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Certezza della pena o certezza del recupero? San Servolo (VE) - 22 settembre 2002 Giuseppe Caccia, Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Venezia
Ascoltando le parole del dottor Margara ho fatto delle riflessioni, che propongo. Chi ha governato dal 1996 alla primavera del 2001, rispetto alle questioni del carcere, ha la coscienza a posto? Negli anni in cui ha governato il paese può dire di aver fatto tutto il possibile per dar seguito al dettato costituzionale, alle leggi sull’ordinamento penitenziario, alle normative sull’accesso alle misure alternative al carcere? Io dico che è mancata, negli anni in cui ha governato il centro sinistra, un’iniziativa all’altezza del dettato costituzionale, all’altezza delle leggi sull’ordinamento penitenziario, all’altezza di quel sistema di misure alternative al carcere che il nostro paese, diversamente da altri paesi europei, si era dato lungo gli anni. È mancato perché non c’è stato il coraggio, perché si è preferito inseguire gli spettri evocati nell’opinione pubblica dai media e dall’altra parte politica, perché si è preferito annotare la politica del "è meglio non fare", con quella paura che Morelli sottolineava nel suo intervento introduttivo, ricorrente e amplificata dalle occasioni elettorali, oppure del "si fa e non si dice", tanto peggio perché poi non si promuove la cultura dei diritti e delle libertà, delle garanzie e delle tutele, non si promuove una cultura diversa nel rapporto tra società e carcere e società e pena. Si è preferito fare, molto spesso, la brutta copia degli altri, che invece poi, come si sta vedendo in questi mesi, quello che pensano e che dicono cercano anche di farlo, perché condivido il fatto che le dichiarazioni del ministro della giustizia vengano prese come barzellette, ma quando la dichiarazione è del ministro della giustizia della sesta potenza industriale ed economica del mondo, queste non sono più barzellette, sono dichiarazioni che, quantomeno, sedimentano senso comune, quantomeno producono cultura nell’approccio ai problemi del carcere e della pena, quantomeno legittimano comportamenti e atteggiamenti: legittimano, nella quotidianità della vita del carcere e dell’applicazione delle pene del nostro paese, comportamenti precisi. Immagino cosa succede, nella testa di chi nel sistema penitenziario lavora, quando sente parlare di grand hotel, qual è l’indicazione che gli arriva… Io credo che con questo dobbiamo distinguerci perché, anche nelle iniziative di questi giorni, penso alla manifestazione dei girotondi a Roma - penso alla campagna contro la legge Cirami, contro provvedimenti legislativi fatti su misura per gli interessi del presidente del Consiglio e del gruppo politico affaristico che lo circonda, su cui ha costruito prima il suo successo imprenditoriale e poi politico - rischia però di riemergere una cultura che vive nella presunzione che il confronto e lo scontro politico con questa destra sempre a cavallo tra la barzelletta e l’incubo, con la netta prevalenza dell’incubo rispetto alla barzelletta, sia possibile risolverlo per via giudiziaria. Allora si parla molto meno delle questioni sociali che anche Margara sollevava, si parla molto meno del tema sicurezza sociale. In tanti mi chiedono perché il comune di Venezia non ha un Assessorato alla sicurezza, a differenza di tanti altri comuni, governati da una simile coalizione, che hanno Assessorati alla sicurezza, Uffici per la sicurezza, fanno imponenti convegni per le città sicure? Perché non siamo d’accordo di fare il cattivo clone degli altri, di proporci come il cattivo clone di politiche fatte da altri. Perché pensiamo che, o siamo in grado, nelle nostre politiche sociali, produttive e del territorio, di far vivere - certo in un contesto epocale di trasformazioni sociali, il cui segno è quello della precarietà e della riduzione di garanzie e sicurezze sociali per tutti - anche quest’aspetto, dentro tutte le nostre politiche sociali che investono il territorio, quando facciamo riduzione del danno sulla diffusione delle sostanze stupefacenti, quando interveniamo nei quartieri della periferia. O siamo in grado di rimuovere le cause del disagio, con gli strumenti e i poteri di un governo locale, oppure è meglio che stiamo zitti, su questi temi. Perché altrimenti il rischio è quello di portare la nostra acqua al pensiero e alle politiche dominanti, su cui gli originali sono sempre e comunque più bravi di noi. Voglio dire, per fare un po’ di scena, pensate all’operazione di polizia che ha anticipato di qualche giorno l’entrata in vigore di quella che probabilmente sarà, volenti o nolenti, la più importante sanatoria che mai si sia realizzata nel nostro paese, rispetto all’immigrazione. Hanno fatto l’operazione "vie sicure", ci sono state gigantesche retate, preventivamente comunicate in conferenza stampa, grafici, snocciolamenti di dati rispetto al numero di prostitute fermate, identificate, stranieri identificati etc., ed a fare questo tipo di sceneggiate gli altri sono comunque più bravi. Allora, nel nostro piccolo, noi stiamo cercando, rispetto al lavoro e al contesto locale di questi anni qui a Venezia, di mantenere verso gli istituti penitenziari una sensibilità purtroppo non comune a tante altre città e situazioni italiane. Rispetto ad un tessuto di volontariato, anche individuale, di associazionismo, di cooperazione e di impresa sociale, che è ricchissimo di offerta e di capacità, è importante promuovere, anche