quattro, o tre o due, vengono pagati per 2 - 3 ore ma in realtà lavorano tutto il giorno, soprattutto per i lavori domestici all’interno del carcere.

Quel poco che c’era, sul piano del recupero e del reinserimento, si sta riducendo sempre più. Io dico che, aldilà dell’impegno di educatori, assistenti sociali, volontariato etc., su questo piano noi piano piano assisteremo alla scomparsa di questa funzione di recupero, rimarrà soltanto un meccanismo di controllo, di interdizione e di militarizzazione del sistema carcerario.

Notizia brutta è quella che il direttore di un grande carcere della Lombardia proviene dalla carriera dei "famosi" GOM, i Gruppi Operativi Mobili, quindi c’è questa logica sta proprio prevalendo. Non a caso il ministro sia un’ingegnere, e gli ingegneri costruiscono, e quelli costruiranno nuove carceri. Il modello è quello americano, insomma, e noi lo stiamo scopiazzando: oggi in America le carceri si costruiscono nel deserto… nel deserto dell’Arizona hanno costruito un carcere per 40.000 detenuti. In America stanno chiudendo anche tutti gli spazi di socialità… una volta c’erano le mense, nelle carceri moderne non c’è più neanche una mensa, perché la mensa è un luogo di socialità ma, per loro, anche un luogo di difficile controllo.

Adesso davanti alle celle passano i tapis roulant, ognuno ritira il suo cibo, e quindi c’è un ulteriore processo di desocializzazione, quindi di destrutturazione della soggettività dell’individuo, per creare un individuo che va bene alla società: una robotizzazione sociale, insomma.

Di fronte a tutto questo bisogna avere uno sguardo più ampio sul tema del carcere, bisogna vedere il carcere come fase terminale dell’area del disagio, dell’esclusione e dell’emarginazione sociale, e farci carico noi, per primi, di non affrontare il tema del carcere solo lamentandoci delle condizioni del carcere, ma capire che la funzione del carcere è di contenitore di povertà all’interno della società.

C’è una proposta, che ora stiamo riprendendo, dell’indulto e dell’amnistia ma, se non si risolve il problema dell’accoglienza nel territorio, i detenuti senza arte né parte, quando escono dal cancello, trovano il deserto. È ovvio che, siccome la politica tende a considerare sempre di meno le condizioni materiali della vita e, se tu non hai uno sbocco, una possibilità, non hai crediti formativi, non hai chance per fare il tuo percorso nella vita sociale e produttiva, quindi nel giro di pochi giorni ricadi nelle mani del sistema criminale, non per una scelta etica, ma perché anche il detenuto o l’ex detenuto deve pur vivere.

Noi riteniamo che la questione dell’indulto e dell’amnistia - che tra l’altro si sta usando anche in modo strumentale - debba essere portata avanti cercando di cucire assieme più strati dell’opinione pubblica, per costruire un progetto culturale, ma anche di proposta. Questo provvedimento di indulto ed amnistia, questo progetto di accoglienza, significherebbe anche ridurre enormemente le spese che gravano sulla società - circa 8.000 miliardi di vecchie lire: un detenuto costa 400.000 lire al giorno, cento milioni all’anno - per il costo del sistema penitenziario.

Ci sono belle iniziative singole, assolutamente encomiabili, straordinarie, però dobbiamo avere il coraggio, la voglia, la passione e l’intelligenza di mettere assieme tutte queste esperienze, per partecipare alla costruzione di un progetto, per un mondo che deve essere migliore per tutti. Partendo proprio dalla lotta alla povertà, che poi è quella che porta in carcere, perché il 90 % dei carcerati è povero.

 

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