culturalmente, un approccio alla certezza del diritto, e quindi al tempo stesso della pena e del reinserimento. Ma poi le cose è soprattutto importante farle, perché se non si mostra concretamente, anche a chi subisce l’impatto mediatico delle campagne terroristiche sulla sicurezza e sull’insicurezza, che mettere al lavoro - come le imprese sociali del nostro territorio hanno fatto in questi anni - decine e decine di detenute e detenuti, significa investire concretamente e materialmente sulla sicurezza di tutti, se le cose non si fanno, oltre che dirle, si rischia appunto un effetto di feed-back negativo, rispetto a questi temi. Il problema allora è che le cose bisogna farle, e siamo riusciti a portare sempre più dei pezzi di città dentro le mura delle carceri del nostro territorio, con iniziative socio-culturali, con le attività del privato sociale, grazie alla sensibilità che la direzione degli istituti ha avuto in questi anni. Ora credo che dobbiamo produrre uno sforzo ulteriore e portare sempre più - e l’iniziativa di San Servolo è un buon esempio di questo - il carcere fuori, portare sempre più fuori gli uomini e le donne che lo vivono, che devono essere al centro della nostra iniziativa, fuori, nel nostro territorio. I modi per farlo sono tanti, noi come amministrazione comunale, oltre al supporto - qui c’è anche l’assessore comunale De Gasperi, con cui abbiamo realizzato importanti iniziative, in questo ultimo anno, insieme alle aziende partecipate dal comune e non solo - lavoriamo per favorire l’attività delle cooperative e delle imprese sociali che si occupano di reinserimento. C’è poi il terreno delle attività socio-culturali e voi vedete, qui intorno, i volti di alcune tra le detenute del carcere della Giudecca, che sono protagoniste di laboratori e di attività all’interno degli istituti di pena. C’è poi anche quello che possiamo fare, in più, per fornire servizi a quelli e quelle che noi riteniamo essere cittadini e cittadine a pieno titolo del Comune. L’esclusione si vince anche su questo terreno, con un approccio a chi vive la condizione di ristrettezza dentro le mura del carcere, considerandolo cittadino e lavorando per fornirgli dei servizi, come a qualsiasi altro cittadino del nostro Comune. Tutto questo possiamo ottenerlo anche facendo fare un salto di qualità al lavoro che, insieme, direzione, istituzioni locali e privato sociale, possono fare: la costruzione di un Tavolo di lavoro, che si è trovato per la prima volta in un confronto tra l’Amministrazione comunale ed i volontari, le associazioni, le cooperative sociali. Tavolo che si è riunito per la prima volta nella scorsa settimana. Ripeto, e su questo chiudo, che la vera spinta è fare le cose, perché soltanto misurandosi concretamente con la costruzione di percorsi di reinserimento, è possibile far fare dei passi in avanti anche ad una cultura che, purtroppo, anche nella mia parte politica, in questi anni è mancata, con danni che stiamo vedendo e misurando proprio in questi giorni.
Francesco Morelli
Grazie a Giuseppe Caccia. Sì, il confronto tra il governo fatto dal centrosinistra e dal centrodestra, richiederebbe un ulteriore approfondimento, che qui non abbiamo tempo per fare, comunque alcune note sono possibili. Il centrosinistra in fondo qualcosa di buono ha senz’altro fatto: la legge Simeone - Saraceni, la legge sulle detenute madri, quella sull’incompatibilità degli ammalati di AIDS, il nuovo regolamento, sono senz’altro tutti apporti positivi per il miglioramento della qualità della vita nelle carceri. Poi c’è stato, a dire la verità, anche un comportamento schizofrenico di questo governo di centrosinistra, perché a fronte di iniziative parlamentari che hanno portato all’approvazione di queste leggi importanti, e anche del nuovo regolamento, abbiamo poi avuto un’applicazione, nel concreto, che spesso è andata in direzione contraria. Per farvi un esempio, il programma di Castelli sull’edilizia penitenziaria, non è il "programma Castelli", è il "programma Fassino", perché nel pacchetto Fassino era già prevista la costruzione di nuove carceri, adesso Castelli l’ha ripreso in mano ma in realtà già con il governo di centrosinistra era prevista la costruzione di 12 nuove carceri. A fronte, appunto, di questa schizofrenia politica del centrosinistra, abbiamo un centrodestra che, per così dire, è molto più coerente, ma purtroppo è coerente con il senso comune della società quello che dice: "teneteli dentro e, se possibile, buttate via la chiave". È questa la cosa grave, e poi come ricordava Giuseppe Caccia, forse ha più vocazione il centrodestra alle sceneggiate, che credo rendano anche in termini elettorali, perché le sceneggiate, se guardate la soap opera, alla gente piacciono le sceneggiate e se le fa anche chi sta al governo, in fondo possono anche piacere. Riguardo al territorio, il reinserimento si ottiene attraverso il lavoro e si ottiene, però, anche dando altri supporti. Adesso a Venezia sta cercando di partire uno sportello di sostegno alle persone detenute ed ex detenute, che credo che sia fondamentale. In questi giorni, parlando con questi compagni e queste compagne, ho visto un grande bisogno di sostegno, anche cose come rinnovare una patente o sbrigare una pratica amministrativa, insomma informazioni di natura giuridica, ma anche di altro tipo. Questo tipo di supporto deve senz’altro affiancare quella che è la ricerca del posto di lavoro. A questo punto la parola a Sergio Cusani, dell’associazione "Liberi" di Milano. |